In “psicologia”, la sublimazione è un meccanismo che sposta una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta non sessuale o non aggressiva.

In “chimica” per sublimazione si intende il passaggio di stato di un corpo dallo stato solido allo stato aeriforme senza passare attraverso lo stato liquido.

Per la “grammatica italiana” la sublimazione è un sostantivo femmine che esprime elevazione, soprattutto in senso spirituale o morale.

Diverse sono le attività e rappresentazioni “umane” che consentono di raggiungere uno stato di elevazione spirituale o morale.

Alzi la mano, chi non ha mai sublimato durante un’impresa sportiva compiuta dal compianto ciclista romagnolo Marco Pantani? Come quando sul passo del Mortirolo (1.852 metri sul livello del mare), durante una gara del Giro d’Italia, il “Pirata” lasciò tutti “senza fiato” in fondo alla salita compreso il campione spagnolo Miguel Indurain.

Un esercizio di sublimazione potrebbe essere quello di ascoltare in macchina un brano del maestro Ennio Morricone magari durante un viaggio, senza una destinazione pianificata, in mezzo al Tavoliere delle Puglie: Once Upon a Time in the West, Cinema Paradiso, The Mission, Giù la Testa, Once Upon a Time in America, Per un Pugno di Dollari, Il Buono, il Brutto e il Cattivo, Saharan Dream sono tra i capolavori che hanno fatto la storia del cinema italiano e mondiale.

“Devo cercare di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica”.

L’Oscar alla carriera 2007 e alla migliore colonna sonora nel 2016 per The Hateful Eight sono alcuni tra i più importanti riconoscimenti ricevuti, in tutto il mondo, dal sommo maestro.

Non è possibile restare indifferente dagli ideali “universali” proposti dal film l’Attimo Fuggente, con protagonista un eccellente Robin Williams! Come se fosse ieri, ricordo “vivida” l’emozione quando l’illuminato professore Keating decide di salire in cattedra per insegnare, a una classe di acerbi giovani, a vedere la vita da una prospettiva diversa.

“Perché sono salito quassù? Chi indovina?”

“Per sentirsi alto”

“No. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardala da un’altra prospettiva”.  

Il calcio può condurre lo spirito e la morale a uno stato di elevazione?


1 SUBLIMAZIONE: RISCALDAMENTO ALLO STADIO SAN PAOLO DI DIEGO ARMANDO MARADONA

Tra gli scugnizzi napoletani, che ambiscono al primo tricolore, c’è n’è uno di adozione: il suo nome è Diego Armando, nato il 30 ottobre 1960 nel quartiere disagiato di Villa Fiorito, nella periferia di Buenos Aires.

Soltanto 1,65 cm di altezza per un peso forma di 67 kg. Fisico tarchiato con muscoli esplosivi come la dinamite, due cesoie al posto delle gambe. Capelli ricci e di colore nero che raffigurano forza, immortalità e bellezza di un piccolo uomo (solo di statura).  I lineamenti del viso non sono quelli “aggraziati” di un figlio di papà, al contrario il “Pelusa” può destare, a prima vista, una brutta impressione agli occhi di chi lo guarda soprattutto all’imbrunire della sera, se incontrato nel posto sbagliato.

Nella vita extra calcistica, Maradona, ha saputo stringere amicizie con politici “influenti” tra cui Carlos Saùl Menem (ex presidente dell’Argentina), il leader cubano Fidel Castro e il presidente venezuelano Hugo Chàvez.  Inoltre non ha mai nascosto una sincera ammirazione per Ernesto ‘Che’ Guevara, leader della rivoluzione cubana, e una forte antipatia per la famiglia Bush.

Diego è stato l'anticonformista per eccellenza, in Italia negli anni ‘80 si potevano contare sulle dita di una mano i calciatori con l’orecchino: lui con disinvoltura ne portava uno d’oro sul lobo destro che fece proseliti tra migliaia di bambini, adolescenti e adulti “napoletani”.

Per ironia della sorte, tanti anni dopo, quell’oggetto ornamentale fu pignorato dalla Guardia di Finanza.

Quella è tutta un'altra storia, mettetevi comodi inizia la sublimazione:

Durante la fase di riscaldamento dei calciatori del Napoli, nelle partite in casa allo Stadio San Paolo sono sempre presenti 50.000 spettatori, in uno stato psichico di sospensione ed elevazione mistica della mente, che intonano in coro all’unisono, marcando il tempo con il battere delle mani:

Ole Ole Ole Diego Diego!”

“Ole Ole Ole Diego Diego”

“Ole Ole Ole Diego Diego”

Il “solista” della banda è un certo “Diego Armando Maradona”, detto il ragazzo d’oro, che danza, con il pallone incollato al piede e le stringe delle scarpe slacciate sul ritmo scandito di Life is Life di John Vass.

Durante il riscaldamento, Diego è solito affiancare un certo Antonio de Oliveira Filho, meglio noto come Careca con il quale si scambia “divertito” un sorriso di compiacenza conscio della sua infinita grandezza agli occhi dei tifosi partenopei.   

Antonio ricambia solo per cortesia, senza esagerare, perché non è cosa buona e giusta salire sullo stesso gradino degli DEI. Eppure il brasiliano Careca è considerato, da critica e tifosi, uno tra i calciatori più forti di tutti i tempi, attaccante veloce e potente e molto dotato tecnicamente.

Il carioca lo sa, meglio non scherzare con il fuoco del Vesuvio che domina il golfo di Napoli: Maradona è persino meglio di Pelé!

Ole Ole Ole Diego Diego

Ole Ole Ole Diego Diego

Ole Ole Ole Diego Diego

Ole Ole Ole Diego Diego

Ole Ole Ole Diego Diego

Ole Ole Ole Diego Diego


2 SUBLIMAZIONE: GOAL ANNULLATO A MICHEL PLATINI DURANTE LA COPPA INTERCONTINENTALE 1985

Nel 1985, la Juventus di Michelle Platini si giocava a Tokyo la Coppa Intercontinentale contro la squadra dell’Argentinos Junior.

A un certo punto della partita, Platini riceve palla da Bonini e in una frazione di secondo il genio francese inventa un capolavoro assoluto, opera d’arte del ‘900, che lascia spiazzato persino il telecronista della Rai (Nando Martellini) che si inceppa durante il commento dell’azione: “Mauro poi Bonini, poi Platini ha anticipato tiro e reteeee, Platini capolavoroooo!”

In realtà l’azione avrebbe dovuto essere descritta: “magia di Platini che palleggia di destro e scavalca due difensori avversari e di sinistro chirurgico insacca all’incrocio dei pali con il portiere avversario che resta a guardare il pallone finire in rete la sua corsa! Capolavoro di Platini!”.

Per la maggioranza degli esseri umani “normali” un’azione del corpo parte sempre da un comando di una zona specifica del cervello. Procedura fisiologica non applicabile per Michelle Platini che “d’istinto puro”, quello del fuoriclasse assoluto, mette a segno in una frazione di secondo una delle reti più belle della storia del calcio mondiale.  

Platini con una rabbia che in carriera non ha mai dimostrato fino a quel momento, si dirige gioioso verso i tifosi bianconeri ma il goal è annullato dall’arbitro per fuorigioco passivo di Aldo Serena.

Le Roi cosa fa? Un altro colpo di genio e sono due in una serata: inquadrato dalle telecamere, in diretta tv, Platini si sdraia sul campo di gioco in una posa plastica e polemica diventando in quel preciso istante un olio su tela, gelosamente, conservato nella memoria di tutti gli amanti del bel calcio.

Quel goal annullato, dopo tanti anni,  è rimasto nella storia del calcio mondiale tanto che nessuno ricorda il risultato di quella partita.


3 SUBLIMAZIONE: LACRIME DI UN CAMPIONE  

L’Italia guidata da Mr. Sacchi raggiunge a fatica l’obiettivo prestigioso di giocare la finale del campionato mondiale organizzato negli Usa nell’anno 1994.

Tra i convocati della nazionale italiana c’è un uomo di 34 anni, bandiera e capitano del MILAN, che con il tecnico di Fusignano, Arrigo Sacchi, ha vinto tutto quello che c’era da vincere sia in Italia che in Europa. 

Durante il primo match con la Norvegia, Baresi si rompe il crociato e da lì in poi inizia una folle corsa contro il tempo per poter giocare la finale con il Brasile di Bebeto, Romario, Cafu, Adair e Dunga.

Tutto in quattro settimane, sembra il titolo di un film famoso di Hollywood e invece è un’opera diabolica del destino che, quando meno te lo aspetti, ti presenta un conto troppo “salato” da pagare.

Albert Einstein sosteneva che tutto era determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli atri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata da un pifferaio invisibile.

Einstein non lo poteva sapere, Baresi non è un “uomo” come tutti gli altri.

Cinque campionati italiani, quattro Super Coppe Italiane, tre Coppe Campioni, tre Super Coppe Uefa e due Coppe Intercontinentale è il palmares “invidiabile” del capitano rossonero.

Chi è Franco Baresi?

Egli è l’ultimo baluardo dalla difesa, gioca da sempre come libero con il numero sei sulle spalle e la fascia da capitano ben stretta al braccio.

Il suo marchio di fabbrica è l’intervento pulito, in anticipo, sull’avversario per poi ripartire con un’eleganza innata, a testa alta, all’assalto della porta avversaria.  La maglietta sempre fuori dai calzoncini è l’unico atteggiamento anticonformista.

Fuori dal campo, Franco Baresi è un esempio di professionalità per i compagni più esperti e una chioccia per quelli più giovani.

Allora che si fotta la teoria di A. Einstein, quella finale Franco Baresi se l’è meritata più di chiunque altro uomo sulla faccia della terra.   

Tutto in quattro settimane: sotto i ferri dopo 24 ore dall’infortunio e con ancora i punti di sutura sul ginocchio, il forte difensore italiano inizia la riabilitazione con una motivazione “feroce”: giocare con la fascia da capitano quella maledetta finale, costi quel che costi.  

Baresi per fortuna c’è la fa a tempo di record, riuscendo a recuperare dal grave infortuno al ginocchio.

Arrigo Sacchi decide, senza pressione, di non poter fare a meno del suo capitano e senza indugiare schiera Baresi titolare nel posto dove un campione, come Franco, deve stare: in campo al centro della difesa come faro della retroguardia italiana.

Dopo 120 minuti di gioco, la rete dell’Italia resta inviolata grazie a una prestazione maiuscola del miglior difensore italiano di tutti i tempi: Franco Baresi.

Si va i calci di rigore: al sottoscritto hanno insegnato che il primo e l’ultimo calcio di rigore lo tirano sempre i migliori calciatori della rosa.

Baresi lo sa bene e da grande capitano quale è, sebbene avesse tutte le ragioni del mondo per non farlo, si dirige lo stesso “stremato” verso il dischetto di rigore...

La storia la conosciamo proprio tutti e non mi va più di raccontarla perché un calciatore come Franco Baresi non potrà mai essere valutato dal sottoscritto per avere sbagliato un calcio di rigore…….

 

CONCLUSIONE: 

Avrei voluto tanto scrivere un articolo migliore e mi scuso se non ci sono riuscito;  sono stato realmente ispirato dal maestro Ennio Morricone che con i suoi brani, in questi giorni d’estate, mi ha cullato in un viaggio romantico e malinconico nella mia terra di origine.

Cari lettori, vi posso assicurare che non è semplice scrivere l’articolo perfetto, anche se in me c’è sempre la speranza che un giorno... io possa farlo! La vedo dura, per tanti motivi che non sto qui a spiegare, ma vi posso assicurare che Oronzo Canà non smetterà mai di provarci finché ne avrò voglia e tempo.

Scrivere mi diverte anche se non nascondo che, a volte, un certo narcisismo mi assale. Mi consolo dal fatto che le storie raccontate non sono state tutte a lieto fine! Mi sbaglio?
Sarebbe stato bello nascere perfetti... purtroppo io non lo sono e voi?

Adesso vado a dormire, domani un altra giornata del mio mare mi aspetta............SUBLIMAZIONE!

 

DEDICATO AL MAESTRO ENNIO MORRICONE

Mr. Oronzo Canà