VI PUNTATA 

L’esperienza genovese segnava quindi una svolta nel modo di giocare a subbuteo.   
Dovevamo cambiare radicalmente e personalmente non ne ero entusiasta. Trasferivo sul tavolo la mia passione calcistica, emulando le partite e avevo la netta sensazione che ci si stesse allontanando totalmente da questo. Fortunatamente a bilanciare ciò, ora potevo abbellire e personalizzare le mie squadre. Cosa più facile a dirsi che a farsi, poiché manualmente ero totalmente negato. Bisognava essere un modellista o un disegnatore. Per fortuna conoscevo una persona talmente brava che riusciva, su giocatori, che come vi ho detto, erano di dimensioni ridotte, a curare ogni particolare, dai più semplici, come colore della pelle o dei capelli, a quelli complicatissimi come la fascetta al braccio del capitano, o ai bordini su calzettoni o calzoncini, insomma un perfezionista. Poteva trasformare i miei giocatori nei campioni o amici del mio immaginario, aiutandomi a colmare l’entusiasmo che avevo perso adottando questo nuovo modo di giocare.  
Il salvatore era il mio amico Vittorio, che disegnò in periodi diversi, almeno quattro o cinque  squadre, assecondandomi, curando ogni particolare e contribuendo in modo decisivo alla crescita delle mie motivazioni.  
La prima cosa fu dare il nome alla squadra, scegliendo senza esitazioni, un soprannome che mi era stato affibbiato da Massimo Cazzagon, non certo per vezzeggiare il mio cognome, Velli, quanto piuttosto per prendermi in giro, vista la coincidenza con una, fortunatamente non notissima, marca di preservativi, Velox.  
Quindi fu il turno dei colori sociali ed anche in questo caso non ebbi incertezze. Non scelsi lo splendido arancione, il colore delle maglie del Mestre Calcio, o il rosso nero del mio amato Milan, ma i colori che già avevo utilizzato con la mia squadra di calcio, la Folgore. Il giallo e il rosso. La prima maglia era metà gialla, metà rossa, le maniche gialla nel lato rosso e viceversa, bordini neri, pantaloncini neri, calzettoni rossi con bordi gialli.                  Lo stadio era il Baracanà, un abbinamento fra il mitico, Maracanà, lo stadio brasiliano di Rio de Janeiro dove si esibiscono i migliori giocatori del mondo e il meno noto, ma per me ugualmente importante, Baracca. Uno dei più antichi stadi di Italia, dove seguivo le gesta della squadra della mia città, dedicato al mitico aviatore eroe della prima guerra Mondiale, Francesco Baracca.  Dare un nome ed una nazionalità di appartenenza ad ogni singolo giocatore, fu il passaggio successivo, poiché tutto doveva avere una motivazione, fondamentale per il mio immaginario e per alimentare il mio desiderio di vincere, giocando bene.                                                   

La scelta spaziava fra amici, compagni di scuola o di calcio, avversari o calciatori. Non usavo il cognome vero, ma lo adattavo. Il colore della pelle variava. Alcuni erano con la pelle nera, tipica dei giocatori Sud Americani, tradizionalmente giocolieri e propensi ad un calcio “bailado”, quello che voleva esibire la Football Club Velox
Ecco nel dettaglio il mio “undici titolare”, che aveva già abbattuto ogni divisione o frontiera moltissimi anni prima di quando avvenne realmente.  Con il numero uno, in classica tenuta nera, con bordini giallo rossi, il portiere, il Cecoslovacco poiché a quei tempi si chiamava così la splendida nazione, con Praga per capitale dove, guarda il destino, ora soggiorno, Novak.  Con il numero due, terzino destro, il primo ad  uscire dalla scatola che conteneva tutta la squadra, per essere lucidato e posizionato in campo era Victor, Brasiliano di San Paolo. Terzino sinistro, con il classico numero tre, il Brasiliano di Bahia, pelle bianca, Saon ovvero sapone in dialetto veneto, poiché come il sapone sulle mani bagnate così lui era sgusciante sulla fascia. I tre centrali della difesa numerati con il quattro il cinque ed il sei, erano il francese Amos, l’uruguagio Rocia e il Brasiliano Panisao. Con il numero sette, capelli rossi, lo scozzese Morgan, il greco Fabricius con il numero otto, il centravanti, con il numero nove a rappresentare la scuola italiana, Pagnotta. Il capitano, il regista e fantasista ero io Velox,  con il dieci sulle spalle, mentre  l' ultimo ad essere posizionato nel rettangolo di gioco, ma primo come abilità, Braga, argentino, che raffigurava Bragagnolo, l’attaccante della Mestrina che con i suoi gol stava trascinando compagni e squadra alle prime posizioni della classifica. Con il numero undici, era l'unico calciatore reale della mia squadra.  Mancava solo inserire l’allenatore. In ballottaggio era fra l’esperienza dell’allenatore del Milan, il “Paron”, Nereo Rocco e la simpatia e la carica dell'allenatore  del nostro quartiere, Dino.

La scelta finale mi lasciò soddisfatto. La panchina della F.C. VELOX 1957 venne affidata a Paron Brusaferro, unico allenatore nel mondo a non essere mai stato esonerato. Anche Vittorio aveva creato la sua squadra, maglietta rossa, con banda nera centrale, a ricordare la maglia della formazione londinese dell’Arsenal, con colori diversi. Era la Football Club Victoria Necional. Logicamente ogni giocatore aveva un nome, ma non li rammento, anche se ad ogni gol che segnava, fosse a me o ad altri, esclamava a voce alta il nome del marcatore, vero precursore degli speaker da stadio odierni.  Fra le tantissime squadre che si era disegnato, una era veramente di una bellezza incredibile, curata in ogni particolare.

Divisa bianca, con rifiniture nero azzurre, era logicamente l'Internazionale di Milano e Sandro Mazzola il suo capitano. 
 




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