Gli ottavi di finale di Champions League sono un momento importantissimo della competizione, infatti la Coppa dalle grandi orecchie è stata vinta dalla squadra che proprio in questo momento si trova nel bel mezzo di una stagione disastrosa.
Da questo istante del torneo, la storia ci insegna che le cose possono cambiare da un momento all'altro, che una semplice azione ad intervento può decidere chi alzerà il trofeo: può essere la squadra più forte oppure quella sulla quale nessuno scommetterebbe mai un centesimo.

Nella primavera 2011 Stanford Bridge è in subbuglio: la stagione appena conclusa ha visto i ragazzi di Carlo Ancelotti perdere su tutti i fronti: zero titoli, per dirla alla Mourinho. Nonostante questo però si vocifera che gran parte dello spogliatoio vorrebbe che il mister reggiano rimanesse. Il numero 1 russo però è inflessibile: rinnovamento e linea verde. In quel periodo il nome più in voga è solo uno: Andres Villas Boas. E il tecnico del Porto rivelazione del campionato passato, capace di conquistare in un solo colpo campionato di Portogallo, Supercoppa nazionale, ed infine la prima Europa League. Quella sera a Dublino mentre i suoi festeggiano, Villas Boas è l'allenatore più desiderato d'Europa: giovane, carismatico, vincente, insomma un profilo cool, ma costoso. Il magnate russo però non ci pensa molto e paga i 15 mln di clausola e lo imbarcarsi primo volo per Londra, dove firma un contratto triennale ad una sola ammissione: tornare a vincere subito.

Sembra l'inizio di un'estate scoppiettante sul fronte acquisti, invece forse scottato dalle annate precedenti, il presidente riduce al minimo il mercato: spende, ma concentrandosi sui giovani Lukaku, Courois e Kevin de Bruyne a gennaio, ottime pedine per la panchina. I tifosi sono tiepidi, si aspettavano qualcosa in più (non sapevano ancora di avere tra le mani dei veri gioielli) ma il mister ex Porto sembra iniziare col piede giusto: nelle prime 8 partite perde solo a Old Trafford e pareggia con lo Stoke. In Champions, con un girone ostico ipoteca senza troppe difficoltà il passaggio agli ottavi. Qualcosa però all'improvviso si rompe: tra la fine di ottobre e dicembre,  la macchina Blues inizia ad ingozzarsi. Qualche tonfo clamoroso, un 3 a 5 in casa contro l'Arsenal e troppi pari. La difesa è sotto accusa e così a gennaio arriva Gary Cahill. Dai piani alti di Foulham Street iniziano a serpeggiare i primi malumori, infatti non tutti sembrano convinti della scelta fatta in estate. I due club di Manchester sono troppo più forti, e questo è chiaro. Ma dal giovane allenatore portoghese ci si aspettava qualcosa in più. E poi quelle voci su chi rimpiange Ancelotti continuavano a girare. 

Il primo momento di svolta arriva a febbraio: fuori dalla coppa di lega con un ritardo ormai incolmabile in Premier, l'attenzione del Chelsie è ormai tutta sull'Europa. Ma l'avversario non è una formazione qualsiasi: è un gruppo giovane che va fortissimo e che si è qualificato battendo il Manchester City. È il Napoli di Walter Mazzarri. 

In dieci giorni il castello creato in estate da quello che si era autonominato the normale one sembra crollare definitivamente. L'11 febbraio l'Evento passeggia sui londinesi. Villas Boas annulla il giorno libero e  chiede un confronto ai suoi. Alcuni vecchi dello spogliatoio tengono udienza da Abramovich criticando le scelte tattiche dell'ex Porto. La risposta del mister non si fa attendere: al San Paolo nell'andata degli ottavi di Champions lascia in panchina Lampard ed altri due calciatori. Alla fine entreranno tutti e tre ma sarà troppo tardi per cambiare il risultato. I partenopei vincono per 3 a 1 dominando per tutti i 90 minuti. Eppure in quella notte triste per gli ospiti, succede un episodio che cambia completamente le sorti dell'annata: minuto ottanta, Cavani manda in porta Hamsik. Lo slovacco manda a sedere Cech e fa un tocco preciso per Maggio che calcia di prima intenzione, quasi a botta sicura ma Cohl, uno degli esclusi dal tecnico,  pur cadendo all'indietro riesce a mettere la punta del piede fuori dalla porta e respinge il palla sulla linea. In quel momento tutto si capovolge. Villas Boas dura ancora un paio di settimane in aperta polemica con la presidenza, viene esonerato dopo una sconfitta contro il West Brownich. 

Per rivitalizzare la squadra il presidente opta per un traghettatore: a guidare i Blues fino a giugno sarà Toberto Di Matteo. Bandiera da giocatore, esponente storico della colonia italiana a Standfor Bridge è entrato nello staff dei londinesi da meno di un anno. Il debutto avviene due giorni dopo ed è una vittoria per 2 a 0 a Birmingham in FE Cup. I Blues di Londra per benedirlo cercano di invertire la rotta in campionato m agli esiti sono comunque altalenanti. Meglio, molto meglio nelle coppe. In quella inglese arrivano in finale e battono per 2 a 1 il Liverpool.  In Europa la data da incorniciare è quella del 14 marzo 2012. Di Matteo è mister da dieci giorni. La rimonta appare impossibile anche perché il Chelsie in difesa non è affidabile. Poco importa: i padroni di casa entrano in campo e sembrano un altra squadra rispetto al 3 a 1 subito fuori grotta. Dopo una colossale occasione di Cavani sale in cattedra l'11 Blue Drogba che di quel team e il vero trascinatore. Segna un goal che solo un grande attaccante come lui può fare: su cross pennellato di Ramirez, colpo di testa in tuffo sul primo palo e 1 a 0. Gli inglesi attaccano per tutti i 90 minuti . Terry anche lui di testa, raddoppia a inizio ripresa. 2 a 0 e qualifica. Inhler però riporta temporaneamente gli azzurri ai quarti. A 15 minuti dalla fine Dossena parla una zuccata di Ivanovich e l'arbitro fischia il rigore. Frank Lampard, uno dei tre sgraditi dell'ex tecnico di penality pesanti ne ha battuti molti in carriera ed infatti segna.
È una sentenza: 3 a 1. In quel momento il Chelsie vince un frammento della Champions League, non nel 4 a 1 di Ivanovich ai supplementari dove i  ragazzi di Mazzarri non ne hanno più,  non nei quarti tirati e meno emozionanti contro il Benfica, ma in quel destro violento, preciso e rabbioso del suo numero 8, del suo uomo simbolo insieme a Drogbae a capitano Terry. Si può dire che la favola di Di Matteo allenatore, breve ma intensa inizi proprio quel 14 marzo. I capitoli più belli però verranno dopo. Battuti i portoricani con doppia vittoria di misura sono pronti ad affrontare la scalata più dura: il Barcellona di Pep Guardiola campione in carica. I blaugrana di quegli anni non sono il team che esprime il miglior calcio bello e vincente, sono probabilmente IL CALCIO. L'ex centrocampista catalano ha attirato una rivoluzione che in questo sport non si vedeva dall'Ajax degli anni settanta. In quattro anni i suoi vinceranno 14 trofei sui 18 disponibili. Con tali premesse appare chiaro su chi siano orientati i favori del pronostico. In questo caso però non è una partita  come le altre perché non c'è nessun abbonato a Stanford Bridge che non ricordi ogni istante della semifinale 2009: la partita della vergogna, come la chiamano ancora dalla larte di West London. Quell'1 a 1 pieno di polemiche che ha escluso di inglesi dalla loro seconda finale in due anni e che ha dato il via al mito del Guardiolismo. In tanti di quella squadra sono ancora lì,  pronti a ripetere quel match atteso 3 anni. Gli ospiti se possibile sono ancora più forti. La partita è quella che ci si aspettava: i blaugrana costantemente nella metacampo avversaria con un possesso palla irreale di 72 % mentre la banda di Di Matteo gioca di rimessa.
C'è solo un problema: il Barca si piace troppo ed al momento di concludere provano sempre una giocata in più e la vanità nel calcio non è ben vista. Nel recupero del primo tempo Lampard azzanna Messi e gli toglie il pallone azionando la corsa di Ramirez. Il brasiliano si fa mezzo campo da solo e la crossa bassa in mezzo. Drogba la mette in rete senza troppi problemi. 1 a 0. Nella ripresa gli inglesi ovviamente alzano una diga davanti a Cech. A trenta secondi dal triplice fischio Pedro piazza sul secondo palo e sulla respinta Bousquets sbaglia un rigore in movimento. I padroni di casa vincono il match.

Il copione ovviamente non cambia nemmeno al ritorno,  il Barça attacca per necessità e per indole mentre il Chelsea si Santana negli ultimi 16 metri. Si tratta di un vero e proprio assedio anche se c'è da dire che al Camp Nou a volte è solo questione di tempo: al 35 minuto la palla entra in porta. La firma è di Bousquets su invenzione su Messi. Anche il più ottimista tifoso inglese pensa che ora è davvero finita anche perché Terry si fa cacciare pochi secondi dopo. Al 43° minuto azione del Barca e Iniesta fa 2 a 0. Il Barcellonasembra destinato a vincere un'altra Champions. Per pochi minuti però, infatti 120 secondi dopo dall'euforia generale di casa l'asse Lampard-Ramirez confeziona un'altra grande giocata. Tocco sotto stupendo che scavalca il portiere e 2 a 1. Adesso è il Chelsea in finale.
Il secondo tempo è un'altra giostra di emozioni. Al minuto 48' Drogba con troppa leggerezza tocca Fabregas in area: rigore netto. Sul dischetto va Leo Messi. Sembra di nuovo finita. La Pulce però tira una sassata che sbatte sulla traversa e torna in campo. Gli uomini di Di Matteo si savano, ma manca ancora da giocare quasi tutto il secondo tempo. Saranno altri 40 minuti di assedio. Cech parla tutto: sembra avere le ali, ad al 90 minuto quando i blaugrana tentano il tutto per tutto Torres segna in contropiede saltando Valdes. 2 a 2. Quel goal passerà alla storia perché in finale ci vanno i Blues. 

19 Maggio 2012, si gioca all'Allianz arena e l'avversario è una squadra che conosce molto bene quell'impianto: il Bayern Monaco. I bavaresi sono arrivati a quella sfida dopo aver battuto il Real Madrid. Si tratta chiaramente della finale degli sfavoriti, la finale che nessuno si aspettava. I tedeschi sono oggettivamente la squadra migliore e hanno i favori dei pronostici. I londinesi infatti, sono arrivati lì spinti principalmente dalla sorte e dalla forza dei singoli. La fortuna però sembra essere finita. Dk Matteo ha gli uomini contati: deve giocare la partita più importante della sua vita facendo a meno dei titolari  Terry, Ivanovich, Ramirez e Meireles, tutti squalificati. Impossibile schierare la formazione migliore. La partita è come molti sj aspettavano: predominio netto del Bayern anche se le occasioni vere e proprie sono pochissime. I tedeschi ci provano molte volte ma trovano la solita muraglia Blue a fare da schermo.
Tutto però cambia a 10 minuti dalla fine. Kroos pennella per Muller sul secondo palo che di testa la mette in rete. 1 a 0 Bayern. L'esultanza dei bavaresi è incontenibile. Sanno che è un gola pesantissimo. Il Chelsea prova ad attaccare ma senza essere pericoloso. Al minuto 89 però prende in mano la partita il suo uomo simbolo: Drogba, colui che sta giocando la sua ultima stagione con quella maglia,  colui che si pensava si vedesse in panchina dopo l'arrivo di Torres e che invece è ancora lì in campo a trascinare i suoi. Su calcio d'angolo in quella che probabilmente è l'ultima vera possibilità, l'ivoriano si smarca da Boateng e insacca di testa sul primo palo. 1 a 1. Si va ai supplementari. Drogba è di nuovo protagonista: galvanizzato da quel goal torna a difendere al limite dell'area, ma proprio come in semifinale commette un altra leggerezza assurda: sgambetto a Ribery e secondo rigore concesso in due partite. Questa volta l'ivoriano non deve ringraziare la buona sorte, ma il suo portiere che neutralizza il rigore calciato male da Robben. I Blues si salvano ancora. I bavaresi sembrano comunque averne ancora ma non tanto da infliggere il colpo del ko di conseguenza si va ai rigori.
Il Bayern si porta subito in vantaggio: Neuer prima para su Mata e poi segna lui stesso un penality. Ma non c'è niente da fare. Gli dei del calcio hanno scelto Londra come destinazione della coppa più importante a livello europeo. Due tedeschi sbagliano mentre il Chelesa li segna tutti e quattro. L'ultimo, quello decisivo è ovviamente di Drogba. La Champions è del Chelsea. La prima della sua storia.
Di Matteo quasi non ci crede: partito come tecnico di interim ha portato una squadra di sfavoriti sul tetto d'Europa.
Quell'Europa che il magnate russo inseguiva da quando nel 2003 acquistò il club. Per il Bayern invece è quasi una maledizione: seconda finale persa in tre anni per di più in vantaggio a pochi minuti dalla fine. Però quello che appare come un destino tragico si ribaltera' 12 mesi dopo. La parabola di Di Matteo terminerà invece una fredda notte di novembre, dopo uno 0 a 3 subito dalla Juve in Champions. In pratica la parola fine sulla sua carriera da allenatore.

Questa è la storia di una Champions impossibile.