Dobbiamo rispettare e dare un abbraccio al calcio dilettantistico. Perché l'anno scorso i nostri colleghi, perché tutti abbiamo iniziato da lì, erano 365.034 nelle varie categorie dilettantistiche mentre 680.531 erano i giovani delle scuole calcio o settori giovanili dilettantistici. Quindi, per la stagione 2019/2020 il totale di iscritti è stato di 1.045.565, oltre un milione di persone che fa parte di questo grande ed importante mondo. L'unico modo per salvare il calcio dilettantistico è che i giocatori di Serie A vanno a tassare il loro stipendio del 5% e lo donano con grande gioia al Mondo Dilettanti, perché nessuno lo aiuta. Facendo quel gesto, loro salvano sé stessi, perché tutti sono partiti da lì e tanti ci tornano”. Inizia così un articolo pubblicato dal Messaggero che descrive un appello lanciato da Lele Adani all’élite del pallone durante una diretta Instagram con Bobo Vieri. Non la definisco volutamente proposta, ma utilizzo il termine “invocazione”.

Siete mai stati nella bottega dell’artigiano che dipinge quadri per diletto? Quanto è magnifica e accogliente!! Spesso ospita giovani con la passione per l’arte che imparano così le tecniche basilari del disegno. Lo stesso vale per il “nostro” mondo. Sono tanti gli aspiranti giornalisti o blogger che si creano un loro spazio sul web e lo portano avanti con amore incondizionato, ma senza scopo di lucro. Anzi, sovente vengono loro imposte spese anche se non ingenti. A questi, però, non interessa perché il denaro investito con il cuore in un’attività sarà sempre ripagato. Scrivere li aiuta. A tratti è terapeutico. A volte la mano scalpita perché la mente la spinge a battere sulla tastiera. Molte persone hanno necessità di esprimere pareri e di manifestare opinioni per sentirsi libere. E’ quasi una missione e se non la svolgono si percepiscono incomplete. Penso anche alla musica. Basti guardare ai talent. Uno dei più noti è sicuramente X Factor in onda proprio attualmente su Sky. Il programma non è interessante soltanto dal punto di vista strettamente canoro o strumentale, è molto affascinante e toccante pure sotto il profilo emotivo. Si ammirano individui di tutte le età che manifestano un sentimento viscerale nei confronti del loro habitat. Lo adorano. I “giudici” si commuovono davanti alle esibizioni proposte. Credo che ciò sia in parte dovuto al fatto di riconoscersi in un’anima spinta a porre tutta la sua capacità e la sua speranza in quei 2 minuti concessi per convincerli e stupirli. Nessuno è nato nell’élite. Anche il figlio d’arte ha dovuto attraversare la gavetta per raggiungere i risultati sperati e sovente non vi è riuscito. Magari avrà affrontato fatiche e percorsi diversi dalla persona comune, ma ha comunque superato ostacoli rilevanti.

Questo, signori, è il mondo del dilettantismo. Vale in tutti gli sport e si riscontra la medesima situazione pure nel calcio. E’ la base della piramide. Durante il duro lockdown primaverile fui molto risentito delle parole del Ministro Spadafora che pareva voler tutelare soltanto questo settore senza considerare il professionismo. Come in ogni sistema complesso, il destino di una componente influenza quello delle altre. Ma si prenda a esempio anche un elemento molto semplice: una forchetta. E’ chiaro che se si rompono i denti, lo strumento non è utilizzabile. Lo stesso, però, vale per il manico. Il pallone dei campioni non può funzionare senza le sue fondamenta e queste non riescono a proseguire se non lo fa pure l’aristocrazia. Non è necessario trattare di astrali congetture economiche che comunque esistono. Basti pensare alla passione. Per carità, vi sono anche più casi di persone che amano divertirsi su un prato verde con gli amici, ma non perderebbero un minuto del loro weekend a guardare la serie A. Vi è poi chi osserva ogni singola partita senza aver mai dato un calcio al pallone, ma si tratta certamente di una minoranza. Il sottoscritto, per esempio, sta soffrendo parecchio l’assenza della possibilità di giocare. L’ultimo vero match risale al febbraio scorso. Dopo ho potuto svolgere solo allenamenti. Avrei una gran voglia di rivivere il ritrovo pre gara. Mi piacerebbe rivedere i compagni al bar che prendono il caffè prima dell’incontro. Sono noti, infatti, gli effetti stimolanti della bevanda. Personalmente, preferisco il té. Mi manca il viaggio in auto verso il campo sportivo, le indicazione del mister nello spogliatoio. Non sento più l’ansia che, anche a livelli molto bassi, sale durante il riscaldamento perché, se ami svolgere un’attività, non la prendi mai sottogamba. Vorrei percepire di nuovo le critiche dei miei “colleghi” se sbaglio un intervento o un passaggio, se non vedo una linea per qualcuno che è smarcato, se non eseguo un movimento. Gradirei risentire anche il sostegno dei rari istanti in cui “centro la giocata”. E’ magnifico pure il post partita con la rabbia o la gioia per il risultato che riaccompagna negli spogliatoi. Può persino scappare qualche piccolo battibecco, ma sono tutte emozioni positive che si spengono in un amen e che ti concedono di vivere una sana socialità. Oltre ad altre migliaia di problematiche, sicuramente più importanti, l’emergenza dovuta al covid-19 è una maledizione che ci sta levando pure tutto questo. Non dobbiamo dimenticarlo perché dovrà essere recuperato.

Dalle mie parti, il CSI (Centro Sportivo Italiano) è solito organizzare una kermesse estiva chiamata Torneo della Montagna. Il riferimento è alla zona appenninica reggiana. La mia provincia, infatti, si estende dal fiume Po sino al confine con la Toscana che è in altura. Parecchie borgate della zona sud del territorio partecipano alla manifestazione che, quando coincide con Mondiali o Europei, lascia sempre l‘indecisione: “Vado a vedere i ragazzi o guardo Germania-Olanda?” E’ chiaro che nel momento in cui scendono in campo gli azzurri hanno la precedenza ma, negli altri casi, il vero appassionato si trova di fronte a questo dubbio amletico. Parlo di interi pomeriggi trascorsi sotto la calura estiva mitigata soltanto parzialmente dal fatto di essere in quota e totalmente dalla passione che ci lega a questo sport. La possibilità di ammirare la sfida dell’amico di una vita o di trascorrere una domenica insieme a lui chiacchierando sugli spalti è qualcosa di sano e dovuto. Il tifo anche caloroso e a tratti un po’ brutale, senza mai eccedere nella violenza, a cui si assiste è affascinante. E’ la curva “pane e salame” che, tra l’altro, non mancano mai sugli spalti di tale torneo magari accompagnati da una birra senza però alcun abuso. Bandiere che sventolano, cori e striscioni dal sapore molto artigianale fanno da contorno a una rinomata manifestazione. Vi partecipano dilettanti che provengono pure dalle vicine zone d’Italia. Mi è capitato di vedere giocatori che giungevano dalla Toscana, dalla Romagna, dalla Lombardia e persino qualcuno dal Veneto. Insomma, il fascino è elevato. La scorsa estate, però, abbiamo naturalmente dovuto fare a meno di tutto questo, proprio come attualmente stiamo rinunciando alle categorie che scendono dalla serie D e che fanno capo anche alla Figc.

E’ chiaro che tale settore sopporta una grande sofferenza economica. E’ vero che è supportato da alcuni sponsor locali. Esistono imprenditori di zona che investono il loro denaro in tale attività, ma è praticamente una forma di volontariato. Si pensi anche soltanto all’assenza completa degli introiti derivanti dai diritti televisivi e dall’importanza che vantano nel calcio d’élite. Ecco, quindi, che si giunge alla magnifica proposta di Lele Adani, il Robin Hood del pallone. E’ scontato che il richiamo al noto personaggio vuole avere un’accezione esclusivamente positiva, perché concordo pienamente con tutto il discorso dell’ex difensore interista. In questo momento serve uno sforzo. E’ necessario che l’aristocrazia del calcio si avvicini al suo popolo porgendogli la mano per trascinarlo fuori dalle sabbie mobili in cui sta velocemente sprofondando. Il discorso di Daniele è apprezzato dal sottoscritto che non ha necessità di aggiungere altro commento perché sarebbe superfluo relativamente a un appello magnificamente formulato. Nel mio piccolo, posso soltanto provare a fungere da megafono. Non sono certo qui a raccontarvi le favole. Non sono il tipo. So perfettamente che nel dilettantismo calcistico “non è tutto rose e fiori”. Mi rendo conto che esistono magagne e personaggi poco raccomandabili, ma vi domando quale sia l’ambiente che non vive certe situazioni! Pure i famigerati eroi dell’attuale emergenza, gli operatori sanitari, conoscono il peccato originale. In sostanza, non nascondiamoci nella banalità rimarcando che vi siano settori più sacrificabili di altri.

Per i giocatori milionari potrebbe essere giunto il momento di ridimensionarsi. Il riferimento non è certamente legato a una normalizzazione degli stipendi che, credo, rimarranno comunque molto elevati rispetto alla maggioranza dei lavoratori, ma la necessità è giunta anche dai vertici del pallone. Il sistema è vicino al punto di rottura e per evitarne il tracollo occorre giungere a questo sacrificio. Non ne voglio fare una questione etica che in tanti manifestano. Non ho mai apprezzato le enormi differenze economiche tra le persone, ma mi rendo anche conto che, se mi venisse proposto un lauto guadagno, non mi tirerei certamente indietro. Insomma, non desidero essere ipocrita. Chi schiferebbe un reddito ingente e ricavato onestamente? Non è raro che il campione abbia vissuto un’infanzia difficile o quantomeno normale. E’ altrettanto noto che molti di essi si prodighino con invidiabile solerzia in mirabili attività di volontariato. Non si tratta di taccagni chiusi nelle loro case dorate. Visto che il Natale si avvicina direi che non sono come Mister Scrooge di A Christmas Carol.

Vorrei chiudere il pezzo ricordando ancora una volta il magnifico appello di Lele Adani e facendo un plauso a questa persona che ha avuto la fortuna di vivere l’aristocrazia del calcio e nella sua seconda carriera, quella da uomo dei media, manifesta grande, umanità, equilibrio, umiltà e genialità. Personalmente lo ritengo un esempio.