Premetto: sarà lungo ma, come ho già spiegato in altri casi, ho preferito non spezzare quanto scritto onde evitare di rompere il flusso emotivo.

UNA NOVITA’
Oggi voglio regalarvi una cosa diversa. Oddio “regalarvi”… Che parolone! Siete voi che fate a me il dono di leggere i pezzi. In ogni caso, gradirei provare a redigere una novità. Già prima della ripartenza del calcio post lockdown proposi articoli relativi a pagine storiche di questo glorioso gioco, che smuovano la mia passione e i miei sentimenti. Mi era piaciuto parecchio. Mi ero emozionato molto. Trattavo di Juventus e, quando tocco quel tema, il trasporto è sempre maggiore. Ora vorrei tentare con la Nazionale. Amo l’azzurro ma, scusatemi, non come il bianconero. Devo essere sincero e non desidero risultare falsamente patriottico. “Perchè?”, vi chiederete. Beh… i veri tifosi penso che comprenderanno. Ciò che amalgama ai colori di una maglia è qualcosa di viscerale. Può derivare da un legame con un’altra persona o da una storia di vita e il trasporto è sicuramente forte. Passando a tematiche meno eleganti ed edificanti, ma altrettanto realistiche, mi sentirei di sostenere che esultare insieme ai supporter di altri club è parecchio entusiasmante, ma lo sfottò sano e senza eccessi è il sale del pallone. E’ chiaro che la società che vince una Champions o lo Scudetto rappresenta qualcosa di differente. Sarò strano, ma non amo neppure un altro fattore che ruota sempre intorno alla galassia della maglia italica. Questa è dimenticata da molti e viene onorata soltanto nel momento in cui si celebrano i Mondiali o gli Europei. Non lo trovo coerente. Credo che verso il vessillo rappresentante sportivamente un Paese serva costantemente la massima attenzione e il più grande rispetto. Per una volta, mi schiero con i più romantici. Il vero motore economico del calcio sono i club, ma la Nazionale è speciale perché chiama a fare le veci del proprio popolo. L’atleta, ma anche l’allenatore, il dirigente e il magazziniere “sono” uno Stato. E’ un incarico filosoficamente determinante. Non comprendo, poi, e qui sarò ancora più “fastidioso”, il motivo per cui le grandi kermesse muovano le masse. O meglio, lo capisco ed è di mio gradimento. E’ favoloso vedere come chi non ha mai guardato una partita in vita sua, durante quel mese, ogni 2 anni, diventa improvvisamente appassionato e segue il pallone come il più “fanatico”. E’ fantastico perché denota la popolarità sana di uno sport semplice che arriva a tutti. Sono 30 giorni di affetto e amore. E’ come se il globo cadesse in una bolla totalmente dedicata. L’azzurro sullo sfondo verde, bianco e rosso divengono i colori predominanti e ci si unisce in un unico abbraccio che porta a un probo spirito patriottico. Sinceramente è molto diverso da quello triste e illusorio che abbiamo vissuto durante i primi tempi del covid. Questa è un’unione positiva, festante che davvero conduce le persone a immedesimarsi gli uni con gli altri e provare le stesse gioie. Non è guidata dalla paura. Solo, però, sarebbe il caso di non denigrare il pallone durante il resto della propria vita. Non si lo può utilizzare come diversivo momentaneo per poi parlarne alla stregua del peggiore dei mali.

Euro 2021 – La situazione attuale è molto triste e pesante. Le persone sono schiacciate in un’emergenza che non è più soltanto sanitaria. La popolazione è stanca e stremata. La problematica legata al covid si è trascinata conseguenze psicologiche, economiche e sociali altrettanto importanti e dovute alle misure poste in atto al fine di contrastare l’espandersi terrificante della pandemia. Euro 2020 si sarebbe dovuto disputare la scorsa estate in maniera itinerante. L’avvio della kermesse era programmato l'11 giugno di un anno fa con Italia e Turchia di scena all’Olimpico di Roma per chiudersi con la finalissima di Wembley 30 giorni più tardi. In realtà, in quelle date, alcuni tornei nazionali stavano riprendendo il loro cammino e altri si avviavano a farlo a seguito del duro lockdown posto in atto la scorsa primavera. Qualche Paese adottò un confinamento più rigido, altri meno. Tutti, però, ebbero un punto in comune. Lo sport si fermò anche a livello professionistico. Questa linea resta univoca, ma in senso contrario. Nel secondo blocco rigido, gli atleti d'élite hanno potuto proseguire la loro attività. E’ merito dei protocolli che, se ben fatti e applicati in modo corretto, funzionano. Continuo a ribadire che, sino a che il vaccino non avrà compiuto l’opera per cui è stato creato, questi rappresentano il solo strumento concreto per affrontare la situazione. Occorre saper convivere con il virus perché il rischio è di trascinarselo ancora a lungo. Le chiusure non possono più rappresentare una soluzione valida in quanto aiutano una situazione, ma calpestano completamente altre realtà risultando ormai più dannose che utili. In ogni caso, non vorrei perdere il filo del discorso, l’Europeo è stato rinviato di un anno e, allo stato dell’arte, si disputerà con le stesse modalità. La speranza è che si possa arrivare a giocarlo senza doverlo traslare in un singolo Stato. Ceferin impone pure la presenza del pubblico. Vedremo. L’importante è che la manifestazione si disputerà finalmente, dando un sintomo di normalità e di fiducia in un futuro migliore. Credo che, simbolicamente e concretamente, lo sport professionistico stia rappresentando qualcosa di molto utile durante questo secondo lockdown. Chi lo ama, infatti, ha un diversivo. Vanta un modo di distrarsi e vede davvero un passo in avanti rispetto a un recente trascorso desolante e devastante.

Notte prima degli esami - Dopo questo lungo preambolo, vado a raccontare le mie emozioni e lo faccio come se fosse una “Notte prima degli Esami”. Cito, così, Antonello Venditti. Quando l’Italia compì la magnifica impresa dell’estate 2006 avevo appena chiuso il quarto anno delle superiori e mi trovavo a dover affrontare il quinto. Il mio Mondiale non ha coinciso, quindi, con la maturità, ma la situazione era molto simile. Vi chiederete il motivo. E’ presto detto. Durante il precedente inverno usciva il noto film con Nicholas Vaporidis e il grande Giorgio Faletti. L’opera aveva proprio il medesimo titolo dato alla canzone del cantautore romano e ogni membro della mia generazione non può che collegare quei capolavori. Eravamo nel pieno dell’adolescenza: pellicole e musica romantiche, estate, ragazze, amici, mondiale di calcio vinto dagli azzurri… Insomma, un mix perfetto. Sembrava disegnato su misura. Così vorrei raccontare quell’esperienza magica che personalmente credo proprio abbia visto il passaggio dalla fanciullezza a una giovinezza più matura. Non è solo pallone, ma un insieme di sentimenti. E’ una storia di vita. La speranza è che anche i giovani d’oggi possano vivere la medesima realtà. Solo ora, forse, ci rendiamo conto di quanto eravamo fortunati. Non voglio illudere nessuno e sono purtroppo certo che, a meno di miracoli, la prossima estate non sarà festante come quella di 15 anni fa, ma l’auspicio concreto è di essere più liberi con la certezza, invece, di gustarci finalmente la Nazionale. E’ una squadra forte e che promette bene. Nulla le è precluso. L’anno in più può persino averla agevolata perché ricca di giovani che hanno avuto 365 giorni ulteriori per maturare esperienza.

NOTTI MAGICHE

Aria di Calciopoli - Era la primavera del 2006 quando, un pomeriggio qualsiasi di fine anno scolastico, stavo guardando la tv. Ero uno studente piuttosto fortunato e capace. Riuscivo, quindi, a non ridurmi all’ultima parte del percorso per ottenere la promozione. Nel finale, mentre molti erano impegnati in complicati recuperi, avevo maggiore tempo a disposizione per i miei interessi. La fatica del precedente tragitto mi aveva favorito. Qualche volta potevo godermi almeno spezzoni della tappa del Giro d’Italia, altre una partita a calcio con gli amici. Durante lo zapping, passai sul telegiornale sportivo di SkySport. Quella notizia era destinata a cambiare per sempre il destino della mia squadra del cuore, ma sul momento gli diedi poco peso. La Juve veniva accusata di qualche illecito sportivo legato ad arbitraggi di gare di cui ero sinceramente poco interessato. Nella mia inesperienza dovuta alla tenera età, mai avrei creduto in un futuro che poi si è puntualmente realizzato. Immaginavo le solite discussioni degne del Processo di Biscardi, ma supponevo che tutto si fermasse in qualche trasmissione televisiva riscaldata da animi infuocati e comunque molto interessante. Così non ci pensai, anche perché la mia mente era concentrata soprattutto sul portare a termine il mio dovere e sulla trasferta che mi sarei goduto poco dopo per andare a vedere la Vecchia Signora in una gara decisiva per lo Scudetto contro il Palermo. Si giocava al “Delle Alpi” e sono piuttosto sicuro che quella fu l’ultima volta in cui i bianconeri scesero in campo in tale impianto. Ero contento. Figuratevi. Sognavo, tra l’altro, di poter festeggiare lo Scudetto già durante quell’appuntamento. In realtà, la lotta al Milan era praticamente chiusa. Ma il Diavolo riuscì ad allungarla ulteriormente impedendomi di poter godere del titolo dal vivo. Che peccato! Lì, tuttavia, iniziai ad avere una percezione diversa della notizia ascoltata qualche giorno prima. Gran parte del tifo bianconero, infatti, lanciava epiteti non propriamente gentili nei confronti di Guariniello, il Magistrato che aveva un ruolo chiave nel Procedimento che vedeva coinvolta la Juve.

Scudo macchiato - Trascorse solo una settimana e, sul neutro di Bari, la Vecchia Signora vinse lo Scudetto che poi le sarebbe stato revocato dalla Giustizia Sportiva per assegnarlo alla terza classificata, l’Inter. I piemontesi ebbero la meglio sulla Reggina e la festa andò in scena, ma fu una celebrazione triste. Era ormai piuttosto palese, infatti, che Calciopoli sarebbe stata “roba grossa”. Naturalmente, l’animo dell’adolescente, anche distratto da altri avvenimenti della vita, non poteva riconoscere certe situazioni. Ero semplicemente soddisfatto. La mia squadra aveva vinto il titolo e l’anno scolastico era davvero agli sgoccioli. Meglio di così… Peccato, però, che gli adulti intorno a me mi avessero avvertito: difficilmente il vessillo sarebbe rimasto dalle parti di Torino. Poco importava. Vivevo alla giornata. Per ora era nostro. La sensazione della vittoria di Pirro è una delle emozioni più orribili che si possa vivere nel calcio come nella vita.

Un Mondiale già scritto - Cosa c’entra questo preambolo con la Nazionale e il Mondiale?, vi chiederete. Beh… non lo so. Ma credo che vi sia una sorta di connessione. Il mondo sportivo trattava di quella notizia a ogni latitudine. Non solo nel nostro Paese. Calciatori come Buffon, Zambrotta, Fabio Cannavaro, Camoranesi e Del Piero non potevano che essere fortemente interessati alla questione. Che si voglia o no, loro quel titolo lo percepivano conquistato con fatica e sudore. Dovevano dimostrare di averlo vinto sul campo e, soprattutto, volevano manifestare lo strapotere. Quell’Italia aveva una forte anima bianconera e questa nutriva “fame di vendetta”. Sembra una brutta espressione, ma occorre intenderla nel senso positivo del termine. La fetta di gruppo aveva necessità di esporre al pianeta il suo reale valore. Cosa meglio di un Mondiale? Altri, invece, vantavano un umore completamente differente, ma che conduceva alle medesime motivazioni. Si pensi, per esempio, a Materazzi. Lui era l’unico dei commilitoni che aveva la forte speranza di poter finalmente conquistare uno Scudetto dopo circa 15 anni di delusioni. Era da tanto che la frangia complottista dei nerazzurri rimarcava ingiustizie nei confronti della Beneamata. Questi erano i reali vincitori. Che estate sarebbe divenuta per un ragazzo se in un mese trovava un trofeo somigliante ormai a un tabù e vinceva una Coppa Rimet? Da impazzire di gaudio e di gioia. Non vi voglio svelare il finale, ma così fu… Ecco, poi, la componente milanista che assomigliava a “color che sono sospesi”. Il destino dei rossoneri, infatti, era un po’ incerto come l’implicazione del Diavolo in Calciopoli. Loro, quindi, sintetizzavano i sentimenti sabaudi e quelli dei cugini. Nesta, Pirlo, Gattuso, Gilardino e Pippo Inzaghi. Non quisquiglie… A questo si aggiungeva l’ala romanista. La squadra di Spalletti era in crescita dopo un periodo nero seguito all’addio di Fabio Capello. I giallorossi stavano trovando un nuovo spirito e una grande identità che li resero, poi, la maggior rivale dell’Inter per i successivi 2-3 anni. Il riferimento è a Perrotta, De Rossi e Totti. Il Capitano aveva un conto in sospeso con la sorte. Rientrava dal famoso terribile infortunio dovuto a uno scontro con Vannucchi durante un Roma-Empoli del febbraio precedente. Il danno alla gamba del diez sembrava impedirgli l’avventura tedesca. La forza di volontà di Francesco, insieme alla fiducia garantitagli dal c.t. Lippi, lo condussero diretto in Germania. Non poteva non ripagare tanto affetto. A questo si aggiungevano uomini come Barone, Grosso, Toni e Iaquinta che nutrivano le potenzialità e le capacità per mostrare al mondo di meritare i palcoscenici migliori. Lo affermo con il massimo rispetto per Palermo, Fiorentina e Udinese. Insomma, per un motivo o per l’altro, questo gruppo aveva una spinta particolare. Esisteva una necessità fondamentale e manifestava evidentemente le stigmate per il trionfo.

L’adolescenza - Avrei voluto raccontarvi della gara inaugurale del torneo, ma sarei falso. Non ho ricordi. Sapete… Proprio in quel periodo presi una bella cotta per una ragazza. Ci sta. Era l’età. Mi distrasse un po’ dal calcio, ma mi aiutò a vivere il Mondiale con un’enfasi diversa. Non l’avevo mai provata. Grazie al web, però, posso osservare che si iniziò da Monaco e dalla nuova Allianz Arena. Il gioiello bavarese aveva appena visto la luce. I tedeschi si sbarazzarono facilmente della Costa Rica che 8 anni più tardi ci avrebbe fatto tanto male durante l’edizione carioca del Mondiale. Rimembro perfettamente, invece, le mie mattinate vacanziere. Soprattutto chi ha lasciato la scuola da un po’ deve sapere che, per lo studente appassionato di pallone, le kermesse dedicate alle nazionali sono speciali anche perché coincidono sempre con lo start delle ferie. La mattina mi alzavo solitamente verso le 9. Che bello eh?! Con il massimo della calma, mi dirigevo in cucina e accendevo la tv gustandomi un tea caldo che spesso era accompagnato da una pasta. Che estate fortunata! Mi godevo, quindi, una trasmissione Sky dedicata proprio alla Coppa Rimet tedesca. Ho memoria di un giovanissimo Fayna che si esibiva sovente in spericolate acrobazie all’interno degli studi. Chi avrebbe mai detto che quello “strano”, lo dico con l’accezione più positiva del termine, ragazzo sarebbe divenuto in futuro protagonista assoluto dei format dell’emittente di Santa Giulia! Vabbè. Me la godevo. In quel periodo, come penso capiti a molti coetanei, mi venne la fissa per l’aspetto fisico. Ero alla soglia della maggiore età. Iniziavo, quindi, a praticare attività sportiva con un’intensità a me prima sconosciuta. Anzi… ero noto come una persona “motoriamente” molto pigra. Quel periodo cambiò completamente il mio modo di pensare. Poi.. dovevo fare colpo. Un mio compagno di classe mi trasferì una forte passione per il basket che per un breve periodo divenne la mia disciplina preferita. Non mi riconosco. Comunque… la mattina andavo a correre o giocavo da solo a pallacanestro. Il pomeriggio, invece, mi dedicavo ai pesi e alla palestra oltre che, chiaramente, alla visione delle partite del Mondiale.

Il girone - “Certi amori non si finiscono, fanno giri immensi poi ritornano”. Giuro, non l’ho fatto apposta. Questo pezzo sta diventando molto “Vendittiano”. In ogni caso, l’amore per il calcio era un po’ sopito da altre esigenze giovanili, ma era lì. Latente. Non muore mai. Così ricordo perfettamente l’esordio azzurro contro il Ghana. Era un lunedì sera. Mi trovavo a casa dei miei nonni che abitavano sopra di me. Guardavo la partita con loro e uno dei miei più grandi amici. Non ho una ferrea memoria della sfida, ma sicuramente i lampi dei gol sono stampati nella mente così come le esultanze. Pirlo mi fece impazzire di gioia con un tiro da fuori. Ammetto che non amavo troppo Iaquinta, quindi, faticai a essere altrettanto felice per la sua realizzazione. Non apprezzai tanto nemmeno il suo eccesso di gioia nel momento in cui stramazzò al suolo portandosi le mani davanti agli occhi come se avesse risolto una crisi di portata globale. “Ok… Un gol al Mondiale è tanta roba, ma tutto ha un limite”. Pensai. Non abito lontano da uno dei luoghi che ha caratterizzato la vita di Vincenzo. Mi fu raccontato di scene estreme di giubilo da parte di chi era realmente affezionato al giocatore. Ci sta. Li capisco. Comunque, gli azzurri si sbarazzarono per 2-0 degli africani e centrarono i primi 3 punti. Bene. Ma il ricordo di quanto accaduto 4 anni prima era vivo. L’Italia demolì l’Ecuador prima di perdere contro la Croazia per poi risollevarsi incredibilmente con il Messico e uscire agli ottavi contro la Corea del Sud. In sostanza, una rondine non fa primavera e un buon avvio non significa nulla. Eh infatti… Il secondo match si disputò il sabato successivo. Trascorsi il pomeriggio a casa di un mio amico prima di recarmi la sera a una festa dove seguimmo, anche se non integralmente, la partita contro gli USA. Iniziò quando ancora ero in auto e Gilardino segnò quando stavo cenando. Non avevo la TV davanti a me. Appresi le notizie tramite SMS. Sì, signori! E’ incredibile da credere perché il 2006 non è l’Era Paleozoica, ma non avevo un cellulare che mi consentisse di navigare sul web. Forse ne esisteva già qualche esemplare? Non il mio. Eppure sono soltanto 15 anni fa. Seppi, quindi, della rete di Alberto solo grazie alle informazioni che qualcuno mi diede con i famosi messaggini. Era il mio idolo e fui molto felice per la sua marcatura. Ricordo il duello con Toni. Ero uno dei pochi, tra i miei amici, a preferire il rossonero al Viola. Abito a Reggio Emilia e i trascorsi parmigiani del biellese sicuramente non l’agevolano. Luca, però, è di origini modenesi. Non so il motivo per cui fosse più amato. Il fatto di non aver mai avuto un legame con la squadra della sua Città avrà forse influito? Piccole storie di campanilismo che sinceramente non ho mai vissuto così profondamente, tanto che da juventino adoravo un milanista come Gila. Vidi, comunque, tutta la ripresa e forse sarebbe stato più opportuno non averlo fatto. De Rossi fu espulso tornado soltanto alla fine dell’avventura e Zaccardo infilò la sua porta. Uno a uno. Bisognava giocarsi la qualificazione contro la Repubblica Ceca nell’ultima gara del girone. E’ chiaro che un alone di paura viaggiava nel mio cuore come in quello di chi teneva parecchio alla maglia azzurra. Ero, però, soddisfatto per il bomber milanista e il suo violino. Il match decisivo contro i cechi non partì nel migliore dei modi. Ancora una volta mi persi l’avvio delle ostilità. Avevo accompagnato mia madre a un appuntamento importante e non rientrammo prima dello start della partita che si giocava durante il pomeriggio. Non vidi Nesta dover abbandonare la gara per un problema muscolare, ma potei assistere al golasso del suo sostituto: Materazzi. L’azzurro svettò in mezzo alla difesa avversaria e stampò il vantaggio. Ero solo. Preso da mille pensieri esultai in maniera piuttosto composta. In effetti ero molto affezionato al destino dei singoli giocatori e, essendo juventino, amavo Nedved. Mi sentivo sinceramente dispiaciuto per Pavel. D’altra parte non si può vincere tutti. Esplosi, invece, alla rete del raddoppio. Sarebbe bastato un pareggio per spedirci negli ottavi, ma il 2-0 firmato da Inzaghi mise in cassaforte il risultato. Superpippo è un altro idolo della mia infanzia. I tifosi bianconeri adoravano Del Piero. Io ammiravo il piacentino. Era più arrivabile. Non era nell’Olimpo. I suoi gol erano d’astuzia e intelligenza. Non servivano enormi capacità balistiche o una tecnica sconfinata. Mi piaceva per quello. Avrei potuto essere come lui. E’ logico che era una semplice illusione perché, come tutti i campioni, anche il milanista aveva immense doti innate, ma un ragazzino non può concepirlo. La passione per il calciatore mi rimase lungo tutto il corso della carriera. Così, quando vidi che era lanciato a rete insieme a Barone, capii immediatamente che non avrebbe mai e poi mai servito il compagno. Inzaghi non è egoista. E’ un bomber. Vive per il gol. Ha sfruttato il movimento e il supporto del palermitano per ingannare il portiere avversario. Cech rimase a metà strada. Non sapeva se chiudere sull’uno o sull’altro. Pippo non perdonò l’indecisione e io esplosi di gioia. Eravamo negli ottavi.

L’Australia e Iceman- Eccoci dunque nella fase a eliminazione diretta. Quella più entusiasmante. Quella decisiva. La prima avversaria era l’Australia. E’ andata bene. Pensarono in tanti. In effetti, come dar loro torto?! I Socceros sono una buona compagine ma, sulla carta, non paragonabile alle big. C’era una conoscenza del nostro calcio: Bresciano. L’uomo che per esultare si fermava e restava immobile come una statua. Un trequarti moderno. Un centrocampista molto abile negli inserimenti. Al tempo vestiva la maglia del Parma ma, proprio quell’estate, andò a Palermo. Lo spauracchio aleggiava soprattutto in panchina perché il mister era un mago come Guus Hiddink. Mi trovavo da uno dei miei migliori amici. Guardammo il match, io, lui e il fratello maggiore con la mamma che, ogni tanto, metteva la testa nella stanza per osservare il risultato. Insomma, il clima era abbastanza elettrico e, personalmente, apparivo molto sereno. Ero tranquillo. Sempre le mie stranezze… Avevo un legame affettivo piuttosto forte con il Paese Oceanico perché un mio zio aveva vissuto lì a lungo per motivi professionali. Insomma, ci tenevo. La sfida non partì troppo bene. Espulso Materazzi. Nonostante la lunga inferiorità numerica, gli azzurri ressero bene e, quando ormai i supplementari apparivano inevitabili, Grosso si fece atterrare dentro l’area dei gialloverdi. RIGORE!!!! Odo ancora le grida del noto telecronista SkySport, Caressa. In realtà, il penalty apparì generoso. Ma certi eventi sembrano mostrare il futuro. Nessuno poteva immaginare che questo fosse solo l’antipasto del gran Mondiale disputato dal terzino del Palermo. Sul dischetto si presentò un glaciale Totti. Anche su questo si è romanzato giustamente un sacco. Tiro-gollll!!!! Si va ai quarti. L’esultanza dei miei compagni d’avventura fu sfrenata mentre io rimasi freddo come Francesco. Nessun grido. Muto. A dire il vero, l’idea di gustarmi i rigori, mi allettava. Sono folle. Lo so. Ripensandoci, non riproporrei mai un pensiero simile. La madre del mio amico fu esplicita: “Gio, sei un uomo di ghiaccio!”. Aveva ragione. Sarò stato l’unico italiano a non accennare alla festa. Pensavo alle mie pene d’amore? Può essere.

Ucraina, una formalità- Si giunge così ai quarti di finale. Ricordo molto bene che si disputarono di sera, ma non ho memoria del giorno. Guardai, però, con grande attenzione la sfida tra Germania e Argentina perché sapevo che la vincente sarebbe stata la nostra avversaria della gara successiva. Azzeccai il pronostico tedesco e fu una partita favolosa che mi gustai con grande passione perché metteva di fronte rivali molto forti e competitive. La garra argentina contro la tenacia teutonica. Ne uscì un match favoloso risolto solamente ai calci di rigore. Ma torniamo a noi! Ammirai la sfida all’Ucraina con lo stesso amico con cui seguii il match contro l’Australia… La cabala. No scherzo, non credo granché a tal genere di situazioni. In ogni caso, la partita contro Sheva e compagni fu molto più semplice del previsto. Un 3-0 senza storia che portò le reti di Zambrotta e Toni. Il bomber di Pavullo nel Frignano ne fece 2 mettendomi un po’ in difficoltà nel sostegno a Gila. Mi giunse qualche messaggino di scherno. Ma vabbé. E’ bello così. Al termine dell’incontro, il mio compagno si diresse a festeggiare la vittoria per le strade del Paese strombazzando in scooter. Non disponevo del mezzo e non avevo la patente. Osservai la festa dal giardino di casa. La testa, però, era concentrata sulla semifinale.

Una gioia particolare - Italia-Germania la vissi al mare. Mia sorella e mia madre si trovavano lì. Erano a Cesenatico dove facevano attività di volontariato accompagnando in vacanza dei ragazzi disabili. Io e un mio amico decidemmo di raggiungerle per due o tre giorni, proprio quelli della super sfida ai teutonici. Fu molto piacevole poter osservare la gioia nei loro occhi. Questo è ciò che mi rimase più impresso della partita. Vi giuro. Non è retorica. Quei ragazzi avevano circa la mia età, ma alcuni erano persino più adulti del sottoscritto e ammirarli così contenti per il pallone non può che avvicinare allo sport. E’ il valore di tale disciplina. Arriva davvero a tutti. Sulla vittoria di Dortmund non ho altro da aggiungere. Tutto si sa. Dal gol di Grosso al noto: “Chiudete le valige, si va a Berlino” pronunciato da Caressa. Io ho una memoria diversa di quell’evento e, scusatemi, ma credo che sia favolosa. L’emozione del più fragile. Andammo, poi, a festeggiare per le strade romagnole dove alcuni tedeschi giravano con i loro vessilli aumentando ancor più l’ilarità italica. Che serata!

La magia del calcio - Ci attendeva la Francia! Il 9 luglio 2006 era una domenica. Dopo una serata trascorsa con gli amici, non mi alzai troppo presto. Ricordo, però, che si respirava un’aria diversa. La tensione era positiva. Era come se l’Italia, e pure la parte di essa in cui vivo, fosse a conoscenza anticipata dell’esito del match. Era una splendida giornata di sole e, nel pomeriggio, giocai a basket con qualche amico. Cercai di non pensare alla finale e le mie pene d’amore mi aiutarono. In effetti, la sera arrivò piuttosto in fretta così come il big match. Cenai nel mio giardino con il solito gruppo di ragazzi che frequentavo. Per la super sfida eravamo pure in dolce compagnia. Insomma, il massimo della vita. E, come detto in apertura, il calcio compie miracoli! Scherzo! Guardammo la partita tutti insieme. Maludà a terra. Rigore. Zidane dal dischetto. Cucchiaio, traversa e gol. Sembrava sbagliato. Avevo già esultato. Mannaggia! Che figura! E soprattutto che delusione! Gli azzurri reagirono. Materazzi svettò. E’ uno pari. Ricordo la frase di qualcuno che osservava il match con me: “Barthez, questo è solo il primo. Il riferimento è chiaramente al portiere d’oltralpe. Aveva ragione! Supplementari… Zizou sbroccò. Testata a Matrix. Ormai è storia! Caressa gridò allo scandalo. Il direttore di gara espulse il glorioso Zinedine, il vero spauracchio azzurro. Il Mondiale prendeva una direzione praticamente definitiva. Ci abbracciamo tutti. Come se avessimo segnato il gol della vittoria. Ragazzi e ragazze, uniti in un unicum. Con il medesimo obiettivo. Con il traguardo a pochi metri. Questi sono i sentimenti che muove il pallone e che purtroppo il maledetto covid sta limitando fortemente. E’ fantastico poter esultare così, tutti insieme. Torneremo a farlo! In ogni caso, la gara si protrasse fino ai rigori e all’ennesimo sigillo di Grosso che decretò l’apertura della notte più magica. Altro spuntino perché il primo era stato piuttosto leggero. Non avremmo dovuto giocare, ma la tensione era simile a quella degli atleti.
Era finita! Lo stomaco era tornato a disposizione. Poi via, verso il centro della Città con bandiere e maglie azzurre in una Reggio Emilia impazzita di gioia per una festa che presto dovrà tornare perché questo è il calcio e così è la vita.