La Champions League da sempre possiede un fascino tutto suo. Un’incredibile atmosfera dove tutti, nessuno escluso, possono permettersi di sognare ad occhi aperti. La meraviglia delle notti europee è così intensa grazie al paradossale contrasto tra il prestigio della competizione e la consapevolezza di ogni squadra, che nonostante tutto, sente di poter dire la sua. Spesso i valori in campo sono distanti anni luce, nonostante ciò, grazie all’inspiegabile magia che emana la coppa dalle grandi orecchie nessuno si da per vinto, nessuna squadra si sente sconfitta in partenza, tutti sentono il dovere di provarci.

Il fascino, il prestigio e la modalità della competizione spingono tutti a dare il massimo.

Queste condizioni psicologiche sono una caratteristica unica ed inimitabile della Champions League. Per esempio in un campionato dove il percorso è lungo e proibitivo le “piccole” hanno molto più difficoltà a mantenere un certo tipo di concentrazione e spesso davanti alle “Big” si lasciano andare e si affidano all’alibi dell’eccessivo Gap tecnico/economico.
Grazie a questa mentalità unica legata al fattore Champions League abbiamo avuto la possibilità di emozionarci grazie alla realizzazione di imprese che sembravano semplicemente impossibili.

Ci siamo riempiti gli occhi di stupore e ammirazione con la Champions vinta dal Porto nel 2004, ci siamo lasciati coinvolgere dalla grinta di Drogba e del suo Chelsea nel 2012 e anche quando queste favole non si sono concretizzate del tutto ogni volta ci siamo innamorati del calcio un po’ di più. Il Villareal di Riquelme, il Monaco di Mbappè fino ad arrivare alla Roma di Francesco e L’Atalanta del Gasp che tanto ci ha fatto sognare senza dimenticare le recenti Lipsia o Lione. L’imprevedibilità e le sorprese sono le favole che amiamo e che ci fanno sentire dannatamente vivi.

Ovviamente ammirare gli scontri tra i “top club” europei è avvincente, senz’altro ammirare i migliori giocatori del pianeta che si sfidano tra loro a colpi di talento è appagante per gli occhi, ma forse non per il cuore.
Il calcio necessita di lasciarsi andare alle favole, ha un disperato bisogno che ogni tanto vinca il più bravo e non il più forte. Occorre che i pronostici siano ribaltati e che il potere economica non corrisponda sempre a quello tecnico.

Bisogna anche guardarsi intorno e cercare di far conciliare tutto questo con la situazione dettata dal corona virus. Un nemico beffardo che sta cercando di mettere a repentaglio le sorti della nostra più grande passione. Occorre fare i conti con il Covid-19 ma non possiamo permetterci di abbassare la testa. Usando l’astuzia potremmo addirittura adoperare il Covid-19 come arma per restituire un po’ di spettacolo al pubblico. Il virus ci svuota gli stadi? Noi cambiamo le modalità dei tornei rendendoli più avvincenti. Si cerca di fare di necessità virtù e così dobbiamo provare a ridurre le partite. A primo impatto la soluzione di ridurre i match da giocare può far male, ma se analizzata è l’alternativa più sensata e non è necessariamente la meno spettacolare. Diminuendo le partite si diminuisce anche il tempo per il completamento del torneo e ovviamente la possibilità che le partite siano rinviate o falsate a causa delle positività.

La “final eight” già utilizzata l’anno scorso pare essere il compromesso più equilibrato tra la sicurezza e lo spettacolo. Eliminando la formula di andata e ritorno si concede più probabilità alla casualità e si lascia più spazio all’avveramento delle favole. Il doppio confronto riduce drasticamente le probabilità di “impresa” delle piccole, mentre in una gara secca può succedere di tutto. Ovviamente con 180 minuti a disposizione è più facile che prima o poi emerga la differenza tecnica mentre in 90 minuti tutto è possibile.

Selezionando un unico paese ospitante sarà più facile salvaguardare la salute di atleti e staff delle squadre. L’utilizzo della “bolla stile NBA” è una realtà consolidata che abbiamo visto essere efficiente e sembra essere l’unica soluzione logica in grado di tutelare le condizioni dei calciatori. Grazie a questa soluzione i calciatori dovrebbero restare solo pochi giorni in questa situazione visto che le partite sarebbero dimezzate. Inoltre la soluzione della “final eight(o sixteen)” distanzierebbe ogni club a solo 3/(4) partite dalla finale. Un’ ulteriore motivazione per mettere in campo ancor più ardore e foga agonistica.

Per il calcio non è affatto una soluzione nuova o recente, viene adottata nei mondiali da anni e sappiamo bene la tensione e il coinvolgimento che creano delle gare uniche dove si rischia il tutto per tutto. La gioia immensa per il passaggio del turno quando si vince e la delusione cocente quando si perde provocata dall’amara consapevolezza di essere a poche partite dalla coppa.

La formula è apprezzata, testata, consolidata e sicuramente la più razionale in ogni ambito.

Con la scelta di questa modalità si andrebbe a potenziare il fascino della Champions League e chissà, magari ci sarebbe più spazio per le nostre amate favole...