Oggi vi vorrei parlare di un fatto che credo sia già conosciuto ai molti e che è accaduto dalle mie parti coinvolgendo la squadra della città in cui vivo. La vicenda è realmente particolare e ha avuto un’eco d’importanza straordinaria a causa della sua stranezza. Il riferimento è alla scelta di Alessandro Spanò che ha deciso di lasciare il calcio a soli 26 anni. Il difensore era il capitano della Reggiana. Vestiva la maglia granata dal 2014-2015 quindi ha vissuto tutte le incredibili recenti peripezie del club emiliano. Quando il lombardo è giunto al di sotto del Po, i granata disputavano la serie C e un suo gol all’ultimo istante di un match contro l’Ascoli ha garantito un favoloso passaggio del turno in una gara folle al “Del Duca”. Erano i playoff. In questa lingua di terra tra la Bassa e gli Appennini si rimembrano soprattutto le grida forsennate di gioia di un celebre cronista locale che ama la sua squadra come forse in pochi al mondo. Ripeteva come un mantra il cognome del ragazzo senza interrompersi mai. In realtà la rete è risultata vana perché Ale e compagni sono stati presto eliminati, ma trattasi della perfetta immagine del legame tra l’uomo e la realtà che ha vissuto. E’ l’inizio migliore di un rapporto magico e indescrivibile. Non si trovano veramente le parole più adatte per raccontare una simile unione. Non è retorica perché il brianzolo ha contribuito davvero a scrivere la storia della Regia. Dopo quelli spareggi, Mike Piazza si è appropriato del mondo granata e gli emiliani hanno di nuovo disputato le sfide che consentono di giocarsi la qualificazione alla categoria superiore. Alessandria e Siena, però, hanno spento ogni sogno di gloria e soprattutto la partita del “Franchi” è risultata deleteria per Reggio. In quella gara vi è stato un clamoroso errore arbitrale che è costato agli uomini di Eberini il passaggio del turno. Molti tifosi presenti nell’impianto toscano hanno protestato parecchio invadendo pure il campo e subendo la sanzione del Daspo. Il tycoon statunitense, che già pareva premeditare un addio, ha così tirato i remi in barca lasciando la società in “braghe di tela”. Una cordata di imprenditori locali è riuscita, con l’aiuto di un commercialista di zona, a salvare la Regia dalla discesa in Eccellenza, ma la compagine è comunque ripartita dai dilettanti. Spanò non ha mai lasciato la nave e, dopo il ripescaggio nella categoria superiore, è persino stato in grado di condurre da capitano la squadra in serie B. Una sua rete, poi, ha consentito ai ragazzi di Alvini di sconfiggere il Novara 2-1 e approdare alla finale dei playoff vinta sul Bari. Tanta roba. Alla fine, però, è giunto l’incredibile discernimento.

Perché Spanò ha deciso di abbandonare il calcio a soli 26 anni? Qual è il motivo che ha spinto Alessandro a una scelta così particolare proprio dopo una grande gioia e con la prospettiva di calcare finalmente i campi della cadetteria? Cosa è balenato nella testa di un ragazzo che sarebbe stato capitano e molto probabilmente titolare anche in una categoria superiore? Il difensore ha deciso di dedicarsi allo studio. Pochi giorni fa ha conseguito la laurea in Economia e management e ora si trasferirà all’estero per proseguire la sua formazione. La notizia è talmente bizzarra da avere appassionato i media di tutto il Paese. Da più parti sono giunti miriadi di complimenti. Il giocatore ha rinunciato a circa 300mila euro in 3 anni per la cultura e al fine di crearsi una posizione che probabilmente gli sarà molto utile nella vita futura. Decisione corretta? Non lo so. Non posso giudicare. Nel film Harry Potter si dice: “Arriva il momento in cui bisogna scegliere tra ciò che è facile e ciò che è giusto”. Chi può deve seguire il cuore anche quando la strada sembra molto complessa. La mente indica il giusto cammino e il rimuginio arreca soltanto danno. Se gli stimoli conducono in una certa direzione, occorre avere la forza di ascoltarli anche se il percorso è accidentato e ricco di ostacoli. Così, infatti, si prova a raggiungere la serenità. Una vita semplice non esiste. Non è concepibile. Si potrebbe anche preferire la via che risulta all’apparenza in discesa ma, se l’opzione non rispecchia la volontà, è come fiondarsi in un buco nero a piedi pari. Il sentimento, infatti, è tutto. In molti conosceranno la novella di Verga dal titolo La Roba. Mazzarò era un bracciante siciliano che si appropriò con immane intelligenza di tutte le terre del suo padrone. Con il trascorrere del tempo la sua ricchezza divenne direttamente proporzionale all’avarizia. Voleva divenire il maggior possidente di zona, ma nel morire ammazzò tutto il bestiame di cui disponeva e gridò: “Roba mia vieni con me”. Il protagonista scelse una rotta che probabilmente non era quella del suo cuore. Al culmine dell’esistenza perì solo e triste. E’ meglio vivere sereni con maggiori difficoltà che infelici nell’abbondanza. Questo è il messaggio che probabilmente deve emergere. Spanò ha avuto il grande coraggio di una scelta complessa e ha seguito la propria anima. Ho letto, invece, molti discorsi retorici che trattavano dell’importanza della cultura, del valore dello studio e dell’intelligenza di un uomo che ha finalmente abbandonato quel mondo stolto del pallone per dedicarsi all’arte. Si tratta della solita vana oratoria che sinceramente non pare né corretta, né gradevole. Il calcio, infatti, non è popolato da ignoranti, ma vanta al suo interno personalità che hanno pure importanti conoscenze. Si tratta di uno stereotipo che è ripetuto da anni da chi evidentemente non conosce questa disciplina e si assume la responsabilità di opinioni piuttosto sindacabili. Non sarà certo il sottoscritto che riuscirà nell’intento di convincere del contrario.

Purtroppo, ultimamente lo sport più amato d’Italia è divenuto bersaglio di infinite critiche e ogni atteggiamento non propriamente consono da parte di chi vive tale realtà viene tacciato tanto da apparire un’autentica caccia alle streghe. E’ come se la terribile emergenza legata al covid-19 avesse scoperto un vaso di pandora e chi nutriva odio nei confronti del pallone lo sta manifestando con la massima forza possibile. Penso a Brozovic e a quanto si è affermato relativamente alle sue ultime performance extra campo. Nessuno nega che l’aver provocato scompiglio all’interno di un pronto soccorso tanto da rendere necessario l’intervento delle Forze dell’Ordine abbia rappresentato un comportamento quantomeno rivedibile. Pure la guida in stato di ebbrezza e il mancato stop a un semaforo illuminato di rosso non mostrano certo un’immagine particolarmente edificante del croato, ma credo che nessuno possa permettersi di giudicarlo perché non si è in grado di conoscere ogni istante della vita del mediano. Mentre stavano per lapidare l’adultera, Gesù affermò: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Nessuno osò muovere nemmeno un dito. Questo significa che ognuno di noi ha le proprie zone d’ombra, ma soprattutto che gli esseri umani vantano ampie parti luminose e positive. Ciò vale per chiunque. Il Messia perdonò la donna e le disse: “Va e non peccare mai più”. Perché, quindi, mostrare sempre e soltanto il lato oscuro? Non lo trovo appropriato. Dal caso che ha coinvolto Marcelo, qualcuno ha ripreso in mano il fascicolo relativo a Balotelli, Vidal e Martin Caceres. Insomma, l’accusa ha spulciato il passato andando a far emergere ogni condotta negativa dei vari atleti senza ricordarsi, però, che in tutte le categorie esiste chi commette errori. Medici, avvocati, artisti, maniscalchi, ogni professione può coltivare nel suo grembo “mele marce”. Con questo non voglio certo sostenere che i citati giocatori siano parte della detta ultima fattispecie. Per loro, ho chiaramente utilizzato il termine “errore” e questo vocabolo contempla un fatto singolo all’interno della vita di un individuo senza volere rappresentare in completo la sua essenza.

Chiariti questi punti fondamentali, la scelta di Spanò potrebbe divenire un importante spunto di riflessione per il mondo del calcio e probabilmente dello sport italico in generale. E’ innegabile che la carriera di un atleta non sia infinita. Anzi, è molto più breve rispetto a quella di un altro lavoratore di qualsivoglia genere. Se si è fortunati, si può sperare in un ventennio d’attività. Già questa cifra, però, appare un lusso più sognato che realmente raggiungibile. Chi gioca a 40 anni? A causa dell’emergenza legata al coronavirus, il pallone dovrebbe avere compreso perfettamente di non essere parte di una bolla, ma di vivere nella realtà. Urge capire come combaciare tale disciplina e l’esistenza. In America, per esempio, esistono attività per cui i giovani rispettano un percorso di studi al fine di poterle praticare all’interno di compagini di rilievo. A quelle latitudini, addirittura, sussiste una meritocrazia scolastica che intacca l’ambito sportivo. Credo che una situazione simile sia difficilmente praticabile dalle nostre parti. E’ una questione di differenze culturali tra le 2 realtà. Probabilmente e giustamente, da noi una simile situazione potrebbe risultare come un’imposizione. In effetti, un bravo insegnante di lettere non ha necessità di essere un mostro in matematica. A ognuno spetta il proprio ambito e l’atleta abile non ha l’obbligo di disporre di un particolare titolo di studio. Un modello diverso rischia di “ledere” la libertà di poter esprimere i propri talenti e le capacità personali. Si potrebbe, però, pensare a una maggior collaborazione tra l’istruzione e il mondo sportivo. Al momento mi pare di notare, in molte persone che vivono tali situazioni, una sorta di dualismo. E’ come se ognuno rivendicasse i propri spazi. Non credo sia l’atteggiamento corretto. Servirebbero coesione e idee favorevoli a ambo le categorie.

Il titolo di studio, però, non è sempre garanzia di una carriera. Il rapporto migliore tra scolarizzazione e sport, quindi, non rappresenta la panacea di tutti i mali. Se anche un ragazzo dovesse persino conseguire una laurea, uscendo dal mondo del calcio a 36-37 anni faticherà a trovare un posto di lavoro perché mancherà di esperienza diversa da quella del pallone. Soprattutto in tempi in cui la concorrenza è letale, diventa difficile riuscire a sfuggire da una simile prerogativa. Qualcuno sosterrà che per certi ambienti non è così. Molti giocatori, infatti, divengono opinionisti, dirigenti o comunque hanno le disponibilità economiche per avviare un’impresa. Tale ragionamento, però, rischia di divenire gravemente fallace. Non ci si può dimenticare, infatti, della maggior parte dei protagonisti di questo sport. Non esistono solo i grandi milionari ma pure chi, con una normale retribuzione, si ritrova senza professione proprio nel cuore della esistenza. Come risolvere tale dilemma? Difficile a dirsi, ma la scelta di Spanò potrebbe essere un monito importante.