Un tempo c’erano i veri uomini. Eroi che incarnavano la gloria terrena, con la testa bassa in cerca del lavoro, unica variabile perfetta in grado di condurre il successo lungo le mura amiche. Si alzavano la loro maglia per mostrare il cuore d’oro, figura creativa della passione nello svolgere con professionalità il proprio mestiere; partivano i combattimenti in campo, la palla rotolava come se non ci fosse un domani e alla fine dei giochi cominciavano i commenti, propensi ad avvolgere di luce chi aveva davvero onorato la maglia. Campioni che danzavano nel rumore della folla, con un pizzico di follia atto a manifestare la loro leadership, padre della verità e del progresso che in una squadra non deve mai mancare. Erano i fondatori dell’età dell’oro, quella racchiusa in un moto di sensazioni positive, e che ora invece viene spazzata via dall’inganno e dalla superbia, peccato quest’ultimo che in un tempo assai remoto veniva considerato l’artefice di tutti i mali.

Quel male che molto spesso si racchiude in certi comportamenti, portati a braccetto dalla mancanza di orgoglio e di serietà, celebre amore che viene messo in campo dal tifoso in ogni momento e che mai cesserà di esistere. La serata dell’ultima giornata di Serie A conservava nella sua scrivania due gare emozionanti, da vivere con l’appartenenza ad un ideale; da una parte l’ultima gara casalinga di Allegri sulla panchina della Juventus, dall’altra il big match Napoli-Inter, valido soprattutto per la lotta Champions. Se nella Torino bianconera il professore sportivo Andrea Barzagli scendeva in campo per l’ultima volta davanti al suo pubblico prima del ritiro dal calcio giocato, con la passione e la professionalità che lo hanno sempre contraddistinto, a diversi km di distanza è andata in scena una vera e propria “caccia infernale”, poggiata sul dominio del Napoli di Ancelotti e sulla mediocrità assoluta di tutta l’Inter.

UNA SCONFITTA ASSICURATA
Ormai è diventato un assioma dell’intero panorama calcistico: l’Inter non riesce e non vuole vincere. Quello che si è visto dal fischio d’inizio della partita è un qualcosa di indecoroso, irrispettoso e provocatorio per tutti i tifosi e soprattutto per le scuole calcio, che crescono cercando di imitare i calciatori professionisti. E sul professionismo ci sarebbe da aprire una parentesi lunghissima in virtù del fatto che i ragazzi di Spalletti si sono resi protagonisti di una stagione surreale, priva di emozioni e poggiata su un menefreghismo totale, difficile da trovare nei vari campionati. Lo stadio San Paolo è sicuramente uno dei luoghi più temibili dell’intero campionato visto e considerata la qualità tecnico-tattica del Napoli di Ancelotti, ma quando il blasone porta il nome Inter è inammissibile non scendere in campo, come hanno fatto ieri sera i calciatori nerazzurri. Ovviamente, come molti addetti ai lavori avevano affermato al termine della sfida con il Chievo, la squadra di Spalletti è priva di mentalità e soprattutto di gioco, aspetto che non si è mai visto fatta eccezione per la scorsa stagione quando a dettare i tempi di gioco si trovava un certo Rafinha, simbolo di un Barcellona illustre e lontano anni luce dalle dinamiche della Serie A. Poi, è sparito tutto, ed ecco che all’indomani del 2-0 inflitto ai clivensi, aleggiava sulle figure oscure di Spalletti e Marotta l’incubo San Paolo, con il messaggio preciso di “sconfitta assicurata”.

ROBERT REDFORD? NO, MEDIOCRITA’
Avevano suscitato parecchia curiosità le ultime dichiarazioni di Luciano Spalletti, improntate su Robert Redford e sulle notizie di un arrivo quasi certo di Antonio Conte sulla panchina dell’Inter. Frasi buffe, ma allo stesso tempo significative, anche perché il flusso di informazione che ormai gira sulla nebbia di Appiano inizia ad essere preoccupante, e se da una parte la figura dell’eterno Simeone sembra ormai cancellata, non si può dire lo stesso per Conte, futuro allenatore dei nerazzurri. Un aspetto destabilizzante per una squadra che lotta per un obiettivo ben preciso, ma se ci pensiamo bene anche inevitabile a questo punto. Sì, perché se Spalletti voleva davvero guidare l’Inter per ancora un po’ di tempo, avrebbe dovuto sfruttare a dovere le immense occasioni che gli sono capitate durante il corso della stagione, evitando di cadere in quella mediocrità che adesso lo attanaglia fino al collo. Per certi versi è giusto così. L’Inter vista in campo contro il Napoli simboleggia proprio la paura del suo tecnico; un timore protratto in un’intera carriera, caldeggiato da un “vorrei ma non posso” che alla lunga stona in una piazza importante come Milano. In più, sotto gli occhi di Marotta, il tecnico toscano, subito dopo il 3-0 dei padroni di casa, prediligeva calma e sangue freddo, come se ormai tutto fosse finito in un semplice sorriso, che per i sostenitori nerazzurri si scontrerà con la rabbia più esacerbata, indirizzata anche nei confronti di giocatori e società.

LO SCHIAFFO DI NAPOLI, IN ATTESA DELL’EMPOLI
Una partita a senso unico che rappresenta un vero e proprio schiaffo ad una squadra ridimensionata in un modo impressionante. Ricorda un po’, seppur con dinamiche diverse, il famoso “schiaffo di Anagni” tramandato di generazione in generazione e animato dal forte contrasto tra la monarchia nazionale di Filippo IV il Bello e l’autoritarismo teocratico di Papa Bonifacio VIII. Un episodio occorso nella cittadina laziale di Anagni l’8 settembre 1303 ai danni del capo della Chiesa, vittima di un vero e proprio oltraggio morale che inasprì ancora di più i rapporti già tesi tra il potere spirituale e quello temporale. Insomma, lo schiaffo virtuale inflitto all’Inter di Spalletti, andrà oltre ogni aspetto storico e toccherà la realtà sana ed emozionante di Empoli. La qualificazione Champions si deciderà nell’ultimo atto della stagione, in una sfida tesissima, visto e considerato che i ragazzi di Andreazzoli dovranno senza ombra di dubbio provare a vincere per rimanere ancorati al campionato di Serie A. Adesso è presto per fare commenti, anche perché dopo una partita del genere, è difficile spiegare la penuria tattica e morale che è scesa in campo al San Paolo; resta soltanto un’ultima corsa da vivere fino all’ultimo respiro in un San Siro emozionante. Lo hanno voluto tutti, e ora Spalletti potrà essere felice di aver raggiunto la sua finale. Peccato però che in palio non ci sono coppe concrete.