Ok. Il titolo è uno di quelli forti, quasi attraente, ma non spaventatevi: D'annunzio, il celebre scrittore, e Simone Inzaghi, il celebre sostenitore della difesa a tre, hanno molto più di qualcosa in comune, e non stiamo parlando dell'amore (trasformatosi ora in odio) verso Gabarron.

Il ruolo di "Vate"

Gabriele D'annunzio nasce a Pescara, il 12 marzo 1863, e venne presto rinominato con il nome di "poeta vate", per via della sua posizione di spicco nella scena della letteratura italiana dell'epoca. Il suo modo di porsi, di ragionare e di parlare, fu così influente, che il suo periodo di vita fu definito "dannunzianesimo". Un po come il nuovo Inzaghismo. Il nostro mister infatti, potrebbe benissimo prendere le sue veci, non per quanto riguarda il mondo della letteratura (anche se con il suo frasario ci siamo andati vicini), ma bensì sul mondo Lazio.
Per spiegarci l'attribuzione di questo aggettivo infatti, dobbiamo fare un passo indietro nel tempo lungo due anni, quando a Formello tutti aspettavano l'imminente arrivo del "Loco" Bielsa, che poi tirerà un pacco clamoroso, lasciando la Lazio senza allenatore. Ed è qui che entra in gioco l'allenatore "vate", colui che prenderà in mano una squadra allo sbando, conducendoci ad un quinto posto che ci riporta in Europa. Nell'ambiente, coloro che davano Simone Inzaghi per spacciato, un traghettatore dalle partite contate, inziano a ricredersi, e la fama di "emergente" inizia a circolare, come quando un giovanissimo D'annunzio pubblicò la raccolta di poesie "primo vere".

L'affermazione

D'annunzio rappresentava un oscillare continuo tra malinconia ed euforia, vecchiaia e giovinezza, piacere e dolore: il suo carattere passa infatti dal tenero innamorato al solitario che vive esclusivamente di ricordi. Ma se c'è una cosa capace di fare da "collante" per tutte le sue personalità, quella è sicuramente la passione, caratteristica che ha inciso (e non poco) sulla sua affermazione nel panorama italiano ed europeo. E adesso provate a dire che Inzaghi non rientra alla perfezione in queste caratteristiche, perchè diciamocelo chiaramente: a farlo amare dalla tifoseria, oltre al suo passato in biancoceleste, è il suo fortissimo attaccamento, il suo amore per la maglia, che in un mondo fatto di allenatori che inseguono solo il miglior stipendio possibile, lo eleva allo status di "tifoso/allenatore", uno che se vince una partita importante, rischia di ammazzarsi pur di esultare, come nello scivolone contro la Dynamo Kiev in Europa League per dirci.

Il declino e il rapporto con "lui"

Il nostro paragone trova poi la certezza più assoluta in altre due pagine di storia: una molto vecchia, datata addirittura 1938, l'altra invece risale a quest'estate, ed ha come protagonisti l'allenatore della Lazio e il gestor...ehm, presidente. D'annunzio infatti, nel 1938 ha pubblicamente accolto in maniera positiva il fascismo di Mussolini, senza mai però amarlo "perdutamente" come fecero molti altri suoi contemporanei. Egli mirava infatti perlopiù a sfruttare i finanziamenti che periodicamente riceveva, cercando di esporsi il meno possibile sull'unica autoritaria politica del periodo. Inzaghi rispecchia fortemente D'annunzio anche da questa prospettiva, visto che potremmo trovare un'analogia nel suo rapporto con Lotito, fatto di sfuriate e richieste di nuovi giocatori che finiscono però prontamente cestinate. Insomma, il nostro Mister è complice di una politica che non ama solo per pura convenienza.

La Champions alla fine del fiume

Una delle imprese più famose del poeta è stata senza dubbio la conquista della città di Fiume, alla fine della prima guerra mondiale. In pratica, per chi non lo sapesse, i vincitori della "grande guerra" promisero all'Italia i territori di Istria, Fiume e Dalmazia. Questo accordo non fu però mai rispettato, e D'Annunzio, sentendosi tradito, decise di prendersi la città di Fiume con la forza. Un po' come Simone, che stanco di vedere in Champions League sempre e solo i cugini, ha provato a prendersi l'accesso alla competizione con la forza.
Il problema? La conquista di Fiume durò molto poco, visto che l'esercito del "vate" fu prontamente cacciato via, come i nostri tentativi di arrivare nell'Europa che conta. Insomma, tirando le somme, le somiglianze ci sono, e sono anche numerose: riuscirà Simone Inzaghi a farsi ricordare da tutti come "l'allenatore vate"?