Ricordo una scritta durante il caricamento di un celebre gioco manageriale sul calcio, che mi ha accompagnato durante l'adolescenza: "Let's Kick Racism Out of Football".
Era una campagna dell'organizzazione Kick it Out, attiva dal '97. Molti di noi l'hanno vista, non tutti hanno capito cosa voleva dire lasciare fuori il razzismo dal calcio... figuriamoci lasciarlo fuori dalla vita.
Il primo Boxing Day a tema tricolore sarà per sempre ricordato come il giorno in cui San Siro, in preda ad un raptus di razzismo ha fischiato, offeso, disprezzato Kalidou Koulibaly, fortissimo centrale che difende i colori del Napoli. E' probabilmente l'episodio più rilevante di sempre in Italia, quantomeno il più discusso e il più approfondito. Si è parlato di sospensione delle partite, di vergogna, di sessanta idioti, si è riempito uno stadio vuoto (il Meazza a porte chiuse) di striscioni contro l'odio razziale, stampate maschere che ritraevano il senegalese per dire tutti insieme... siamo tutti Koulibaly.  Ed ancora tweet, post su facebook, indignazione, lamento, disprezzo.  Non un ottimo spot per il nostro calcio... ma quali spot proponiamo per la nostra cultura?

Il calcio è un po' il manifesto del nostro paese. Sport Nazionale, primo pensiero al mattino di ogni tifoso. E' più facile cambiare fede religiosa che tifo... perchè ti entra dentro, ti fa battere il cuore. Ma non è forse anche lo specchio di ciò che siamo? Non ci nascondiamo tra la gente che ha la nostra stessa bandiera per dire qualcosa di un po' più scomodo, sapendo di sentirci protetti? 

E così mi viene da pensare se non è il calcio stesso un po' lo specchio del nostro paese. I settori giovanili scricchiolano come fanno le scuole, chi sta in alto è il ladro e noi, tutti gli altri, i derubati (che siano punti o soldi, che siano titoli o diritti), le strutture, civili e sportive, sono decadenti.  La mentalità... ancora peggio.

Il calcio come specchio in quella notte di più di un mese fa dove un ragazzone di 28 anni, nato in Francia da immigrati senegalesi è stato ricoperto di umiliazioni, soltanto perchè la sua pelle è nera come l'ebano. Ma questa non è che la punta dell'iceberg, un caso di esempi di odio come se ne vedono tutti i giorni, fuori dal supermercato, in mezzo ad una vigna, nell'autobus, sulla spiaggia. Di esempi come quello del povero Kalidou ce ne sono a bizzeffe, e ce ne sono sempre stati, purtroppo.
In Italia, in Europa, nel Mondo. Da Mark Andre' Zoro, difensore del Messina che a seguito degli ululati ricevuti in Messina - Inter del 27 Novembre 2005 prende il pallone e si rifiuta di giocare a Dani Alves che ad Aprile 2014 durante Villareal - Barcellona prende una banana lanciata dagli spalti a segno di offesa e la mangia, rispondendo all'insulto. In questo caso fu ipotizzata una montatura per un spot del vicino mondiale verdeoro, con tanto di foto con Neymar che mangia una banana. Fosse così, uno spot intelligente e con uno scopo, per una volta. E ancora l'arbitro che offende un giocatore di colore in Campania, Boateng a Busto Arsizio.. potremmo stare qua per settimane, mesi a spulciare i precedenti. Il problema è che si ferma tutto là, all'indignazione e al buonismo settimanale, e poi si mette tutto nel cassetto.

La radice di tutto questo è che l'italiano è razzista, non solo il tifoso interista al Meazza il 26 dicembre. In Italia ormai si odia chi è diverso, e lo si fa senza alcun segno di logica. Si sente dappertutto che "gli stranieri vengono a rubare lavoro agli italiani". Perchè? Per rubare lavoro ci vuole qualcuno che il lavoro lo dà, e magari paga anche meno, salvo poi magari dire "con tutto il rispetto io la mano a quella gente non gliela stringo". Chi vuole fare il lavoro che spesso e volentieri gli immigrati vengono a fare? Quale giovane ormai va a raccogliere pomodori, va a sporcarsi i vestiti di cemento o a portare volantini? E rientrando nel tema calcistico, perchè si odia deliberatamente il nero, il rumeno, l'albanese, il filippino e poi si va a sostenere Douglas Costa a Torino, Kessié o Asamoah a Milano, Caicedo o N'Zonzi a Roma e via dicendo? Non sono forse anche loro lì a lavorare al posto di ragazzi italiani, per giunta con stipendi ben diversi dal cingalese che lavora in borsettificio? Dove sta il limite in questo paradossale paese? Su un campo verde lavorano perchè sono più bravi, accettiamo questo ma accetteremmo che un ragazzo di colore fosse il capo di nostro figlio avendo studiato ed essendo più bravo di lui?

La risposta è tutta legata a una parola secondo me: perbenismo. In questo paese ci si accoda all'indignazione per poi disprezzare quando non ci vede nessuno, si fanno facili chiacchiere e si sostiene un'idea senza però nè sentirla davvero nostra nè lottare davvero perchè questa si realizzi, come se con 140 (ora 280) caratteri il mondo cambiasse da solo.

E tutto questo è diretta conseguenza di quella che è la falla veramente pesante nel sistema: l'Istruzione. La scuola, che dovrebbe insegnare ai ragazzi non solo in che anno è morto Manzoni o la teoria della Relatività. Si insegna Filosofia senza insegnare ai ragazzi a pensare e sopratutto in questo caso, la Storia senza far capire quali sono stati gli errori che l'umanità ha fatto in passato per poi non ripeterli in futuro. Si insegna l'orrore della Shoah senza davvero far capire perchè è stata una barbarie, la radice dello scempio rimane nascosta. Così come si può parlare di Apartheid, del KKK, dei Gulag Russi ma soltanto come "una cosa che è successa". Martin Luther King e Malcom X, sono citati, narrati, ma mai veramente spiegati forse perchè ce li sentiamo distanti, in America, forse perchè non hanno lottato per i nostri diritti. I nostri ragazzi sanno cosa fu' firmato nelle Leggi Razziali del 1938? Sappiamo coscientemente cosa ha provocato in passato l'odio razziale? No. E non lo so nemmeno io fino in fondo. Siamo in un momento di totale crisi dell'etica e della moralità, si allontana la coscienza delle persone a favore del dettaglio di un'immagine da dare agli altri di noi stessi. Si cura l'aspetto, non il cuore.

Da lì il passo è breve, al parlare di uno stato che è nostro per diritto di nascita, sottointendendo che "ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati" come scrive Michele Salvemini in arte Caparezza.
Come può il calcio non essere razzista se lo è la politica, la società, il pensiero? Gente che viene lasciata a morire in mare, continue campagne elettorali atte a mitigare l'odio che scorre tra la gente, il problema sono loro e loro soltanto. Non si caccia l'evasione fiscale, non si tratta di un paese che convive con la Mafia e in accordo con essa in alcune zone riesce a governare. Non voglio dire che l'Immigrazione non sia un problema, ma possibile che non ci sia una soluzione, un modo razionale per cui occuparsi della cosa? Che le missioni di pace vengano fatte soltanto per il petrolio o per gli interessi con le bombe e che nessuno dona per placare la fame, sia questa negli stomaci di un italiano o di un uomo lontano? Possibile che la strada sia l'intransigenza e il disprezzo, e che dall'altro lato, tornando al nostro tema, chi si indigna non va oltre la maschera di carta che mette allo stadio? Perchè l'odio, amici, genera solo altro odio.

Vedo questo mondo come una barca alla deriva, dobbiamo aspettare una tragedia per scuotere le coscienze del mondo oppure possiamo cambiare rotta? 

Spero che questo articolo possa far anche soltanto riflettere per un minuto chi lo ha letto, sono opinioni personali dopotutto. Non ho la verità in tasca né sono un santo, ma posso esprimere la mia opinione e sperare che qualcuno raccolga un messaggio di Amore in questo stato turbato dal disprezzo.

La verità è che non dobbiamo solo essere Koulibaly, è Koulibaly che deve essere noi perchè questo è. Uguale a noi, come noi. Cosi come lo è Ahmed, Satoshi, Kader.. come lo è il mio amico Bob, conosciuto la notte di Ferragosto di qualche anno fa e che non ho più rivisto, che mi ha donato quella sera uno dei racconti più commoventi che sentirò mai. E tutti loro devono essere noi ogni giorno, non solo con una tastiera davanti o dietro una fotocamera.

Uno studio dell'Università di Toronto dice che ciò che ci rende umani è la capacità di capire i processi mentali degli altri. Se il nostro processo mentale è deviato perdiamo umanità. Non facciamo questo sbaglio.