Parlare di Ibrahimovic è sempre stato facile ed interessante, perché il giocatore, ma soprattutto l'uomo, ha sempre qualcosa da dire e da dimostrare. Anche stavolta alla soglia dei 39 anni (3 ottobre 1981) il "nostro" ha continuato a catturare l’attenzione mediatica e gli articoli su di lui lo esaltano e sottolineano la sua importanza nonostante l’età.

Ieri, dopo la partita contro "l'amico" Sinisa, il tabellino finale indicava doppietta dello svedese e gli dava la palma del migliore in campo. Già qualche giorno prima si era addentrato in quel di Irlanda, ed aveva marcato il territorio con il primo gol stagionale dei rossoneri, alla prima partita in campo europeo. E, ieri, non ha valuto essere da meno, realizzando il primo gol in campionato, a San Siro davanti a mille spettatori, ricominciando da quel Bologna, sconfitto qualche mese prima con un sonoro 5 a 1, e anche quella volta Ibra si era distinto per la sua prestazione in campo.
Stiamo parlando di un signore di 38 anni che ha sempre messo al centro il suo ego smisurato, legato alla capacità di spostare equilibri all'interno dello spogliatoio. Cosa che sta realmente accadendo nella sua seconda esperienza al Milan, contando anche i pochi mesi della scorsa stagione, che lo indicano come un protagonista impavido e guida per i suoi compagni.

Ma Ibra va veramente per i trentanove anni?
All'anagrafe sì. Lui stesso ricorda la sua età, anche se rimarca spesso che si sente come Benjamin Button. Lo ripete come un mantra ogni volta che viene stuzzicato a fine partita nella zona interviste e capita ogni volta che le sue prestazioni in campo sono da circoletto rosso.
"Nato vecchio e muoio giovane" è un leit motiv a cui difficilmente ci si può sottrarre. Ma l'anagrafe mente su quello che rappresenta la sua voglia e la sua "fame" nonostante abbia vinto tanto nei vari club in cui ha giocato. Stavolta non c'è in palio l'agognata Champions che non ha mai vinto nella sua carriera o la lotta scudetto. Ma la ripartenza di un club che cerca da tanto tempo di rientrare nelle prime quattro posizioni. Ci prova con lui ed un manipolo di giovani che possono solo crescere con il suo esempio e la sua voglia di spaccare il mondo.
E proprio questo nasce da una condizione atletica e la cura dei particolari che lo portano a lavorare con attenzione sul suo fisico per essere al centro della scena e non una semplice mascotte del gruppo. Il quale lo segue e si affida a lui in tutto.
Uomo di Pioli in campo, pronto a sostenere i compagni (nel bene e nel male), si prende la responsabilità di un leader che, dal suo arrivo, ha rivoltato l'ambiente come un calzino. Rivoltandolo ha fatto scoprire a qualcuno come sia importante lavorare duramente per raggiungere gli obiettivi sia personali che di gruppo. Tutti i compagni parlano di lui e nessuno si esime dal non apostrofare l'importanza di Ibra nel Milan attuale.
Ha conquistato tutti nonostante in allenamento ed in partita non tolleri abbassamenti di concentrazione o giocatori poco inclini alla lotta. In questo è un martello pneumatico che scandisce tempi e modi. Ma come sappiamo questo essere esigente non è solo verso i compagni, ma soprattutto verso sé stesso.
Nell'intervista post partita ha voluto sottolineare due cose importanti. La prima è che gli piace avere la responsabilità di essere, in questo gruppo giovane, una guida per i compagni. La seconda è che non gli piace che si parli della sua età, ma vuole che il giudizio sia rivolto a tutti allo stesso modo, perché gli piace essere allo stesso livello di un ventenne.
Ed è proprio da queste cose che l'anagrafe perde valore e si inchina davanti a lui.
L'Ibra giocatore trae linfa da questo. E si ritrova a recitare la parte del primo attore e non della comparsa a fine carriera. Tanti alla sua età sono in panchina a raccattare presenze, lui no. Lui deve sentirsi importante e per farlo deve alzare sempre l'asticella come un saltatore con l'asta che cerca di andare sempre più in alto.
Ed è il puntare in alto che lo tiene vivo. Cercare motivazioni sempre e comunque, anche quelle irraggiungibili, che gli permettono di essere un calciatore in piena sintonia con l'ambiente e non una primadonnna da compiacere. Un giocatore che comunque ha dovuto modificare il suo modo di giocare per rendere meglio e non sprecare energie. Ieri, abbiamo visto non solo l'Ibrahimovic realizzatore, ma anche un giocatore di movimento che sa che non può permettersi di rimanere statico in area di rigore. Un giocatore che torna sulla trequarti per dialogare con i compagni e continuare a metterli nella condizione migliore. Quell'Ibra 2.0 di cui parlavo in qualche articolo precedente e che piace sempre di più.
Uno stacco di testa tra i due centrali immobili del Bologna, ed un calcio di rigore lo portano subito a realizzare una doppietta. Ma i gol potevano essere molti di più. Lui stesso ha riconosciuto che se fosse stato più giovane avremmo assistito ad altre due segnature. Ripensandoci bene, quando si è trovato davanti al portiere, e lo ha dribblato allargandosi lateralmente, l’Ibra più giovane non avrebbe mai sbagliato un'occasione così ghiotta. E lui stesso sa benissimo questo, e lo rimarca per cercare di fare meglio alla prossima occasione.

Per il momento a Pioli va bene così. Il tecnico si è speso affinché potesse allenarlo anche in questa stagione sportiva, e fino ad ora è stato ripagato visto che lo svedese ha marchiato l'avvio del Milan con 3 reti. La società con lui ha voluto compiere uno sforzo consapevole che la richiesta era importante, ma sa bene che era uno strappo alle regole che andava fatto per valorizzare l'ambiente sia in termini qualitativi che motivazionali. Situazione che la società ha capito benissimo, qualcuno in seno ad essa dovrebbe spiegarlo anche a Rangnick che in una recente intervista ha dichiarato che ritiene la firma di Ibra una contraddizione.
Ma si sa l'uva rimane acerba quando questa è irraggiungibile!
Preferisco però dare più risalto alle parole di Galliani (ieri presente a San Siro e in piedi a festeggiare come un innamorato al gol di Ibra) quando parla dello svedese, arrivato intanto a 70 gol con la maglia del Milan e capace di realizzare nel massimo campionato 134 gol in 238 presenze. L’ex amministratore delegato del Milan usa parole al miele esaltando il gigante di Malmo, definendolo straordinario, stratosferico e pazzesco. Parole di chi lo conosce bene, avendolo portato al Milan dieci anni fa e che farebbe di tutto per averlo al Monza a fine carriera.

Ma quanto durerà questa carriera?
Non è facile dare una risposta a questo quesito. Si potrebbe sbagliare e non ci si può fidare neanche del fatto che con il Milan abbia firmato solo per un anno. Alla fine quel che conterà saranno la voglia e le motivazioni intrinseche che potrebbero portarlo a nuove sfide. Con sé stesso prima di tutto e con quello che gli verrà, eventualmente proposto. Ad oggi non si può sapere come andrà a finire. Certo, se il Milan dovesse andare in Champions League sarebbe brutto non rimettere piede in quella competizione che gli ha sempre voltato le spalle, soprattutto quando ha lasciato "l'altra squadra di Milano" per andare in un porto sicuro come Barcellona. E' anche vero che potrebbe essere il commiato calcistico migliore per salutare il Milan, ma per tutto questo c’è tempo.
Proprio il tempo stava ad indicare, qualche stagione fa, che era andato nella MLS a finire la carriera ma, dallo scorso inverno, si è rimesso in gioco perchè il campionato americano gli stava stretto e aveva ancora tante sfide da affrontare. Alla faccia della sua carta d'identità che dice 38, (quasi 39), e comunque non veritiera vista la sua forma fisica.

Perchè Ibra ha due età e quella anagrafica la conosciamo. Per sapere quell'altra basta guardarlo in campo, insieme ai suoi giovani compagni, ad inseguire un sogno da regalare ai tifosi.