Marco; Roque Junior, Lucio, Edimilson; Roberto Carlos, Gilberto Silva, Cafu, Kleberson; Ronaldinho; Ronaldo, Rivaldo. Questo è il Brasile del primo Scolari, l'ultima formazione sudamericana a portare a casa un titolo mondiale, nel mondiale di Corea-Giappone. Correva l'anno del signore 2002, l'avversaria era la Germania: da quel momento in poi, solo tanta amarezza per il calcio latino, con il solo secondo posto dell'Argentina del 2014 ad addolcire parzialmente la pillola. Al prossimo Mondiale, nel 2022, saranno 20 anni da quel trionfo, e non si può dire che le Nazionali sudamericane, al momento, godano di ottima salute: chi per una ragione, chi per un'altra, queste squadre sembrano in crisi profonda. Nel frattempo, un Mondiale a testa lo hanno vinto Italia, Francia, Germania, Spagna. La Copa America, normalmente una grande vetrina per giocatori e allenatori, quest'anno non appassiona, oscurata da un Mondiale femminille che sta conquistando anche i più scettici e addirittura dalla Coppa d'Africa. Com'è possibile?

La caduta dei giganti
Argentina, Brasile, Uruguay, Cile: con sfumature diverse, queste quattro Nazionali stanno deludendo i propri tifosi. Malgrado il cammino in Copa America sia anche buono, ancora non ci siamo: il livello di alcuni match (in cui, non si capisce bene perché, si sono invitati il Qatar e il Giappone, non proprio Nazionali di pari livello) è molto basso, non emergono nuovi giocatori che possano rimpiazzare al 100% i loro predecessori, le squadre non stanno attaccate alla televisione a fare offerte a destra e a manca per farsi concorrenza su questo o quel giocatore. Il problema non è la Copa America, lì una Nazionale sudamericana è costretta ad emergere; il problema è che poi ai Mondiali si fa brutta figura, e il ranking ne risente: nella top ten della FIFA (dove non siamo nemmeno noi,  urtroppo) ci sono solo due squadre sudamericane, il Brasile (3°) e l'Uruguay (8°).

Brasile - Iniziamo da quella che, per tanti motivi, è la Nazionale che sta meglio, quella che agli ultimi Mondiali è arrivata fino ai quarti, prima d'essere sconfitta dal Belgio. In porta, fra Alisson ed Ederson, i verdeoro possono sentirsi al sicuro; la difesa anche è ben collaudata; a centrocampo ci sono Allan e Casemiro, non proprio gli ultimi arrivati, insieme ad una batteria di ali e trequartisti invidiabili (alcuni dei quali nemmeno convocati, come Lucas Moura); chiude un attacco stratosferico con nomi come Neymar, Firmino, Coutinho, Gabriel Jesus. A vederla così, la squadra di Tite sembra una corazzata inaffondabile, pronta a spaccare il mondo. Allora perché, dopo un 3-0 rotondo contro la Bolivia (che però non è proprio la favorita del torneo) si è fatta bloccare dal Venezuela (vedi la voce Bolivia)? Le ragioni, a nostro parere, sono fondamentalmente due 

In primo luogo, una ragione tecnica. Tradizionalmente, il Brasile è stata la terra del bel gioco, degli attaccanti funamboli, della fantasia. Il lavoro di allenatore dei verde-oro era quindi relativamente semplice: tutto stava nel mettere insieme l'undici migliore possibile, cercare di amalgamarlo bene nei mesi del ritiro e poi aspettare che i giocatori tirassero fuori una magia. Nell'ultimo decennio, invece, abbiamo visto un Brasile sempre forte, ma diverso, più europeo: questo ha comportato un miglioramento della difesa. D'altro canto, gli attaccanti di oggi sembrano difettare di abilità tecnica rispetto a molti dei loro predecessori: dire che (per ora) Firmino non è Romario o che Neymar non è Ronaldinho non è una bestemmia. Ora, nella scelta degli allenatori, appunto per la questione dell'abbondanza di talento, la federcalcio brasiliana ha scelto quasi sempre un basso profilo. Forse (e questo non sia interpretato come un attacco a Tite) sarebbe il momento di cambiare qualcosa: un allenatore di alto profilo potrebbe trovare la quadra, alfine di amalgamare una squadra di talenti incommensurabili, che però spesso giocano un calcio troppo individuale, da solisti. Non esiste nessuno con la bacchetta magica, e non tutti sono adatti a fare il selezionatore per una Nazionale, anche perché manca il lavoro quotidiano. Malgrado ciò, un nome che potrebbe essere affascinante è quello di Mourinho: ha già detto che vorrebbe rilanciare la propria carriera con una Nazionale, in modo da racimolare qualche altro titolo. Il nome è pesante, ed anche rischioso, però potrebbe dare uno choch ai carioca e metterli in prima fila per la vittoria del prossimo Mondiale.

L'altro problema, comune ad altre Nazionali, è quello anagrafico. Partiamo dalla linea difensiva: fra i convocati per l'ultima Copa ci sono Thiago Silva (gran giocatore, ma che non è più un ragazzino), Dani Alves (stesso discorso), Filipe Luis (di cui l'Atletico sta cercando di liberarsi), Miranda (che all'Inter fa il panchinaro da un anno e mezzo). Buoni giocatori, grandi giocatori, ma tutti a fine carriera: non è su di loro che si può costruire il Brasile del futuro. Loro probabilmente lo sanno già, ma per citare il Divo: "Non ci sono giganti intorno a noi". In realtà gli eredi in Nazionale ci sono: abbiamo una linea a quattro composta da Marquinhos, Alex Sandro, Danilo e Militao. Ora, escluso il nuovo madridista, chi più chi meno, gli altri sono tutti sul mercato. Qualcosa vorrà dire: forse, pur essendo ottimi giocatori, sono ancora lontani dalla dimensione dei propri predecessori. Andando a centrocampo, la situazione cambia poco: di trequartisti ed ali ce n'è per due Nazionali, il problema è che poi invece di giocatori più difensivi ci sono i soli Casemiro ed Allan, in una posizione che potrebbe aiutare difese più fragili in futuro. Un giocatore che avrebbe fatto comodo, in quel ruolo, è il nostro Jorginho (Dio benedica la FIGC quando l'hanno realizzato). Persino in quel concentrato di talento che è l'attacco manca qualcosa: una prima punta che possa fare il titolare. È vero che ci sono squadra che hanno fatto la propria fortuna nel non schierare un centravanti. Però persino il Barça, il regno del falso nueve, ha un attaccante centrale. Questo perché un sistema simile offre più soluzioni, soprattutto contro squadre chiuse, che sono poi quelle che i verde-oro soffrono di più. Detto tutto questo, il Brasile ha tutto per recitare un ruolo da protagonista in campo, oggi come nel prossimo Mondiale. Basterà giusto fare un cambio generazionale in alcuni reparti, responsabilizzare i titolari che ci sono già e forse cambiare guida tecnica. A quel punto le Nazionali europee avrebbero una bella gatta da pelare.

Uruguay - (In questa ideale "discesa negli inferi" del calcio sudamericano, scendiamo ora dal limbo brasiliano al primo girone dell'Uruguay. Nazionale ballerina, che nella sua storia ha alternato momenti da grandissima a momenti di ambizioni ridotte. Dal 2006, quando si parla di guida tecnica, si parla di Oscar Tabarez, vero highlander delle panchine, che ora è alla sua quarta Copa America. A livello di stabilità non manca nulla all'Uruguay, nemmeno a livello di talento. Allora perché non è arrivato oltre ai quarti ed anche lui è stato bloccato su un 2-2 dal Giappone? In primo luogo, le perplessità sulla Celeste non riguardano tanto il suo presente, quanto il suo futuro: nella partita in cui aveva eliminato il Portogallo, la Nazionale si era appoggiata ai goal di Cavani. Lui e Suarez, da anni, mandano avanti l'attacco dell'Uruguay. Il problema è che i due non sono eterni: entrambi hanno 32 anni, ed un erede si fatica a trovarlo. Recentemente è uscito fuori Mxi Gomez, ma il panchinaro ufficiale è sempre Stuani, non proprio un giocatore irresistibile. La difesa, invece, è garantita da un buon giocatore come Gimenez, anche se forse andrebbe trovato un partner per raccogliere l'eredità di Godin e Caceres. Il centrocampo è il migliore che noi ricordiamo: un trio come Vecino-Betancour-Torreira se lo possono permettere poche squadre. Pochi anni fa i titolari erano Gargano e Lodeiro, diciamo che si sono fatti dei progressi. L'altro problema si chiama porta: c'è Muslera, ex Lazio passato al Galatasaray, e dietro di lui Martin Campaña e Martin Silva. Età media del reparto: 33 anni. Bisognerà trovare degli eredi in fretta, anche perché i portieri sono più longevi degli attaccanti, ma anche loro eterni non sono. 

Un'altra perplessità è legata a Tabarez, il vero "garante" di questa squadra. Il rischio che corre l'Uruguay, dopo 13 anni di gestione così stabile, è di "Fergusonizzarsi": allo United, dopo che Ferguson si è ritirato, la panchina è diventata un enorme buco nero, in grado d'inghiottire allenatori dal curriculum impeccabile e giocatori di classe. Tabarez ha 72 anni, gli auguriamo di allenare l'Uruguay per altri 30, ma ad un certo punto qualcuno dovrà prendere le redini al suo posto. E portare le proprie idee, chiaramente. Questo sarà il momento più difficile per l'Uruguay, e chiunque sieda su quella panchina dovrà avere le spalle larghe per non farsi inghiottire dall'ombra di Washington Tabarez. Malgrado un futuro che si annuncia in chiaroscuro, la Celeste non è una squadra in profonda crisi tecnica, e le aspettative ridotte rispetto a Brasile ed Argentina le hanno permesso più volte di togliersi grandi soddisfazioni. Un futuro non roseo, ma buono, non è difficile da immaginare. Resta da vedere se questo sarà sufficiente per giocarsi un buon mondiale 

Cile - Ora iniziamo ad analizzare una Nazionale veramente in crisi. È vero, il Cile di tutte queste è l'unica a non essere una "storica". Pero, la vittoria delle ultime due coppe America ha inevitabilmente aumentato le aspettative su questa squadra. Premessa: in Copa America la squadra di Rueda è l'unica imbattuta. Però qui stiamo parlando di squadre che dovrebbero essere pronte a rovesciare le gerarchie dell'ultimo Mondiale, e il Cile sembra lontano da questo ruolo. In questo caso, più che ad un calo di vocazione, abbiamo assistito ad un deprezzamento tecnico di molti dei giocatori del Cile, che fra i 25 e i 30 anni si sono persi clamorosamente: pensiamo all'ex Juve ed Udinese Mauricio Isla, per esempio; o a Medel, Castillo, Edu Vargas (qualcuno a Napoli tratterrà ancora le lacrime, ma non siamo sicuri siano di gioia). Trovare punti di riferimento, che non si siano ancora smarriti, è difficile: c'è Sanchez, che malgrado sia stato un po' "ridimensionato" dalla scelta di passare dall'Arsenal allo United, è ancora un grande giocatore. C'è Vidal, che però (pur essendo un paio di spanne sopra gli altri) non è lo stesso della Juve; c'è forse Pulgar che, al contrario degli altri, è ancora giovane. Per il resto, una lunga galleria degli orrori di giocatori sparsi fra squadre più o meno sconosciute di sud e centro America. Qui il turnover c'entra fino ad un certo punto, ma il Cile rischia un drastico ridimensionamento di ambizioni nei prossimi anni, di cui il mondiale è stato solo l'antipasto

Don't cry for me Argentina - Ed ecco uno dei misteri calcistici degli ultimi 10 anni, l'Argentina. È anche difficile dire da cosa cominciare: quando puoi schierare decine e decine di top players praticamente in ogni zona del campo, quando hai quello che viene considerato il migliore al mondo ed esci agli ottavi dei Mondiali, dopo una qualificazione presa per i capelli, vuol dire che qualcosa non va. Se poi in Copa America rischi l'eliminazione dopo una sconfitta 2-0 contro la Colombia e un 1-1 contro il Paraguay, il rischio è che non si tratti di una coincidenza. Qui il problema non è di natura anagrafica: esclusa la difesa: in Argentina i giovani giocatori di talento non mancano, soprattutto in attacco. Forse l'unica cosa da rivedere sarebbe il portiere: malgrado il fatto che Armani faccia del suo meglio, non è un giocatore di livello internazionale. Però è pure vero che l'Argentina temibile di qualche anno fa giocava con in porta Andujar e Romero, non proprio due campioni invidiabili. Il problema è probabilmente psicologico: la nuova generazione cresciuta all'ombra di Messi si dispera per la mancanza di risultati al Mondiale e per questo marziano che è molto meno micidiale quando si tratta di giocare per il proprio Paese. Su tutti questi ragazzi, in più, incombe l'ombra dei loro predecessori: Messi deve giocare come Maradona, Higuain dovrebbe (doveva, ormai) essere il nuovo Batistuta, Paredes un giocatore di carisma come Mascherano. La frustrazione di non riuscire a ripagare queste aspettative uccide molti giocatori che nei club sono fenomeni. 

La panchina, in più, è diventata bollente: Scaloni è in bilico dopo nemmeno un anno, Sampaoli ha trasformato l'ultimo Mondiale in una lunga via crucis. Adesso, chi vorrebbe prendere questa panchina, sapendo che la situazione nello spogliatoio non è delle migliori? Chi verrà, sapendo che Messi a giorni alterni annuncia il ritiro dalla Nazionale e il ritorno "per l'ultima occasione di vincere nella mia vita"? Le aspettative sono sempre altissime, con un materiale tecnico di questa caratura. Il problema è anche che si ha l'impressione che, al momento, l'Argentina non sia una Nazionale, ma una confederazione di clan in lotta. Nel breve, non si vedono possibilità di miglioramento. Forse la star della panchina sarebbe la soluzione, ma dovrebbe essere un sergente di ferro, e non abbiamo un nome in testa, al momento. God save Argentina

Una nuova speranza L'unica Nazionale che, adesso, sembra poter dire la sua senza suscitare alcun dubbio, è la Colombia. Forte, nell'ultima Copa America si sta letteralmente mangiando gli avversari. Di talento, qui, ce n'è a iosa, e fare una lista di tutti i giocatori colombiani in top club è un inutile esercizio di stile. La cosa da notare, però, è che escono fuori ogni anno degli ottimi giocatori provenienti da quella zona. L'ascesa della Colombia non è stata una sorpresa: andava avanti già da almeno 6-7 anni. La cosa che aveva sorpreso era stata il giro un po' a vuoto ai Mondiali, quando Southgate li ha eliminati agli ottavi di finale. La squadra, però, ha continuato a lavorare e oggi, a nostro parere, è quella con più margini di miglioramento: l'unico che sembra un po' involuto degli attuali convocati (evitiamo di resuscitare J. Martinez) è il tigre Falcao, che però resta un gran giocatore. In più, quello che la Colombia ha perso in invidualità lo ha guadagnato in collettivo: fino a qualche tempo fa, era "La squadra di Falcao" o "di Cuadrado" etc... Ora sfidiamo qualcuno a trovarci il solista, l'uomo copertina dei Cafétéros. Infine, troviamo che non sia la stessa Nazionale scoppiettante di 5-6 anni fa, ma che abbia guadagnato in esperienza. Se si riuscirà a gestire la perdita di 2-3 dei suoi interpreti attuali per evidenti limiti d'età, la Colombia potrebbe riportare un po' di morale al calcio sudamericano.

Questioni strutturali - Ci siamo interrogati sulle ragioni del declino del calcio sudamericano e della Copa America dal punto di vista di ogni singola squadra. In compenso, ci sono anche delle questioni più grandi che non hanno permesso a queste Nazionali di alzare la coppa del mondo negli ultimi 20 anni. La prima è la ristrutturazione del sistema dei vivai. Diciamo che, a partire dalla seconda metà degli anni 2000, con l'affermazione del Barcellona di Guardiola e della Masia, le nostre squadre di club hanno cominciato a vedere che investire sui giovani del vivaio poteva essere più redditizio che puntare su giocatori già fatti. In questi centri di formazione si è cominciato a puntare (anche in virtù delle nuove regole UEFA) sempre di più sui ragazzi del proprio Paese e degli altri Paesi europei. Le Nazionali europee, in questa maniera, hanno aumentato il bacino di giocatori convocabili; quelle sudamericane sono state costrette spesso a pescare fra squadre del proprio continente, ancora abbastanza distanti dagli standard europei.

L'altro fattore è stato il successo dei campionati nazionali in Sudamerica: noi ricordiamo la finale del Mondiale per club vinta dal Corinthians contro il Chelsea, ma è innegabile che negli ultimi anni i campionati brasiliano ed argentino siano cresciuti in maniera esponenziale. L'effetto collaterale è che anche i prezzi delle loro stelle hanno avuto lo stesso andamento. Questo ha avuto come concausa un maggiore investimento dei club sui vivai (perché mettere soldi su qualcuno che è extracomunitario, e dunque oggetto di limitazioni, quando posso firmare qualcuno del mio Paese ad un prezzo più basso?), una maggiore permanenza dei calciatori sudamericani nel proprio campionato nazionale e quindi un ritardo sempre maggiore nel loro processo di "maturazione". Perciò, il Sudamerica ha perso quel carattere di "mercato rionale" che era prima, dove direttori sportivi più o meno spregiudicati mettevano a segno colpi favolosi a cifre ridicole. Già il solo fatto di dover trattare con dei fondi ha portato alla quasi estinzione di queste figure (nel nostro campionato, l'unico che ci viene in mente che ha questo rapporto così stretto col Sudamerica è Walter Sabatini), e allo svuotamento tecnico di parecchie Nazionali. Parzialmente, quel ruolo di "terra di nessuno in cui fare buoni affari è l'Africa, che si prepara (in una situazione diametralmente opposta a quella dell'America Latina) ad una delle Coppe più seguite della propria storia. Intanto, delle nazioni elencate sopra, uno dei pochi campionati in cui ancora si possono fare colpi straordinari a prezzi molto contenuti, è proprio la Colombia. Le due cose saranno un caso? 

Ne "El CID" si dice che "A vincere senza pericolo, si trionfa senza gloria". Per questo, noi europei, una volta smaltita la gioia delle nostre vittorie, dovremmo augurarci vivamente in una resurrezione a livello mondiale del calcio sudamericano. Dopotutto, 20 anni da campiomi (24, se contiamo anche la vittoria della Francia nel '98) sono tanti. Non minerebbe le fondamenta del nostro calcio saltare un giro.