Non sempre si può dire sì ed infatti c'è chi dice no, ma alla nazionale no non si può dire? Spinazzola, Dybala, Romulo, Destro, Senesi, Kean, per citare l'ultimo caso, che probabilmente non sarà l'ultimo come è normale che sia.
Ognuno per motivi diversi, ma pur sempre un no è stato. Alla nazionale non si deve dire no, si santifica, un comandamento non scritto, un dogma. Ma non sempre è così. Non esiste più il calcio di una volta. E lo sappiamo. La nazionale non è da tempo più il bene primario, assoluto, i club hanno la priorità, le competizioni dei propri club di appartenenza vengono prima e d'altronde i primi a dare il segnale di fastidio sono proprio i club di appartenenza. Un tempo, quel maledetto o benedetto tempo che non esiste più, per una società avere un giocatore in nazionale era motivo di orgoglio da sbandierare ai mille venti. Si faceva la conta e la corsa per le società che fornivano benzina alla nazionale. Il calcio di oggi ha segnato un ribaltone notevole dove il motivo di vanto e orgoglio è diventato un motivo di disturbo.
Non rompete le scatoline con la nazionale. Giocatori spremuti come limoni fino all'ultima goccia. E dunque il no alla nazionale se un tempo era un qualcosa di blasfemo per i club medesimi, di impensabile, oggi, invece, non disturba più. Anzi. Questo è un primo fattore. Poi ve ne è un secondo. Da non poco conto.
La forza di dire no alla nazionale che trova legittimazione proprio dai propri club di appartenenza, spinge il giocatore quando non ne può più, quando non ne ha più a dire, no grazie. Perchè non si può dire sempre sì. Non più almeno. I duri e puri dicono che alla convocazione della nazionale, di qualsiasi livello, non si deve mai rifiutare, a rischio di lasciarci una gamba, perchè quella maglia azzurra rappresenta un Paese intero, un mito, un bene supremo, un tutto quello che si vuole a cui se deve totale fedeltà e obbedienza. Un no sarebbe un tradimento, dei peggiori. Ma i duri e puri devono farsene una ragione, esiste un aspetto importante che merita altrettanto rispetto.

La volontà del giocatore. Se un giocatore che è un ragazzo, una persona, non un robot, non se la sente di giocare in nazionale, vuoi per motivi fisici, vuoi per motivi psicologici, vuoi per ragioni forse di incompatibilità con qualcuno del team, ha tutto il diritto di dire no. Si è voluto clubizzare la nazionale? Ed allora è anche giusto che prevalga la volontà del giocatore. Non iniziate, dice Kean. Ed ha ragione. Ha le sue motivazioni, avrà i suoi problemi. Certo, noi siamo quelli dell'era preistorica di Holly e Benji, siamo affezionati alla divinizzazione della nazionale, però in tutto ciò ci siam dimenticati che siamo esseri umani, che siamo mortali non caduti dall'Olimpo ma nati e cresciuti nello stesso Pianeta.
Uomini e donne con le proprie debolezze, e con le proprie visioni del mondo che hanno tutto il diritto di dire no. No anche alla nazionale, che non significa venir meno di rispetto all'idea platonica che riveste il fascino della maglia azzurra.