Con il trentottesimo turno in scena durante questo caldissimo fine settimana di inizio agosto, si conclude, finalmente mi verrebbe da dire, il campionato di Serie A.
Una stagione atipica, caratterizzata e condizionata dalla lunghissima pausa causata dal Coronavirus e dall’emergenza sanitaria che ne è conseguita. Il campionato ha già praticamente emesso tutti i suoi verdetti. Resta da stabilire, tra Genoa e Lecce, quale sarà l’ultima squadra ad accompagnare nella discesa in Serie B Spal e Brescia. Per il resto, con sommo dispiacere di opinionisti ed esperti televisivi più o meno improvvisati, che avevano pronosticato la fine del regno bianconero, la Juventus si è imposta per la nona volta consecutiva, la trentottesima in totale, per quanto possa dirne una stampa sempre più ostile alla quale altro non rimane che aggrapparsi ad una sentenza partorita da una ignobile farsa che quattordici anni fa scippò, come recentemente dichiarato da Buffon, due scudetti a quella che all’epoca era una delle primissime società in Europa. Mi chiedo quale consolazione possa portare ai vari Varriale, Pistocchi e compagnia rimarcare, con insopportabile improntitudine, i due scudetti revocati. Forse trentasei gli sembra un numero di trionfi più tollerabile, specie se rapportato alle vittorie delle loro squadre? Quattordici anni fa si erano illusi di essersi definitivamente liberati di noi, di averci detronizzati, distrutti, praticamente uccisi. Si erano illusi di averci ridotti per sempre ad un ruolo di secondo piano. Invece, colpendo la società che ne è sempre stata il faro e la guida, avevano solo iniziato a distruggere il calcio italiano che, da allora, si è avviato ad un triste declino, arrivando addirittura dopo oltre mezzo secolo a mancare la qualificazione ai mondiali di Russia. Declino dal quale solo negli ultimi anni si iniziano a intravedere segnali di ripresa. Sicuramente questi personaggi soffrono non poco nel vedere i colori bianconeri saldamente issati lassù. Un regno su cui il Sole sembra ancora lontano dal tramontare. Questi nostri “amici” all’epoca inneggiavano trionfanti ad una presunta giustizia che finalmente ripuliva il calcio italiano dal suo male e contemporaneamente festeggiavano la vittoria di un mondiale, arrivata grazie ad una squadra in larga parte composta da giocatori forniti da quella stessa società da essi indicata come responsabile di ogni nefandezza. Un atteggiamento simile a quello tenuto nel corso degli anni dall’Inter, perfino noiosa nelle futili, continue proteste per i presunti torti subiti (e a proposito da ben 22 anni sono ancora in attesa di vedere un rigore concesso per un contatto simile a quello tra Iuliano e Ronaldo, il brasiliano, l’altro Ronaldo) e allo stesso tempo, ogni volta che ne ha avuto l’opportunità, sempre pronta a tesserare giocatori provenienti dalla Juventus, compreso il suo allenatore Lippi e il tecnico di scuola bianconera Gasperini e arrivando addirittura a spiare le manovre di mercato del Direttore Generale. Questi nostri “amici” non mancano di ricordare ad ogni occasione possibile che, secondo sentenza (e ci sarebbe da scrivere un libro a riguardo), il numero corretto di scudetti è 36. In fondo posso anche capirli, in questo modo possono almeno rivivere quel bel sogno che purtroppo per loro è durato troppo poco. Nove titoli consecutivi, le cavalcate europee, un marchio in crescita esponenziale, Cristiano Ronaldo e poi De Ligt, il meglio del calcio mondiale che sceglie la Juventus. Troppo difficile da accettare per quelle che erano le loro aspettative durante l’ignobile e vile farsa di 14 anni fa. E’ ormai diventato imbarazzante confrontare i personaggi che oggi circolano nel giornalismo cartaceo e televisivo, con i professionisti di ieri, di quegli anni sempre più lontani nei quali la tv di stato credeva nella sua missione di essere servizio pubblico.
Erano gli anni '80, ero un bambino. Insieme a mia sorella iniziavo a scoprire il calcio, accompagnati per mano da papà in questo meraviglioso viaggio nel mondo bianconero. Le partite alla radio e poi “90° minuto” nel pomeriggio della domenica. Paolo Valenti era il conduttore che per primo portava nelle case degli italiani i gol della giornata appena disputata. Lo ricordo introdurre i servizi degli inviati con professionalità ed educazione. Non rubava la scena al servizio sulla partita con commenti non necessari. Nessun telespettatore poteva nemmeno intuire per quale squadra tifasse e in qualche modo questa curiosità iniziò evidentemente a diffondersi, al punto che lo stesso Paolo Valenti, nel corso di una puntata della trasmissione da lui ideata e condotta, promise che l’ultimo giorno in cui avrebbe condotto “90° minuto” si sarebbe presentato in studio con i colori della sua squadra del cuore. Purtroppo non ne ebbe il tempo. Morì troppo presto. Fu Nando Martellini, nella puntata immediatamente successiva alla scomparsa di Valenti, dopo aver ricordato con affetto il collega, a svelare ai telespettatori che il suo predecessore era tifoso della Fiorentina. Ricordo che rimasi sorpreso, non aveva mai fatto trasparire alcuna inclinazione del suo tifo, e, lo riconosco, in parte deluso. Una persona del genere mi sarebbe piaciuto averla nella nostra schiera. Come Paolo Valenti ce ne sarebbero altri di esempi in quegli anni, quando serietà, educazione e padronanza del linguaggio erano le caratteristiche distintive di chi appariva in video. Il paragone con i personaggi che guidano oggi il servizio pubblico e conducono le varie trasmissioni calcistiche è imbarazzante.

Comunque la Juventus ha vinto, la Lazio, l’Inter e l'Atalanta andranno in Champions League. Roma, Milan e Napoli le vedremo invece in Europa League, a meno di sorprese nell’atto conclusivo delle due coppe europee in programma nel mese di agosto. Abbiamo visto un campionato spezzato in due parti e condizionato dalle tante partite concentrate in un periodo decisamente troppo caldo.
La Juventus era in testa al momento della sosta ed ha, nonostante qualche passo falso che però ha caratterizzato anche il cammino delle rivali, ampliato il vantaggio sulle inseguitrici alla ripresa della stagione, fino a presentarsi a quattro giornate dal termine con la necessità di ottenere tre soli punti per aggiudicarsi matematicamente lo scudetto. Abbiamo avuto un campionato molto prolifico dal punto di vista delle realizzazioni, grazie anche a questa regola sui falli di mano che trasforma ogni palla tirata in area in una seria occasione da rigore. Possiamo giudicare in maniera molto positiva la stagione di Atalanta soprattutto ma anche della Lazio, che ha ottenuto il massimo possibile con la rosa a disposizione. L’Inter, pompata dalla consueta campagna mediatica incessante che la voleva campione a tutti i costi, ha condotto la solita stagione, in cui parte carica di sogni e aspettative per poi iniziare a sgonfiarsi verso dicembre e gennaio.
Non è mancato nemmeno il solito spettacolo sgradevole di un Conte sempre pronto a gettare le responsabilità su società (colpevole di aver assecondato tutte le sue richieste, arrivando persino a riesumare Victor Moses dalla pensione turca), sui giocatori, la cui colpa è quella di essere validi atleti ma calciatori tra il modesto e il normale, e, nel pieno rispetto della mentalità interista che pare essersi ben radicata in lui, sull’immancabile “Palazzo”. Conte applica un gioco che segue lo stesso identico filo conduttore da oramai troppi anni. Un gioco estremo, dispendioso, che necessita di una forte componente atletica che il mister dell’Inter predilige a discapito dell’aspetto tecnico. La paura di perdere che lo condiziona in maniera esasperata lo ha portato, negli anni, a trincerarsi in un unico sistema di gioco, decisamente difensivo, il cui schema d’attacco consiste prevalentemente nel lanciare la palla sul centravanti grande e grosso. Era così nella Juventus di Tevez e Llorente, è così nell’Inter di Lukaku e Lautaro. Ovviamente la differenza tecnica tra le due coppie offensive determina, almeno in parte, la notevole differenza di risultati ottenuti dalle due diverse squadre. La speranza di tutti coloro che vogliono la fine del ciclo bianconero risiede nel fatto che auspicano questa appena conclusa come una stagione di costruzione e che la vera Inter di Conte si vedrà l’anno prossimo, quando riuscirà finalmente a colmare il famoso gap. Curiosamente questo principio non si applica alla Juventus e a Sarri, qualora dovesse essere ancora lui il nostro allenatore. La Juventus, a quanto raccontano, questa è e questa rimane. Anzi, probabilmente si indebolirà, nonostante gli acquisti già perfezionati di Arthur e soprattutto Kulusevski, giocatore dal potenziale infinito.
L’Inter invece viene descritta come l’unica società che non sembra risentire di alcuna ripercussione economica causata dell’emergenza Coronavirus. L’Inter vuole tutti i migliori, tutti i migliori vogliono l’Inter, come abbiamo visto negli anni passati con Vidal, Modric e compagnia. La locandina con la quale la società di Milano ha presentato l’incontro con il Napoli del turno scorso, sembra svelare, senza possibilità di equivoco, il prossimo acquisto di Messi che, a quanto pare, non vede l’ora di raggiungere Milano per giocare al fianco di Lautaro nel sistema di Conte. Nell’eventualità gli auguro di incontrare una sorte più favorevole di quella che toccò al piccolo Giovinco qualche anno fa, schierato spesso da centravanti, spalle alla porta a contendere palle alte e lunghe a difensori decisamente grossi di lui. Mi aspetto sul serio l’acquisto del fuoriclasse argentino. In caso contrario la scelta di utilizzare la sua immagine, o meglio, la sua ombra, in quella locandina si tramuterebbe in una figura ridicola a livelli colossali. L’ennesima nella storia di questa società.

Ho apprezzato la stagione del Verona, ben guidato in campo da Miguel Veloso e Amrabat e sapientemente diretto in panchina da Juric che, per la prima volta alle prese con un progetto che non fosse la solita disperata impresa genoana, ha dimostrato capacità che meritano di essere tenute in considerazione.Tra le altre, con il Napoli evidentemente giunto alla fine di un ciclo e che ha pagato la scelta di affidarsi ad Ancelotti (scelta sbagliata commessa anche dell'Everton che, rimosso giustamente Marcos Silva dalla guida tecnica, avrebbe fatto meglio a proseguire con Duncan Ferguson, uno che ha dentro di sé ben radicata l’identità toffees, piuttosto che affidarsi ad un allenatore che non più nulla da dire), con la Roma che ha riproposto il solito campionato insipido, forse il Milan avrebbe potuto aspirare ad una stagione migliore, pesantemente penalizzato però dalla scelta iniziale di affidare la panchina a Giampaolo. Scelta che ha innescato una serie di equivoci tattici che hanno richiesto diversi mesi al subentrante Pioli per essere definitivamente sistemati. Ovviamente è presto per fare previsioni ma ho la sensazione di un Milan in lotta per un posto Champions nel prossimo campionato.

Resta quindi da decretare l’ultima retrocessa, con il Genoa forse favorito sul Lecce. Mi si permetta di esprimere una leggera simpatia per Liverani che mi sembra aver tratto il massimo da quelle che erano le risorse tecniche messe a disposizione dalla società.

I campionati condotti da Spal e Brescia, abbondantemente retrocesse già da parecchio tempo, e che vanno in scia alle stagioni più recenti di Frosinone, Chievo, Benevento, Pescara ecc…, rilanciano i dubbi sull’opportunità di conservare ulteriormente il formato attuale della Serie A. Quella delle venti squadre è stata una scelta che mi ha lasciato perplesso fin dall’inizio. Non ho mai capito quale fosse il reale vantaggio. Ci sono partite in più, questo è vero, ma si tratta di incontri con un valore tecnico modesto e trascurabile che difficilmente richiamano l’interesse del pubblico, eccezion fatta per i tifosi delle squadre coinvolte. Da troppi anni assistiamo ad una lotta per la retrocessione che coinvolge massimo tre o quattro squadre per un solo posto, dal momento che almeno in due si staccano subito e guardano tutto il campionato dal basso, senza mai dare nessun segno di una possibile ripresa. Forse le venti squadre sono troppe per un calcio sempre più omologato e appiattito su un modo di giocare piuttosto comune alla quasi totalità delle squadre. Situazione che probabilmente comporta anche l’impossibilità di avere un bacino di giocatori di livello sufficiente per soddisfare le necessità di tutte le società. Sui ragazzi lavorano in pochi, meglio di tutti l’Atalanta, per il resto negli anni abbiamo assistito ad un afflusso continuo dall’estero di giocatori più o meno improbabili che attraversano per qualche mese il nostro campionato senza lasciare alcuna traccia e alcun ricordo di sé. Mi piacerebbe si tornasse nel più breve tempo possibile alle diciotto squadre, magari ristrutturando il discorso delle retrocessioni sul modello tedesco. Si libererebbero nel calendario i quattro turni infrasettimanali. Date che potrebbero essere sfruttate per l’allenamento ed il recupero oppure per studiare una nuova formula per la Coppa Italia che ha urgente bisogno di rinnovamento anche per una questione di credibilità della manifestazione stessa.