L’EDITORIALE DELLA DOMENICA
Un evento poco felice ed un tantino sfortunato, al cui verificarsi, mi sia concesso, non ho fornito aiuto alcuno, mi impedisce di svolgere il mio lavoro con regolarità. Gli spazi per scrivere si restringono al fine settimana e a quei pochi momenti di lucidità e freschezza che rimangono dopo una giornata di fatica. Inauguriamo con questo articolo un nuovo appuntamento, a cui potremmo dare il nome di “editoriale della domenica”, “il caffè della domenica mattina” o qualunque altro titolo vi possa sembrare appropriato. Lascio a voi lettori la scelta, giacché invero il mestiere di titolista non si addice alla mia persona.

Alla vigilia del trentesimo turno di serie A, che vede in programma nella giornata di sabato il derby di Torino e un interessante Lazio-Milan, la situazione in vetta alla classifica è invariata. Il turno infrasettimanale ha infatti mantenuto i distacchi immutati tra le prime quattro squadre del campionato. Come si diceva una volta “è rimasto tutto come prima, ma manca una giornata di meno”. E quando sei in testa alla classifica non è necessariamente un male. La Lazio, nelle precedenti due partite, ha rischiato di lasciare qualcosa per strada. Soprattutto contro la Fiorentina, dopo un primo tempo chiuso meritatamente in svantaggio per 1-0 ed un avvio di ripresa che aveva visto diverse palle gol dei viola non capitalizzate, la possibilità che crollasse non era poi tanto remota. Invece, pur nella convinzione che il rigore del pareggio sia stato come minimo generoso, bisogna riconoscere alla Lazio almeno il merito di non accettare la resa e restare in partita, nella convinzione che possa girare a favore. Contro il Torino, nel turno infrasettimanale, di nuovo una vittoria per 2-1 in rimonta dei biancocelesti. Questa volta però la sensazione, guardando la partita, era che i gol laziali fossero solo una questione di tempo. Non ho mai avuto l’impressione che il Toro avesse la forza e la capacità di conservare quel vantaggio trovato grazie ad un rigore netto a livello regolamentare ma che somiglia tanto ad uno di quei jolly che ogni tanto, grazie al var, si riescono a pescare in area di rigore. La vittoria laziale di Torino spostava quindi sulla Juventus, impegnata a Genova, il peso di rilanciare la volata e riportarsi a quattro punti di vantaggio. Compito assolto nel migliore dei modi. Genoa-Juventus è stata probabilmente la partita giocata meglio dai bianconeri da quando il campionato è ripartito. Una partita controllata dal primo minuto con un palleggio efficace e pulito, al quale il Genoa poteva solamente opporre una difesa ordinata, chiusa e compatta a ridosso della propria area di rigore. Nonostante il primo tempo chiuso in parità mi sentivo molto fiducioso. La Juventus aveva prodotto un buon gioco e, pur senza creare occasioni limpidissime, era riuscita a calciare diverse volte verso la porta di Perin, in particolare con Ronaldo. Nel corso del primo tempo era evidente allo spettatore la particolare “ispirazione” del portoghese nel momento della conclusione in porta. Calciava spesso e bene in ogni occasione, chiamando Perin a compiere un paio di interventi sopra la media. Quando un giocatore come Ronaldo, nel corso di una partita, calcia spesso trovando sempre la porta il gol diventa un evento inevitabile. Le due marcature, in rapida successione, che chiudono la questione Genoa arrivano poco dopo l’inizio del secondo tempo. Bellezza e armonia nella rete di apertura di Dybala, potenza devastante nel raddoppio firmato da Ronaldo al termine di una percussione centrale conclusa con un tiro fortissimo e angolato. Un capolavoro di Douglas Costa intorno al settantesimo minuto, con un sinistro all’incrocio dei pali che ha strappato un “bravo, bravo” di ammirazione anche a Bergomi in telecronaca, ha arrotondato il risultato e permesso a Sarri di risparmiare qualche minuto sia a Dybala che a Ronaldo.
La partita non è mai stata vicina a riaprirsi, neppure dopo il 3-1 trovato da Pinamonti al primo tiro in porta del Genoa e nonostante qualche disimpegno difensivo un po’ ardito, che credo venga proposto dai giocatori con una certa insistenza al solo scopo di spaventare me, che fino all’ultimo secondo ho timore che una catastrofe possa abbattersi sulla nostra partita compromettendola irrimediabilmente. La Juventus dunque risponde alla Lazio in maniera convincente, con una prestazione di squadra ed individuale nettamente sopra la sufficienza. Anche analizzando le prestazioni dei singoli fatico a trovare qualcuno che non sia stato all’altezza. Ovviamente i forum e social vari, che raccolgono l’umore dei tifosi a caldo, erano di altro avviso e le prove di Danilo, Rabiot e Bernardeschi sono state stroncate alla solita maniera, con i soliti commenti a volte anche inopportuni. Purtroppo ormai si è creato un malumore diffuso intorno a questi tre giocatori, ai quali non viene mai concessa una solo attenuante e ai quali, a meno di gol o giocate fulminanti, difficilmente viene riconosciuta la buona partita disputata.

Una delle situazioni più complesse da affrontare in questo campionato, per quanto mi riguarda, è la rapida successione delle partite. Nemmeno il tempo di recuperare dallo sforzo messo in campo per accompagnare la Juventus alla vittoria contro il Genoa e subito siamo attesi dal derby contro il Torino. Con l’età che avanza inizio ad accusare gli impegni così ravvicinati. Lo sforzo fisico e mentale richiesto da ogni partita si rivela sempre più impegnativo. L’assurdo orario delle 17,15, e la conseguente minaccia di giocare con un caldo afoso, porta ulteriore motivo di apprensione per una partita che a questo punto della stagione è difficile non considerare fondamentale. La scelta dell’orario di inizio si rivela negativa, anche per il povero telespettatore che, a dispetto di risoluzioni in 4k e tv di ultima generazione, si ritrova un teleschermo inondato dal sole, sul quale a tratti è difficile capire qualcosa di quello che sta accadendo in campo. 

Sarri conferma la formazione di Genova. Quindi ancora Rabiot e Bernardeschi in campo. Il francese aggiunge un tocco di qualità in più ad una manovra che finalmente sembra aver trovato i binari giusti, mentre si rivelerà più complicata la partita di Bernardeschi. Rispolverando un suo antico difetto che pareva aver accantonato nelle ultime prestazioni, Bernardeschi durante il primo tempo riuscirà a prendere decisioni sbagliate che vanificheranno la maggior parte dei palloni toccati. La partita comincia e la Juventus la sblocca subito. E’ di nuovo Dybala uscendo da uno slalom in area palla al piede a trovare la porta. Esultiamo. Papà, come al solito seduto accanto a me, sorride: “questi sono i gol che segnava Sivori”. Lui è uno di quelli che Sivori lo hanno visto giocare. Per distacco, nel firmamento infinito dei fuoriclasse bianconeri, è il giocatore che ha amato di più. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, lo racconta con trasporto ed emozione. Il Torino, saltato immediatamente, il piano prestabilito di mantenere  il pareggio il più a lungo possibile ed eventualmente ripartire, prova ad alzare il baricentro. Riesce a portare diversi palloni nella metà campo bianconera sfruttando principalmente l’ampiezza del campo. Quello che rimedia è la solita serie di calci d'angolo, tutti senza esito, che non manchiamo mai troppo generosamente di concedere. Rispetto alla partita di Genova il ritmo è più basso ed il pressing meno inteso, ma il gioco della Juventus scorre efficace e pulito. La sensazione è che si possa segnare in ogni momento. Il raddoppio infatti arriva intorno alla mezzora, grazie ad una ripartenza illuminata da un tocco di prima di Dybala che mette in movimento Ronaldo. Cuadrado, ancora una volta il più brillante, scende come un treno sulla destra accompagnando la corsa del portoghese, riceve il passaggio e, dopo aver bruciato con un dribbling secco il diretto avversario, segna il 2-0. Si va al cooling break avanti di due gol e dopo una prova tutto sommato incoraggiante. Il caldo è comunque un’attenuante. Era impensabile vedere un pressing ed un’intensità continua per tutto il tempo. La partita sembra scorrere tranquilla. La Juventus avrebbe potenzialmente le occasioni e gli spazi per colpire ancora ma non le sfrutta per scelte imprecise nell’ultimo passaggio. Inizio quasi a rilassarmi, vista l’evidente disparità delle forze in campo, quando proprio nel recupero del primo tempo il Torino, come nel turno infrasettimanale con la Lazio, pesca un altro jolly alla lotteria dei falli di mano nell’epoca del var. Il tiro di Verdi è ribattuto dalla coscia di De Ligt. L’impatto fa schizzare il pallone sul braccio. Le regole le fanno coloro che non hanno mai giocato a pallone e quindi, dopo un lungo consulto var, l’arbitro Maresca assegna il rigore e ammonisce il difensore olandese che salterà la partita di martedì prossimo contro il Milan. Belotti trasforma il rigore con un destro sicuro e il primo tempo finisce tra le maledizioni lanciate da chi scrive contro il var e un regolamento che ha trasformato quella che era considerata la “massima punizione” in una sorta di gioco degli imprevisti. Mi domando seriamente, al di là del tifo, fino a quando un appassionato di calcio potrà tollerare rigori concessi per inezie e gol annullati per fuorigioco millimetrici, non percepibili ed ininfluenti. Comunque vado al riposo con la sensazione di essere atteso da un’ora di probabile agitazione. L’età avanza e il fisico non risponde più come prima. E’ dura anche per il tifoso la serie A post covid. Soprattutto quando il tifoso in questione è uno di quelli rancorosi che nulla vuole lasciare a chi quattordici anni fa ha tentato di uccidere la Juventus. Contrariamente alla tendenza che si riscontra nel tifoso juventino moderno, io soffro principalmente per il campionato e non vivo la Campions League come un ossessione. La campagna europea è un bellissimo viaggio da vivere tutti insieme, inseguendo il sogno di riprenderci dopo tanti anni quella coppa. Girare l’Europa insieme alla Juventus e agli amici di sempre,  in particolare Lorenzo, con me in ogni trasferta, può mai essere qualcosa da vivere come un’ossessione? Certo, anche io vorrei rivedere quella coppa a Torino e sono convinto che prima o poi succederà. Aggiungo solo che finchè la maggior parte dei tifosi juventini continuerà a chiamare quella coppa “maledetta”, a parlare di maledizione e a viverla come un’ossessione (i danni dei social…) difficilmente riusciremo a raggiungere il nostro traguardo. Incoscienza, gioia, emozione. In questo modo vanno vissute quelle partite. Poi ognuno si regoli come meglio crede.

L’ombra della copertura dello Stadium si allunga finalmente sul campo, fino a coprirlo quasi interamente. Rimane solo una sottile striscia di sole lungo la fascia laterale più lontana. Ci viene risparmiato quindi quel gioco luci ed ombre che tanto fastidio, probabilmente più del Torino, aveva arrecato al telespettatore nel primo tempo.
Dagli spogliatoi esce meglio il Toro, galvanizzato da quel rigore trovato allo scadere del tempo. Tutto quello che ha lo butta in campo in questo avvio di ripresa. E’ poco ma sufficiente per creare qualche fastidio alla difesa della Juventus e far salire l’apprensione dei tifosi. Un paio di cross e un tiro di Berenguer respinto da Buffon, su cui si avventa Belotti in evidente fuorigioco, sono i frutti che riesce a raccogliere il Torino da questo avvio di ripresa. Sarri si affretta ad operare il primo cambio. Entra Matuidi ma, a dispetto dei due telecronisti che spiegavano quanto fosse necessario togliere Rabiot, sostituisce Pjanic. Approvo la sostituzione, il bosniaco anche questo pomeriggio altro non era che il solito passaggetto in più nella manovra. Mi è piaciuto Rabiot, invece. A parte una piccola sbavatura nei primi minuti del secondo tempo, ha offerto una prestazione di spessore ed in crescendo anche che dal punto di vista fisico. Che sia di buon auspicio per il futuro. Il secondo cambio di Sarri, su cui questa volta i due telecronisti non muovono obiezioni, vede l’ingresso di Douglas Costa al posto di Bernardeschi autore, come detto, di una prova in cui certamente non è mancato l’impegno ma non che mi è sembrata buona. Troppe le scelte sbagliate, alcune veramente inspiegabili. La Juventus si scuote e si ripropone in avanti, portando di nuovo la partita nella metà campo del Torino. Ottima punizione dal limite dell’area, leggermente defilata sulla sinistra. Sarebbe la palla perfetta per Pjanic che però è già uscito. Vorrei far calciare Dybala ma sono certo che toccherà a Ronaldo. Come tutte le volte che il fuoriclasse portoghese si accinge a battere una punizione, il mio pensiero vola ai tempi del Manchester United e a quel periodo, che sembra ormai lontano, in cui la metteva dentro con regolarità anche su punizione.
Va in scena uno dei miei tanti dialoghi immaginari con cui tengo compagnia a Ronaldo durante la partita. Questa volta gli ricordo in particolare una punizione clamorosa contro il Portsmouth ad Old Trafford. Un missile che in Premier League è passato alla storia con il nome “the rocket”. Sono già preparato ad assistere all’ennesimo pallone calciato sulla barriera e in cuor mio spero ancora tiri Dybala, invece Ronaldo, sicuramente stufo del fastidio che gli arreco con questi miei discorsi, calcia un pallone perfetto che scavalca la barriera e termina la sua corsa sotto la traversa. Finalmente! Nonostante manchi mezz’ora e nonostante io sia uno di quelli che, anche in vantaggio di due reti nei minuti recupero, pensa sempre che gli avversari possano ancora rimontare, il gol di Ronaldo trasmette la sensazione che la partita sia chiusa. Il Toro non ne ha più. Ha messo in campo quello che aveva e poteva (grinta e gioco ruvido soprattutto) nel tentativo di raggiungere il pareggio ad inizio ripresa. Il 3-1 ristabilisce una distanza tra le due squadre che sembra incolmabile per i granata. L’ultima mezz’ora di gioco vede la Juventus vanificare diverse potenziali occasioni per scelte sbagliate, in particolare troppo affrettate, nell’ultimo passagio. Clamoroso e inspiegabile un contropiede vanificato da Matuidi che, dopo aver vinto un contrasto a centrocampo, vanifica un tre contro uno con un passaggio tanto brutto quanto incomprensibile. Dybala va giù al limite dell’area. Non arriva la punizione ma il giallo per l’argentino che, diffidato, salterà come De Ligt la partita di martedì a Milano. Dal replay si nota la gamba di Izzo frapporsi tra la palla e Dybala. L’ammonizione mi sembra una forzatura. In soccorso del Toro prova a proporsi l’ottimo telecronista, invocando un nuovo intervento del Var per un tocco di Cuadrado su Belotti. Entrambi i giocatori erano in caduta dopo aver cercato di raggiungere il pallone di testa. Cuadrado cadendo all’indietro tocca appena Belotti che rantola a terra. Particolare non trascurabile, nel momento in cui si verifica questo “impatto”, il pallone sta terminando la sua corsa in tribuna, lontanissimo dalla disponibilità dei due giocatori. Le richieste del telecronista rimangono inascoltate. Va bene che ormai, vista la facilità con cui si concedono i rigori, valga tutto ma un minimo di fondamento è per il momento ancora necessario. Non fosse altro che per decenza. 
Il 4-1 arriva a ridosso del novantesimo. Lo firma il difensore granata Djidji con un pregevole intervento in spaccata nell’angolo basso su un altrettanto pregevole cross di Douglas Costa sul quale Higuain, entrato in campo al posto di Dybala, si fa trovare in clamoroso ritardo. L’ultima occasione della partita è per Costa che al termine di una bella azione personale trova pronto Sirigu, bravo ad alzare la palla in angolo.

Finisce dunque questo derby di Torino che porta alla Juventus altri tre punti e celebra il record personale di presenze in serie A raggiunto da Buffon. Una partita ben giocata e vinta in sicurezza, nonostante l’orario fissato dalla lega aggiungesse ulteriori possibili insidie. Una vittoria che sposta la pressione del risultato di nuovo sulla Lazio, impegnata in tarda serata contro il Milan. Questa volta la Lazio accusa il colpo. Dopo due partite sofferte ma comunque concluse con la vittoria, la Lazio si scioglie. Fin dalle prime battute il Milan sembra più fresco e tonico, ben messo in campo da Pioli, con Ibrahimovic porto sicuro della manovra offensiva. Come contro Fiorentina e Torino, la Lazio, priva di Immobile, va in svantaggio. Un destro di Calanoglu trova la deviazione di Parolo e termina la sua corsa sotto la traversa. La sensazione, comodo nella mia poltrona, al fresco del condizionatore e completamente rilassato dopo il derby vinto per 4-1, è che questa volta per i biancocelesti rimontare e vincere sarà più dura. La Lazio non produce palle gol e si affida a cross in area nella speranza di trovare la testa di Milinkovic Savic. La squadra da la sensazione di essere a corto di energie mentre il Milan tiene bene il campo e palleggia con buona qualità. Il 2-0 pare inevitabile e arriva su rigore (anche questo,corretto a livello regolamentare, è uno di quei rigori fortunati che si trovano oggi in giro per le aree di rigore). Calcia Ibrahimovic sotto la pancia di Strakosha. Da un lato sono rilassato perchè la sensazione che andrò a dormire con sette punti di vantaggio sull’inseguitrice più vicina è forte, per un altro aspetto inizio a preoccuparmi per la partita di martedì prossimo a San Siro proprio contro il Milan. Giocano bene i rossoneri. Padroni del campo e in buona condizione fisica, soprattutto con Theo Hernandez che regala diverse accelerazioni brucianti. Il 3-0 segnato dal bravo Rebic è l’inevitabile conclusione di una partita che non ha più storia. La Lazio non è stata mai davvero pericolosa. Ha cercato cross e tiri da fuori velleitari. L’unica vera palla gol, in contropiede, sotto di due gol, è stata vanificata da Luis Alberto che ha ritardato troppo il passaggio per un liberissimo Lazzari finito a quel punto in fuorigioco.
Naturalmente è presto per emettere sentenze. La sensazione (e la speranza) che la Lazio vista ieri sia una squadra sulle gambe, dopo una corsa molto veloce, continua ma estenuante anche e soprattutto a livello mentale, è forte. Passare i tre mesi di sospensione del campionato ad un solo punto di ritardo dalla vetta, focalizzare lo scudetto come obbiettivo di una stagione che potrebbe essere irripetibile, per poi perdere subito tre punti alla ripresa e ritrovarsi a meno sette nelle giornate successive, potrebbe rappresentare, per una squadra non abituata alla lotta al vertice, un colpo letale.
Questa settimana la Juventus si giocherà in due scontri decisivi contro Milan ed Atalanta la possibilità di chiudere il discorso scudetto. Mai come in questa stagione è necessario ragionare una partita per volta e, soprattutto, concentrasi sul pieno recupero fisico e mentale tra una partita e l’altra.