"Non è il campionato più bello, ma è il più difficile".
Quante volte nel corso della nostra esistenza abbiamo sentito parlare in questi termini della Serie A? Praticamente sempre, è l''abc' di qualsiasi calciatore che chiude la prima stagione nel nostro campionato, quando ancora non ha possesso dell'idioma (quello senza dubbi, il più difficile) italico, ma ha talmente tante volte sentito questa affermazione che se ne è autoconvinto.
Ad esser sincero l'ho sempre pensato anch'io, vuoi per il retaggio antico delle difese insuperabili, per i tatticismi ossessivi, per la nostra scuola che in qualche modo ha potuto far storcere il naso, ma ha pur sempre rappresentato un'eccellenza a livello mondiale. Infine, anche e soprattutto per via di calciatori forti, campioni.
Ma oggi è davvero così?
La serie A è davvero un campionato complicato?

Prendiamo in esame i 5 calciatori che hanno realizzato più reti nell'arco di questa stagione:
Ciro Immobile, 27 gol
Dusan Vlahovic, 24
Lautaro Martinez, 21
Giovanni Simeone, 17
Tammy Abraham, 17

Se si potesse ridurre il tutto solo ai marcatori, si potrebbe considerare che qualche exploit c'è sempre stato, anche in annate in cui il nostro calcio era il santo Graal della via lattea (Hubner, Protti, Bianchi ecc.).
In ogni caso, leggere che Giovanni Simeone ha gonfiato la rete diciassette volte, dopo aver fatto annate da 6 gol, vedere Immobile che invece ne ha piazzati ancora una volta quasi una trentina, mentre in nazionale non segna neanche con le mani, Vlahovic che appena passa da Firenze a Torino non segna più, Abraham (non mi volere male, ti voglio bene, grazie sempre di essere venuto) che faceva panchina fissa al Chelsea, arriva e spacca porte e pali, sulla stregua di quanto fatto nei 2 anni interisti da Lukaku che a sua volta fa percorso inverso, torna in premier e viene relegato in panchina, ritrovandosi a piangere in ginocchio per tornare alla pinetina; tutto questo lasciatemi dire che qualche dubbio serio lo fa sorgere.
Manca Lautaro, che ha chiuso con un bottino di gol sostanzioso, ma un po' come accadeva in tempi non sospetti con Icardi (anche lui tra l'altro considerato top mondiale in Italia) alterna prestazioni sontuose che chiude con triplette, a mesi di nulla, e infatti l'Inter nettamente favorirà al titolo, si è ritrovata un buco sul petto, con il tricolore 'scucito' dai cugini.
Il punto tutto sommato, non è neanche capire se siamo ancora da ritenere validi agli occhi del mondo; è un torneo nazionale, per cui se "il milanista" vince lo scudetto, non è che resta meno contento perché non siamo ai livelli degli anni duemila ( che nostalgia però..). Il focus è proprio sui giocatori, troppo spesso definiti campioni perché fanno bene o benissimo in una squadra, in un determinato contesto o schema di gioco, a tal punto da spingerci a dire 'questo qui è un fenomeno'. 
Innanzitutto, 'campione', fenomeno' (fenomeno poi ce n'è stato solo uno, uno di quei tre che portano lo stesso cognome) sono termini che si possono ricondurre a una strettissima cerchia di calciatori, per cui sentire apprezzamenti di questo tipo diretti verso gente che probabilmente non era neanche annoverabile nella massima serie dieci/quindici anni or sono, fa rabbrividire.

Il Milan è campione d'Italia, per cui si può obiettare la qualsiasi, ma in quanto vincitrice è per forza la squadra di riferimento del calcio a tinte azzurre. Una squadra che ha vinto meritatamente l'ultima stagione, che ha mostrato una forza di gruppo e mentale fortissima. 
Chi ha creato questa forza interiore? La società, chiaro.
E poi?
Pioli, certamente.
Ma chi è stato l'uomo che ha fatto la differenza sin da subito? Che ha tolto dal torpore un gruppo che a dicembre 2019 affondava sotto i colpi di un'Atalanta che sembrava indomabile, e che per lunghi periodi in questi anni, lo è stata davvero?
La risposta la sapete tutti, è stato un grande campione (lui si) che alla soglia dei quarant'anni, arrivando da un campionato che comincia a essere importante, ma non ancora al punto di essere considerato vero, dato per morto e sepolto, Dio è sceso a milanello e ha insegnato ai suoi discepoli come si fa a essere giocatori credibili.

Arriva Ibrahimovic e Kessiè torna a sembrare il giocatore sfavillante visto a Bergamo, arriva Zlatan e nasce quella che forse è l'unica autentica stellina del nostro campionato (ci sarebbe anche Dybala, se riesce a non stare troppo in infermeria): Rafael Leao

Fatte le dovute lodi allo svedese, c'è il rovescio della medaglia dell'impatto devastante che ha avuto: un atleta di trentanove anni, seppur di livello assoluto, può essere così determinante in un campionato top? Perché va bene la mentalità che ha portato, va bene che ha fatto crescere i giovani attorno a lui, ma arriva a gennaio e mette a referto pure 10 gol e 5 assist in diciotto presenze, comincia il campionato successivo e ancora diciannove presenze e 15 gol; gioca quest'ultima stagione praticamente senza legamento crociato e in mille minuti ne fa altri 8.
Un altro esempio? Niente di più facile; giocava a Roma fino a pochi giorni fa, quando ha declinato la proposta di rinnovo giallorossa per accasarsi con i nerazzurri: chiaramente parlo dell'armeno Henrikh Mkitaryan.
Non ci avrà fatto vincere lo scudetto, ma ci aveva promesso di andarsene vincendo qualcosa, e fortunatamente ci è riuscito. Parliamo di un giocatore che era ormai nell'oblio, andato via dall'Arsenal con i tifosi gunners che deridevano la scelta della Roma di prenderlo, eppure arriva e tra un acciacco e l'altro, nella sventurata annata del covid ne fa comunque 9. La stagione scorsa chiude con 13 reti (scusate se è poco), in quest'ultima giocando per lo più da centrocampista, chiude il suo percorso all'olimpico con 5 reti e un'importanza cruciale nelle vicende dei lupacchiotti.

Non è certo tutto da buttare, qualche idea tattica diversa l'abbiamo vista, qualche ragazzo interessante pure.
Il Sassuolo gioca un buon calcio, tanto per citarne una abbastanza sotto gli occhi di tutti. Una società che tra l'altro si muove anche bene sul mercato tra giovani nazionali e scovati in giro dai loro bravissimi scout. Anche qui però parliamo sempre di (questa) serie A, per cui attenzione a titoloni per giovani che hanno comunque da dimostrare in altri contesti, con più pressione, non facciamo di Raspadori Aguero, non facciamo di Scamacca Ibrahimovic, semplicemente perché non lo sono, e discuterne in questi termini può solo danneggiarli, forse arricchirli, ma tecnicamente resteranno quel che sono: buoni giocatori, non fenomeni.