Luciano Ligabue, cantautore classe 1960, è una delle icone della musica italiana. L’anno prossimo, il fenomeno nativo di Correggio, arcinoto tifoso nerazzurro, festeggerà i 30 anni di carriera.

Partendo proprio dalla sua discografia, ho deciso di ripercorrere con una serie di articoli alcuni degli eventi della storia interista, che ben si accompagnano alle storie musicali create dal rocker emiliano.

L’album da cui verranno tratti i brani oggetto dell’articolo è quello d’esordio, pubblicato nel 1990, dall’inequivocabile titolo Ligabue.


BALLIAMO SUL MONDO: la canzone, vincitrice del Disco Verde nell’estate delle notti magiche di Italia ’90, ha lanciato il Liga nel panorama nazionale, e narra di due ragazzi che decidono di ribellarsi alla loro vita piatta, fuggendo da essa, fino ad arrivare, metaforicamente, a ballare sul mondo.
Chi invece ha ballato e addirittura conquistato il mondo è stata l’Inter di Herrera, che divenne la prima squadra italiana a fregiarsi del titolo di campione del Mondo per club, conquistando la Coppa Intercontinentale nel 1964.

E chi poteva essere il protagonista indiscusso di quella sfida se non il ribelle della squadra per eccellenza, al secolo Mario Corso? L’inventore della “foglia morta” fu decisivo nella tripla sfida con gli argentini dell’Independiente: dopo aver perso 1-0 in Sud America, ci fu la rimonta a San Siro targata Mazzola e appunto Corso.
Il regolamento di allora prevedeva una terza sfida in caso di parità di punteggio, che si disputò a Madrid: si arrivò ai tempi supplementari, dove il “piede sinistro di Dio” colpì ancora su assist di Peirò, decretando la fine dei giochi e portando l’Inter sul tetto del mondo.
L’anno dopo, la sfida tra le due compagini si replicò.
Nella gara di andata in Italia non ci fu storia: 3-0 secco, con stavolta protagonista Sandro, autore di una doppietta, preceduta dalla rete di Peirò.
Il ritorno infuocato in Argentina non impedì però ai neroazzurri di festeggiare per la seconda volta consecutiva il titolo: finì in bianco e la Beneamata confermò di essere la squadra più forte al mondo.

Qualche anno dopo questi successi, l’uomo metterà per la prima volta il piede sulla Luna; ma l’Inter del “Mago” ha lasciato la sua impronta indelebile su tutto il mondo del calcio, divenendo la leggenda di cui ancora oggi si sentono gli echi.

 

BAMBOLINA E BARRACUDA: il pezzo ha come protagonista una donna, attraente ed ingenua in condizioni normali, ma feroce e capace di ribaltare qualsiasi situazione se provocata.

Ecco, probabilmente non c’è definizione migliore per il “Biscione”: è tradizionalmente una squadra con un altissimo tasso di imprevedibilità, capace di cadute improvvise e di rimonte impensabili, la “pazza” Inter per autodefinizione, quasi come se la follia fosse impiantata nel suo DNA.

Un esempio di questa doppia anima è rinvenibile nell’edizione della Champions League 2010/11, nella quale l’Inter partecipava col titolo di campione in carica.
Dopo una prima parte di stagione complicata con alla guida Benitez, che saltò a dicembre (portando comunque Supercoppa Italiana e Mondiale per club), arrivò sulla panchina Leonardo, vecchio cuore milanista, che permise una pronta ripresa in campionato.
In Europa, invece, il sorteggio mise contro le stesse squadre protagoniste della finale trionfale di qualche mese prima al Bernabeu: Inter-Bayern.
Nella sfida di andata a San Siro, i bavaresi beffano i padroni di casa al 90’ con la rete di Gomez. Leonardo ci crede ancora, e all’Allianz Arena le premesse sembrano positive: dopo 3’, Eto’o riporta il match in parità siglando lo 0-1.
Ma è solo un sussulto: Gomez e Muller ribaltano il risultato, e rischia anche di andare sul 3-1 diverse volte, ma salvataggi in extremis e legni tengono a galla l’Inter.

Nella ripresa, quando ormai le speranze sono ridotte al lumicino, accade l’incredibile: Sneijder porta la sfida sul 2-2 a metà ripresa e nell’assalto finale la rete di Pandev fa impazzire il popolo nerazzurro. Vittoria pazzesca e passaggio del turno conquistato in modo rocambolesco, con emozioni altalenanti di cui questo è solo un esempio della ricca storia meneghina.

Il turno successivo, però, la bambolina diventa barracuda (o viceversa, dipende dai punti di vista): il sorteggio mette di fronte un’altra tedesca, lo Schalke 04, quasi accolto con un brindisi essendo forse la più debole delle 8 partecipanti.
E l’avvio del match di andata al “Meazza” sembra confermare quanto alla vigilia: una prodezza balistica di Stankovic dopo neanche un minuto di gioco (ancora oggi una delle reti più belle della storia della massima competizione continentale) porta in vantaggio i padroni di casa, ma lo Schalke replica e pareggia.
Al nuovo vantaggio di Milito, nuova rete: si va all’intervallo sul 2-2. Nel secondo tempo, però, in 10 minuti accade di tutto: l’eterno Raul gela San Siro, poi Ranocchia fa autorete e qualche minuto dopo viene espulso Chivu.
Ma non è ancora finita: Edu segna la rete del definitivo 2-5.
Eurofiguraccia e qualificazione ormai saltata, dopo aver salutato tre giorni prima anche il titolo nel derby perso per 3-0 contro il Milan di Allegri futuro campione d’Italia.
La stagione si chiuderà con la vittoria della Coppa Italia, a tutt’oggi ancora l’ultimo trofeo ufficiale in bacheca.

 

PICCOLA STELLA SENZA CIELO: uno dei brani più importanti e conosciuti della storia della musica italiana, che non necessita di presentazioni.

“Cosa ci fai, in mezzo a tutta questa gente?

Sei tu che vuoi, o in fin dei conti non ti frega niente?

Tanti ti cercano, spiazzati da una luce senza futuro”

Leggendo l’intro di una delle canzoni più romantiche della produzione del Liga, ed applicandola alla storia interista, mi viene in mente un nome su tutti, quasi in automatico: Alvaro Recoba.

Il Chino è stato davvero una piccola stella ma senza riuscire ad illuminare come dovrebbe, senza fissare il suo nome in modo definitivo nel firmamento dei top player.
Eppure, la sua brillantezza e le sue giocate erano fuori discussione: Massimo Moratti ne era innamoratissimo e lo difese a spada tratta dalle critiche per il suo rendimento incostante. Ed è stato proprio questo il limite dell’uruguagio, spesso indolente, quasi come davvero non gli fregasse niente come cita la canzone.

La sua incostanza, le condizioni fisiche fragili e qualche bizza hanno frenato l’esplosione di un calciatore che a detta di molti esperti aveva dei mezzi fuori dal comune.

Si prese la scena nella gara d’esordio di un certo Ronaldo stendendo da subentrato il Brescia, segnò da centrocampo contro l’Empoli, firmò la rete decisiva in una rimonta epica contro la Sampdoria nella prima Inter di Mancini: queste le sue perle più famose, che gli garantiscono un posto speciale nei cuori dei tifosi, pur consapevoli che quella stella avrebbe potuto dare molto di più.

 

NON E’ TEMPO PER NOI: la testardaggine, la sensazione di appartenere ad un’epoca che probabilmente non consente di togliersi le soddisfazioni desiderate.
Un inno generazionale e quanto mai attuale sotto diverse accezioni, che si presta ad un personaggio della storia dell’Inter molto divisivo, che ha seguito le sue idee controcorrente e contro tutti, che non ha avuto i titoli che forse avrebbe ampiamente meritato: Hector Cuper.

L’etichetta di “eterno secondo” appiccicatagli dalle esperienze spagnole (col Maiorca perse finale di Coppa del Re e di Coppa delle Coppe, mentre col Valencia addirittura due finali consecutive di Champions League) proseguì anche con l’esperienza interista, durata due anni e qualche mese.
La stagione 2001/02 la conosciamo tutti: un epilogo amaro, una ferita che probabilmente non si rimarginerà mai.

Se nell’immaginario collettivo è questo il grande rammarico della storia cuperiana, in realtà è l’anno dopo che si consuma la vera “tragedia sportiva” per cui ancora oggi il sottoscritto non trova spiegazione: l’euroderby in semifinale con il Milan, perso (si fa per dire) a causa della regola del goal fuori casa che premiò i rossoneri.

L’assenza forzata di Vieri, la parata miracolosa di Abbiati su Kallon, Crespo e Recoba nella peggior veste e per ultimo la già citata nefasta regola che fece pagare un conto salatissimo: il rammarico per quella sfida è forse ancora più forte di quello dell’anno prima, almeno per chi scrive.

Resta però il fatto che l’allenatore argentino, criticato sia per il suo gioco che per alcune scelte (il contrasto con Ronaldo, che venne ceduto dopo il 5 maggio), ha rappresentato la vera ripresa dell’Inter, precursore di quello che sarebbe divenuto il decennio più vincente della storia, prima con Mancini e poi con le gesta di Mourinho.

Un uomo che si è scontrato con un tempo non favorevole, con degli scogli che sono stati insormontabili quando era vicinissimo alla meta, che però è rimasto fedele alla sua linea: un uomo tutto d’un pezzo, un uomo che ha sempre viaggiato sulla sua strada (per citare un altro dei titoli più importanti della storia del Liga).

 

SOGNI DI ROCK ‘N’ ROLL: in questo pezzo che chiude questo articolo e che per i primi anni di carriera chiudeva i live del cantautore emiliano, è racchiusa tutta la malinconia per quei momenti giovanili che non torneranno mai indietro ma di cui gelosamente se ne custodisce il ricordo.
E questo vale per la vita quanto per il calcio: per ogni tifoso ci sono stati dei periodi magici, che vorremmo tornassero anche solo per riprovare per un altro istante i brividi che abbiamo avuto in quei momenti.

Anche io ricordo con malinconia l’arrivo di Ronaldo, che mi sembrava un sogno, o quando acquistammo Vieri, all’epoca il centravanti più forte del mondo.

O ancora, i più datati avranno nostalgia di Herrera o dell’Inter dei record del Trap.

Mentre andando più nel recente, indimenticabile il biennio dell’epopea Mourinhana, autentico monumento, capace di commuovere tutt’oggi chi scrive (e penso molti altri) a distanza di quasi 10 anni da quell’annata.

Sono quei sogni di rock ‘n’ roll, quei sogni che ci cullano prima di andare a dormire, quei momenti che ci vengono in mente prima di qualche sfida degna di nota, quei lampi che abbiamo quando siamo presi dalla nostalgia della domenica come era una volta, del mercoledì da leoni, della pizza in compagnia, del primo bacio dopo un goal.

I sogni che Ligabue spesso ha realizzato per i suoi fans, così come l’Inter per il suo pubblico.

 

To be continued…