Iniziamo subito col dire che questo non è un lunedì come tutti gli altri.
Soltanto stamattina, infatti, sto (ma mi sento quasi di sbilanciarmi con uno stiamo corale) realizzando quello che è successo sabato.
Eppure credevo di aver fatto il callo agli amori criminali, alle passioni distruttive, ai rapporti malati.
Il mio passato è costellato di amori evidentemente non corrisposti.
Il punto è che non si sono limitati a lasciarmi, senza spiegazioni plausibili che potessero, in qualche modo, aiutarmi a farmene una ragione, ma hanno, un poco alla volta, lacerato il mio cuore e la mia dignità, fino a ridurli quasi a brandelli.
A volte sono spariti lasciando lettere che trasudavano ipocrisia, altre volte si sono auto sottoposti a penosi confronti nei quali le parole esprimevano rammarico e il sorriso, a stento trattenuto, un certo compiacimento.

Ho capito, con l’esperienza, di non contare niente per loro e ciò nonostante continuo a farmi del male, a innamorarmi ogni volta, a dare l’anima nella speranza, vana, di essere ripagata con la stessa moneta.
Credevo nell’indipendenza e nell’emancipazione e mi ritrovo alla mercè degli uomini, ridotta a mendicare amore.
Che brutta fine.
Non ci può essere felicità nel sentimento a senso unico, ci si ritrova a donare il sangue a vampiri che non esitano a succhiarti tutta la linfa vitale.

L’amore malato gradualmente ti indebolisce, annebbia le tue facoltà mentali, ti fa sfiorire fisicamente, a causa delle notti insonni, delle lacrime versate, delle estenuanti congetture telefoniche con sorelle e amiche (e, a volte, anche amici maschi) nelle stesse condizioni (Perché l’ha fatto? Tornerà? Funzionerà il chiodo scaccia chiodo? Chi verrà dopo sarà migliore o peggiore? Quanto bisognerà investire ancora?).
E, dopo ogni abbandono, giuri a te stessa che non ci ricadrai di nuovo, che spezzerai la dipendenza, ti disintossicherai.
E ti informi se a Hollywood, accanto a tutte le cliniche per la rehab da alcool, droghe, sesso, esistano anche quelle per l’amore.
Purtroppo no, altrimenti saremmo liberi. Tutti.
E, invece, siamo schiavi e, fedeli alla Sindrome di Stoccolma, ci innamoriamo follemente dei nostri carnefici, fino a non vederne la povertà d’animo e di ideali, la piccolezza di uomini, la crudeltà che dispensano a piene mani e l’atroce indifferenza, dopo.
Sabato, però, ho toccato il fondo e oggi, in un rigurgito estemporaneo di dignità, ho deciso di denunciare l’accaduto per dare voce a tutte quelle, come me, usate e buttate via come uno straccio vecchio.

Ma andiamo con ordine.
Sabato 2 febbraio, esattamente al minuto 74esimo di Napoli – Bologna, intorno alle 19.30, Marekiaro usciva dal campo applaudendo in direzione del pubblico.
E fin qui nulla di strano.
Contemporaneamente la curva si alzava in piedi e gli dedicava un caloroso contro-applauso.
E anche qui, tutto normale.
Peccato che un momento dopo lui si batta il petto e io, assisa sul divano, lo guardi intenerita e pensi sì, ti amiamo anche noi, ma poi vedo l’espressione tirata del suo volto e mi ritrovi a chiedermi perché diamine sia sull’orlo del pianto.
Non avevo ancora formulato compiutamente questa riflessione che la telecamera inquadra la panchina del Napoli che scatta in piedi applaudendolo. Il viso di Mertens è una maschera, e non di gioia.
A quel punto l’orrore si impadronisce di me, perché realizzo, confusamente, che qualcosa di grave sta di nuovo accadendo.
In un nanosecondo vengo catapultata virtualmente in un salotto a scelta tra quelli di Barbara D’Urso, Maria De Filippi o Silvia Toffanin come protagonista principale di un drammone epico di quelli che non hanno mai un lieto fine.
Come essere lasciati dal fidanzato via sms.
Come trovarsi all’improvviso nel plastico di Vespa psicoanalizzati in studio da Crepet.
Come stare al centro dell’Arena di Verona senza Fedez che ti chieda di sposarlo.
Insomma, mi (anzi, ci) ha spezzato il cuore.
E, mi sento di dire senza tema di venire smentita, da lui non ce lo aspettavamo.
Abbiamo perdonato Cavani, dopo che ha fatto pubblicamente ammenda.
Abbiamo schifato Higuain dopo aver appreso le modalità carbonare con cui si è accordato con la Juventus.
Abbiamo gratificato gli insuccessi di Benitez e Mazzarri, che inseguivano palcoscenici più prestigiosi e sono precipitati in un semi-oblio, della più gelida indifferenza.
Abbiamo augurato il meglio a Sarri per la gioia incommensurabile che ci ha regalato, nonostante non sia ancora chiaro chi abbia lasciato chi.
Abbiamo riabilitato Quagliarella dopo aver saputo la causa di forza maggiore che lo aveva allontanato da noi.
Abbiamo criticato Allan perché non si lascia la squadra a gennaio anche se vieni dalle favelas e ti hanno offerto un appartamento sugli Champs Elysee e vari milioni di Euro.

Ma Marek no.
Per lui non valgono parole, scuse o spiegazioni.
Dovevamo invecchiare insieme, a Castelvolturno, davanti a una pizza fritta.

Invece non basterà un intero cuoppo a placare il dolore e rimarginare la ferita.
E non è vero che certi amori non finiscono, fanno dei giri in Estremo Oriente e poi ritornano: l’involtino primavera è la cifra dell’abbandono definitivo, di quelli che non smetteranno mai di sanguinare.

Addio, mio (nostro) Capitano.