Il Cinodromo di Roma, vecchio impianto adibito alla corsa dei levrieri, si trovava nei pressi di ponte Marconi e rimase in attività dal 1958 fino al maggio 2002 quando animalisti ed altre cooperative umanitarie, per la tutela del rispetto degli animali, ne decise la chiusura, anche a Londra sei anni fa ne è stato dismesso l'ultimo rimasto in attività.
Si correva tutte le domeniche mattina e nei giorni feriali nei pomeriggi di lunedì, mercoledì e venerdì. Al Cinodromo si accedeva negli anni '60 con un biglietto d'ingresso dal costo di 200 Lire e si poteva assistere alla corsa dei levrieri che partivano dall'interno di piccole gabbie con apertura automatica sincronizzata con lo sparo dello starter e rincorrevano per due giri di pista una finta lepre meccanica, il cane vincitore avrebbe decretato la gioia degli scommettitori fortunati col contrapposto disappunto del popolo dei perdenti. A basso delle tribune erano disposte delle fila di botteghini con tanto di broker che incassavano le puntate degli scommettitori, vincente, piazzato o la più ghiotta "tris".
Sui picchetti ufficiali salivano i "clanda" degli ippodromi romani di Capannelle e Tor di Valle e vi gironzolavano personaggi da film come "Er pescetto", così nominato nella famosa pellicola di "Romanzo Criminale" un bullo dalla folta e corvina capigliatura con una vistosa collana d'oro effigiante la Madonna con Bambino sopra l'ampia scollatura della candida camicia contrastata dal color ambrato della sua carnagione.
Al suo fianco "Albertone" detto "Er sola" della Garbatella, tutti e due pronti, soldi in mano con lo sguardo proteso in alto ad osservare l'andamento delle quotazioni delle scommesse. I cani levrieri sui quali gli scommettitori puntavano maggiormente erano Caimano con il pettorale N°5 ed Aramis con il N°4.
Ma Peppino amava un suo personale levriero, perdente o vincente che fosse, era Sandokan, con il pettorale N° 8, un levriero inglese razza Whippet del peso di 12 kg. circa, poteva raggiungere i 55/60 km/h, cane sensibile, ma purtroppo altalenante nelle prestazioni, non di certo come la sua Juventus, soprattutto dopo l'arrivo del campione transalpino Michel Platini. E così il buon Peppino con il suo levriero Sandokan vinceva solo raramente, perché il più delle volte perdeva e così di settimana in settimana riuscì a  perdere un mare di soldi vanificando gran parte del suo stipendio che praticamente si vedeva dilapidato tra scommesse ai cani e sigarette, essendo difatti diventato un  accanito fumatore.

Alla fine degli anni '50 papà Renato decise di abbandonare il piccolo appartamento che occupavamo nel quartiere Testaccio a beneficio di uno nuovo situato in una bella palazzina appena costruita nella nascente zona del quartiere San Paolo, prossima al costruendo ponte Marconi.
Essendo la nuova casa composta da ben sei stanze, per noi in tre dunque immensa, mamma e papà si accordarono, ovviamente ripartendo i costi, con dei nostri parenti il cui capofamiglia, certo zio Guglielmo, nativo di Napoli, e suo tifoso di calcio, da graduato dell'Esercito allora operante a Caserta era stato trasferito a Roma presso la caserma di Via XX Settembre a fianco del Quirinale. Sua moglie zia Clementina, sorella di mia nonna, di origini umbre, una donna che non si direbbe sposata, era piena di brio, amava poco stare in casa, un suo hobby e per quei tempi era una vera pioniera, consisteva nel fare shopping sfrenato soprattutto di articoli di biancheria, stoffe, tendaggi, conosceva tutte le mercerie della capitale che girava quotidianamente con alcune sue fide amiche, che a turno si alternavano così da rendere le conversazioni ed il tram tram giornaliero sempre più appetibile e variegato. Ma quando rientrava aveva in cucina delle doti mostruose, sono famose le sue frittelle, i "mostrenguoli" una rinomata ricetta delle colline del Trasimeno, a base di farina di mais e fiori di zucca o altri ortaggi di stagione. 
La coppia aveva tre figli: due ragazze prossime ai vent'anni, Maria e Nelda, ed il maschio Peppino 25nne. Le due ragazze erano semplicemente splendide, Maria una mora con i capelli alla Ava Gardner e Nelda una bionda mozzafiato con la capigliatura bionda, lunghissima a ricordare la mitica Anita Ekberg. Peppino, basso di statura ma dai lineamenti piuttosto scolpiti, oserei dire con dei tratti ellenici, si era diplomato alle magistrali ed aveva ottenuto subito dopo a Caserta il posto da insegnante elementare, ma un paio di anni appresso con il trasferimento del padre a Roma, in attesa che il Provveditorato accettasse la sua domanda d'insegnamento in un istituto della capitale, conobbe e si fidanzò con una ragazza romana molto distinta e graziosa nei modi, Anna Maria, studentessa di musica al Conservatorio di Santa Cecilia che si guadagnava i sostentamenti impartendo ai ragazzi lezioni private di pianoforte. Anna Maria venne a conoscere nel suo corso di musica un collega, figlio di un noto impresario romano che in quell'anno, siamo nel 1960 è tempo della XVII Olimpiade a Roma, aveva vinto l'appalto per costruire il viadotto sopra Corso Francia, l'arteria principale che avrebbe condotto tutto il traffico proveniente da Est della capitale verso i luoghi delle manifestazioni olimpiche.

All'indomani di questa segnalazione suggerita dalla sua fidanzata, Peppino si presentò per un colloquio, fece un'ottima impressione e venne immediatamente assunto in qualità d'impiegato ragioniere. La paga era molto buona e ben più corposa di quella percepita da maestro elementare. Dopo circa tre mesi bussò al campanello di casa un postino con in mano un telegramma proveniente dal provveditorato agli Studi, era stato riconosciuto il trasferimento a Peppino e gli era stata assegnata la cattedra per l'insegnamento al corso delle elementari presso la scuola Livio Tempesta nella periferia Sud della capitale, ma lui, avendo ormai preferito il posto da ragioniere, non ci andò mai. I genitori s'infuriarono non poco per quella sua scelta e da lì nacquero dei dissidi che pian piano lo porteranno ad allontanarsi sempre più dalla famiglia e purtroppo, complice qualche scellerato collega, dedicarsi al gioco e soprattutto alla frequentazione prima sporadica e via via sempre più fitta delle corse dei cani del vicino Cinodromo.

Vivemmo insieme in quel grande appartamento per circa sei anni, ne serbo dei bellissimi ricordi e non dimenticherò mai le ore in cui Peppino di ritorno dal lavoro giocava con me a pallone nel lungo corridoio di casa, era di 7/8 mt. e facevamo un gran chiasso con tutte quelle pallonate....lui posizionato a Nord dove gli stipiti di uno dei bagni facevano da porta, che da buon bianconero la vedeva difesa da Tacconi, dalla parte opposta, a Sud, c'era invece la mia, la porta che delimitava la fine del corridoio difesa dal portiere rossonero Nuciari. Quando Peppino attaccava palla al piede era Michel Platini, quando invece attaccavo io, ero Oscar Damiani e in quell'anno facemmo due tornei, uno se lo aggiudicò la Juve ed uno il Milan.
Avevamo una dozzina di anni di differenza, ma Peppino era per me come il miglior compagno di classe, a lui nel periodo in cui si cominciava a vivere  un fisiologico contrasto con i genitori, confidavo tutto e lui spesso mi dava dei consigli, o semplicemente delle dritte oppure terminava con un... ma dai!... E' una bella scapigliata, quasi data per invidia, lui in pochi mesi aveva perso la sua folta capigliatura. E quasi per voler combattere questa sua precoce alopecia iniziò a fumare, un pochino anche a bere ed in pochi mesi riuscì a superare la quantità di fumo emessa costantemente dal padre con il suo pestilenziale sigaro toscano stretto tra i denti ingialliti dalla nicotina, uomo che però non si sottraeva mai al disbrigo di tutti i lavori domestici, curando tanto la pulizia della cucina quanto quella di tutta la casa... del resto la consorte Clementina era sempre in giro per shopping... ed il divorzio in Italia venne legalizzato solo un quindicennio appresso!

Passano una decina di anni, mi diplomo, m'iscrivo all'università e nello stesso tempo inizio a lavorare.
Mi innamoro prima della Vespa con la quale frequento l'Ateneo, poi della Cinquecento per le prime goliardiche scorribande in auto, e poi di quell'angelo di mia moglie. Quando ci sposammo invitai Peppino alle nostre nozze, ma venne solo la madre, Clementina, che era rimasta vedova da un paio di anni, mentre le due figlie si erano sposate, Maria con un pasticciere fiorentino conosciuto al cinema mentre stava facendo il militare a Roma, e Nelda conobbe nelle sue frequentazioni di quartiere un meccanico romano. La sorte volle che i destini dei due matrimoni fossero completamente opposti, Maria aprirà una bella pasticceria a Firenze, mentre Nelda si troverà alle prese con un matrimonio per certi versi tormentato. Peppino invece mi disse rammaricandosi che non sarebbe potuto venire alle mie nozze, si trovava in un ospedale per alcuni accertamenti cardiologici.  Pochi mesi dopo lo andai a trovare, era ricoverato all'ultimo piano di una elegante clinica romana con vista sulla Basilica di San Pietro. Lo trovai irriconoscibile, praticamente allo stato larvale, ma aveva conservato una voce se pur flebile, ferma, decisa e poi non gli mancava mai il sorriso sulle labbra. Era una domenica pomeriggio, l'ora delle partite, la sua piccola radio accesa sul comodino era sintonizzata su "Tutto il Calcio minuto per minuto" e poco dopo lo vidi sbracciare di gioia quando Sandro Ciotti disse: "Scusa Ameri m'inserisco dall'Olimpico per segnalare il vantaggio bianconero sulla Roma con una bella rete di Michel Platini... dunque Roma 0 Juventus 1... a voi la linea!".
Vidi il suo naturale sorriso trasformarsi in un impeto di gioia, gli s'illuminarono i suoi due occhioni neri su quel volto scarno, emaciato dal dolore, la gioia di un gol ci riporta bambini e Dio volesse che portasse beneficio anche alla salute.
Era terminato l'orario delle visite, un'infermiera gentilmente ci ricordava di lasciare libere le stanze, allora salutai con un abbraccio Peppino ma lui afferrando il mio braccio e mettendo due carte da 1000 lire nella mano mi disse di puntarle domenica prossima su Sandokan vincente e io di risposta: "Ma Peppino non stare a pensare ai cani... dai... e poi Sandokan è invecchiato, non può vincere" "Dai Massimo dammi ascolto, so che vincerà! A domenica ciao!".

La domenica mattina seguente andai al Cinodromo puntando le 2000 lire di Peppino su Sandokan vincente, e il levriero uscì appaiato all'ultima curva prima del rettifilo d'arrivo e con un incredibile slancio, sembrava avesse inserito il turbo, superò gli altri cani ed andò a vincere.
Dopo pranzo ansioso saltai in macchina, arrivai alla clinica, mi precipitai per le scale salendole quattro a quattro, attraversai il lungo corridoio e brandendo il tagliando della vincita in mano entrai nella stanza di Peppino, ma con mio grande stupore trovai il suo letto vuoto.
Mi volto per chiedere spiegazioni, non c'è nessuno, ma in fondo al corridoio vedo venirmi incontro la caposala: "Scusi signore lei è un parente di Peppino?" "Sì, signora sono il cugino, mi chiamo Massimo" "Ecco sig. Massimo, Peppino stamane intorno alle 11 ha suonato il campanello, immediatamente abbiamo compreso che non riusciva più a respirare e subito io e il medico di guardia gli abbiamo iniettato un farmaco ed attaccato la bombola dell'ossigeno". "Ma era solo?" "No, c'erano al suo fianco le due sorelle alle quali stringeva le mani, ma verso mezzogiorno avvertirono il calore delle sue mani a poco a poco intiepidersi sempre più e Peppino con un filo di voce sussurrar loro: "....fatemi sapere se Sandokan ha vinto... ho detto a Massimo di....."  "Ebbene prosegua il racconto per favore...". "Il racconto finisce qui! Peppino è spirato intorno alle 12". Piansi... piansi come un agnello stringendo in mano la ricevuta di quella vincita... la vincita forse... più importante!!
Sì Peppino! Il tuo Sandokan oggi è volato... ma tu hai voluto volare più in alto di lui!
Ciao Peppino! Ci mancherai tanto! Riposa in Pace.

Correva la Domenica del 13 maggio 1984, la Juventus conquistava il suo 21° scudetto.
Era lo stesso giorno della morte di Peppino.

                                  Massimo 48