Anche il nostro calcio, in questi giorni frenetici, è impegnato in discussioni, liti, proposte e smentite; a partire dalla Lega Calcio, divisa tra chi vorrebbe tornare a giocare appena possibile e chi, invece, preferirebbe l’annullamento della stagione.
Ma il termine del campionato non è l’unico tema all’ordine del giorno, e nemmeno il più importante: è prioritario infatti valutare le ripercussioni dell’emergenza sull’economia dei club, e più in generale sul sistema-calcio.
In questo scenario, come riporta il Corriere dello Sport-Stadio, la FIGC ha presentato a CONI e Governo un documento per riconoscere e fronteggiare lo stato di crisi: dalla sospensione del canone per gli affitti all’estensione della cassa integrazione per i giocatori di Serie B e Serie C, fino ad arrivare alla costituzione del cosiddetto Fondo salva calcio, sostenuto in un primo tempo dalla stessa Federazione per aiutare le società. Sono questi i punti fondamentali, più che condivisibili, proposti per gestire la situazione d’emergenza. Ma ecco che, dal “mondo del calcio”, è arrivata un’altra proposta quasi in zona Cesarini, il colpo di coda di un sistema che non vedeva l’ora di mettere in discussione una misura da tempo indigesta. Parliamo della famosa legge del 15 luglio 2019 contenuta nel “Decreto Dignità”, e fortemente voluta dal M5S, che vieta alle società sportive di stringere qualsiasi accordo di sponsorizzazione con le multinazionali delle scommesse sportive. Indovinate poi chi si è fatto capofila di questa crociata di “civiltà”?

Il vecchio e caro Malagò, che difende un sistema calcio che ormai da tempo ha rinunciato all’etica per inseguire l’economia e la concorrenza. Si tratterebbe di una moratoria per un periodo di tempo determinato, un anno per la precisione, ma la volontà è chiara anche a lungo termine: cancellare una misura che “in Europa non ha nessuno” e “che indebolisce i club italiani”. Per una volta che dovrebbero essere gli altri a prendere esempio da noi, ma lasciamo perdere. Parliamo comunque di un danno stimato attorno ai cento milioni di euro, e che al mondo del calcio non è mai andato giù, a partire dallo stesso Malagò. Già, perché altrimenti come potremmo spiegare che il presidente del CONI, organo che stando allo statuto ufficiale è inteso come «elemento essenziale della formazione fisica e morale dell’individuo e parte integrante dell’educazione e della cultura nazionale», si sia sempre dichiarato contrario a una legge che, almeno sulla carta, dovrebbe contrastare il gioco d’azzardo legato al mondo del calcio?
Insomma, se da una parte è più che comprensibile il dissenso delle società sportive penalizzate da grosse perdite – come nel caso di Roma e Lazio, che avevano stretto accordi di sponsorizzazione rispettivamente con BetWay (4,5 milioni nella stagione 2019/2020) e Marathon Bet (4,2 milioni che sono poi finiti invece nelle casse del Siviglia, nuovo sponsor della società) – avremmo tutti sperato in un atteggiamento più eticamente responsabile da parte di istituzioni come il “Comitato Olimpico”. Al contrario, dopo aver perso la battaglia, si è aspettato il momento propizio per tornare all’assalto, per provare a far sospendere quel decreto che tanti malumori aveva creato quando i gialloverdi – all’epoca ancora decisi a combattere i potenti in questo Paese – lo annunciarono al mondo del calcio. Si è così valutato che i tempi fossero ormai maturi per spingere sull’acceleratore: ri-legalizzare in toto il gioco d’azzardo e la sua macchina di spietata propaganda.

Per concludere, il punto sta proprio qui: deve il calcio aggrapparsi al gioco d’azzardo sportivo per uscire da questo difficile momento (e non solo)? Si può seriamente pensare di assecondare ad libitum un modello drogato, secondo cui quelli provenienti da tali sponsorizzazioni sono pur sempre soldi necessari?
Così fan tutti, viene quasi da dire: ebbene così sbagliano tutti. Bisognerebbe pensare ad altre entrate, a differenti modelli di “sviluppo”. Certo il gioco d’azzardo è legale, ma quelle entrate derivano dalla dipendenza e dalla sofferenza di milioni di persone: se queste sono le fondamenta per “ripartire”, beh, forse è meglio che ci si fermi per una lunga pausa di riflessione.




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