Il calcio è per ogni bambino a cui piace giocare al pallone, una cosa spettacolare, un divertimento, arrivando addirittura a fare pallette di carta pur di giocarci in casa, senza pericolo di rompere qualcosa. Così se per alcuni, la storia di essere giocatore si è fermata dopo l'adolescenza, per altri il sogno è divenuto realtà, con carriere spettacolari, oppure con partenze fantastiche e proseguo altalenante o addirittura con finali tragici. Oggi siamo qui per raccontare la storia di due giocatori, che hanno avuto due percorsi di carriera diversi; il primo è divenuto una bandiera del calcio italiano, apprezzato in tutto il Mondo, l'altro aveva un futuro importante ma la vita gli ha prospettato ben altro che gioie. Entrambe alla fine ebbero un finale tragico, ma andiamo a conoscere la loro storia.

Il 25 Maggio 1953 nasceva a Ciarnuscolo sul Naviglio (Milano) Gaetano Scirea, in un incontro tra un padre siciliano, operaio della Pirelli, e una madre lombarda. Appassionato di calcio fin dalla tenera età, con un carattere chiuso, il papà lo iscrive alla scuola calcio a 7 del Cinisello Balsamo, distava  due passi dalla casa Scirea, dove il bambino Gaetano si comincia  a fare le ossa, giocando come punta. Ma dopo 4 anni, il dirigente del club Giovanni Crimella, lo porta a fare un provino nell'Atalanta nel 1967, con il ragazzo che ha 14 anni. Nella squadra giovanile orobica, era spesso utilizzato come esterno d'attacco, Ala destra, ed era anche un ottimo goleador. Oltre al calcio, il giovane lavorava nell'officina di Tornitore Meccanico dello zio, quindi alternava il campo con il lavoro, non fosse andata bene la prima strada, la secondo era il tornare nell'officina. Così la crescita avviene bene, il ragazzo ha un tocco elegante, e sembrava sprecato in quella zona di campo e venne spostato a fare il centrocampista centrale, ma l'arrivo nella Primavera orobica qualche anno più tardi, gli regalò una nuova posizione. Infatti l'allora allenatore Ilario Castagner, vedendo il suo buonissimo possesso palla con testa alta, lo spostò a fare il Libero, accando ad Antonio Percassi (Presidente dell'Atalanta attuale), e li Gaetano si trovà fin da subito a meraviglia, aveva la visione di tutto il campo, non era il Libero originale, che avrebbe dovuto difendere e spazzare la palla, ma un impostatore di gioco, dai suoi piedi partiva l'azione, e le palle lunghe verso attaccanti o esterni. Così passò alla prima squadra nel 1972. Sembrava un giocatore troppo serioso, scherzava poco quando c'era da giocare, amico di tutti, ma solo fuori dal campo, quando si giocava non c'era battuta scherzosa che lo avrebbe trasportato fuori dalla concentrazione. Era il 24 Settembre del 1972, quando esordì con la maglia dell'Atalanta, era un diciannovenne che all'apparenza sembrava prontissimo, sguardo basso, silenzioso, concentrato, che guardava gli avversari con una tranquillità disarmante, sembrava non aver paura di nulla, come un condottiero, un capitano, fin da subito dirigeva la difesa, come un esperto, tanto da portare in poco tempo a divenire un baluardo insostituibile. Molti criticarono le scelte del tecnico Giulio Corsini, perchè il giocatore sembrava sprecato nel ruolo Libero, mentre per le sue doti balistiche sarebbe stato più opportuno schierarlo a metà campo, ma l'allenatore non si fece destabilizzare dalle voci e continuò a schierarlo come Libero. La stagione non fù buona per l'Atalanta che retrocesse in Serie B, ma Scirea aveva la consapevolezza di essere divenuto importante per quella squadra. L'Atalanta non riuscì nell'impresa di tornare subito in A, chiudendo 11° nella serie cadetta, così che la Juventus si proiettò sul ragazzo e per 700 milioni di Lire più i cartellini di Giorgio Mastropasqua, Gian Pietro Marchetti e la comproprietà di Giuliano Musiello, nel 1974 lo portò a Torino. La Juventus aveva individuato in Scirea l'erede di Sandro Salvadore, giocatore istituzione per la Juventus 1962-1974, nonchè capitano. Scirea si adatto subito in una difesa composta per altro da Cuccureddu, Gentile, Spinosi e Francesco Morini, e il suo apporto fù fin da subito importantissimo. La storia di Scirea in bianconero fù piena zeppa di soddisfazioni, vinse tutti i trofei dal 1974 al 1988, essendone anche capitano per ben 5 stagioni dopo il ritiro di Beppe Furino nell'estate 1983, senza dimenticare un Mondiale 1982 con la nazionale italiana di Bearzot.  Scirea era un esempio per tutti, giocatori e tifosi, persona riservata, che parlava poco, ma in campo era un autentico baluardo, uno dei pochi calciatori che in carriera non ha mai visto sventolarsi in faccia il cartellino rosso, amico stretto di Marco Tardelli, che frequentava nelle lunghe estati del non calcio. Dopo il ritiro rimase in società, divenendo l'allenatore in seconda di Dino Zoff. Il 3 Settembre viene spedito in Polonia a seguire la prossima  rivale dei bianconeri in Coppa UEFA, il Górnik Zabrze, squadra modesta, almeno sia per Zoff che per Scirea, che avrebbero fatto a meno di andare a controllare da vicino, ma la società non fece un passo indietro e Scirea venne spedito in Polonia. Dopo aver assistito alla gara della squadra polacca, Scirea riprese il percorso di ritorno in una macchina che trasportava oltre a lui anche un interprete della squadra polacca, ma mentre era a poche centinaia di metri dall'aereoporto, dove un volo lo avrebbe riportato a Torino, un furgone tamponò l'auto dove era seduto che all'impatto prese fuoco, perchè nel suo retrò trasportava 4 taniche di benzina, che non diedero scampo all'ex bandiera bianconera. Morì all'età di 36 anni, lasciando una moglie e un figlio. Scirea è stato inserito; Europei Top 11: Italia 1980 da giocatore, e dopo la morte nelle; Inserito nella Hall of Fame - I Magnifici del calcio italiano (2000), Inserito nella Hall of Fame del calcio italiano nella categoria Riconoscimenti alla memoria (2011), Candidato al Dream Team del Pallone d'oro (2020), oltre a far parte delle 50 stelle della Juventus indicate dai tifosi come i giocatori più importanti della storia del club nel 2010. A lui è intitolata la curva Sud della Juventus, che è rimasta tale dal Delle Alpi all'Allianz Stadium.

L'altra storia nasce poco dopo l'addio terreno di Gaetano Scirea.

Nel borgo di Salerno, da una famiglia benestante campana, il 26 Luglio 1971  nasce Andrea Fortunato. Fin da bambino il suo amore per il calcio è innato, tanto che la famiglia lo iscrisse nella squadra Giovane Salerno, squadra di periferia del capoluogo stesso, dove Andrea mosse i primi passi. Crebbe nel club salernitano fino ai quattordici anni come esterno di fascia sinistra a centrocampo, quando deciso a voler fare il calcatore di professione, venne chiamato a trasferirsi a Como nel 1985, militando tra Allievi e Primavera, con l'allenatore Rustignoli che lo arretrò a fare il terzino sempre a sinistra. Veloce dinamico, per lui non c'era distanza da coprire che gli facesse paura, la faceva 10-100-1000 volte senza risenirne mai. Il primo allenatore che credete in lui fu Angelo Massola, tecnico della Primavera. Il giovane rispondeva ad ogni convocazione sempre con una crescita importante, tanto che nel giro di 4 anni all'età di 19 anni esordì nella prima squadra. Il Como militava in Serie B. Il ragazzo di Salerno, però aveva imparato non solo a giocare come terzino e esterno di centrocampo sinistro, ma anche a fare il difensore centrale, Libero e centrocampista centrale, così che all'occorrenza il tecnico che lo allenava poteva utilizzarlo come jolly. Il suo carattere era introverso, molte volte problematico, ma lasciava tutto fuori dal campo, dentro testa bassa e pedalare, era sempre pronto a mettersi a disposizione del tecnico. Fortunato non ci mise tanto a farsi conoscere come calciatore, tanto che con il Como che retrocede in C, il Genoa di Aldo Spinelli se lo porta per 4 miliardi sotto la Lanterna nel 1991. Inizialmente era la riserva dell'esperto Branco, giocatore formidabile da cui apprendere molte cose, ma bastò uno screzio con l'allora secondo allenatore Maddè, che Fortunato si ritrovò di colpo a fare le valigie e trasferirsi al Pisa in B, fin dal Gennaio 1992. A Pisa Andrea, ritrovò la serenità e il campo, così da terminare una buonissima stagione, 25 presenze, per ritornare al Genoa al termine della stagione, con Bagnoli e Maddè (Allenatore e Secondo) che erano andati all'Inter, con il nuovo tecnico Bruno Giorgi che gli diede la titolarità della fascia difensiva sinistra. Fortunato era divenuto inamovibile, nel club aveva trovato anche un grande amico, altro giovanissimo Cristian Panucci, che copriva la fascia destra difensiva, tanto che 33 gare e tre reti. Per Fortunato, Genoa comincia ad essere stretta, e la Juventus, che stava facendo un cambio generazionale, non ci pensò poi tanto, strappando il ragazzo per 10 miliardi di Lire, con lui arrivarono anche Sergio Porrini e un giovanissimo diciottenne Alex Del Piero. Etichettato fin da subito 'Erede' di Antonio Cabrini, pesantissima eredità, Fortunato non deluse le aspettative, tanto che Giovanni Trapattoni, tecnico della Juventus, lo mantiene come titolare fisso, finendo in modo molto positivo la stagione. L'annata 1993-94 però, in estate, porta il giocatore ad avere un rallentamento fisico, tanto da portare giornalisti e tifosi ad avere dei dubbi sul giocatore. I giornalisti lo indicavano come stanco e irriconoscibile, mentre i tifosi lo additavano come uno della 'Dolce vita' un lavativo, dopo l'eliminazione dalla Coppa UEFA. Fortunato era sempre tormentato da una febbriciattola continua...Arrivò l'estate, la Juventus ritornava su i campi da gioco dopo le vacanze, così che in una gara amichevole contro il Tortona, il giocatore chiese il cambio, non riusciva più a correre e le sue condizioni apparsero di un giocatore stanchissimo, dopo appena la prima parte di gara. Si pensava dipendesse dal calore estivo, ma il medico sociale, Giulio Agricola, decise di portare il giocatore a fare accertamenti all'ospedale Molinette di Torino. Le risposte furono un colpo a ciel sereno; leucemia linfoide acuta. Per il ragazzo iniziarono, fin da subitio le cure. Trasferitosi a Perugia, con Fabrizio Ravanelli che prestava la sua residenza alla famiglia per stargli vicino, Andrea era alla ricerca di un donatore di midollo che potesse essere compatibile in quel periodo ancora in fase sperimentale, per lui anche un ciclo chemioterapico per rallentare la malattia. Dopo le scuse dei tifosi che lo attaccarono pochi mesi prima, Fortunato sembrava con le cure continue e il midollo donato prima dalla sorella vanamente, e poi da padre, che sembrava avesse attecchito, la guarigione sembrava pian piano riportare il sereno, tanto da riportare il ragazzo prima nella sua Salerno per la Laurea della sorella, e poi a seguire la Juventus in una gara di campionato contro la Sampdoria. Tutto sembrava migliorare, si parlava di un suo possibile ritorno ad allenarsi in gruppo, ma pochi giorni dopo un improvviso delle difese immunitarie causato da una polmonite gli stroncò la vita a soli 23 anni. Lo straziante saluto di capitan Gianluca Vialli al suo funerale, nella cattedrale di Salerno, resta ancora indelebile a tutte le persone che vissero quel momento tragico. Alla sua memoria è stato istituito nel 2009 un riconoscimento eponimo, il Premio nazionale Andrea Fortunato. Al calciatore è stato inoltre dedicato nel 2012 uno speciale annullo filatelico con bollo unico delle Poste Italiane, e nel 2014 la biblioteca e museo sul gioco del calcio di Villa Matarazzo, nel comune di Castellabate. Dallo stesso anno è presente nella natìa Salerno lo Juventus Club "Andrea Fortunato".