Il gusto del paradosso è spesso dolce, ma a volte è salato. Persino piccante. E’ questo il caso del paradosso che avvolge, e affligge, la metà non colorata del cielo calcistico italiano: gli juventini.
Sarri fu la loro ossessione quando non li allenava e il mondo del Pallone, invece di apprezzare la “boring Juve” di mister Allegri, una squadra che vinceva tantissimo giocando malissimo, preferiva orientare occhi, labbra e orecchie ad altre latitudini, ove il toscano di Bagnoli metteva in campo un calcio futuristico e marziale, leninista nei fini e majakovskiano nei mezzi.
Ma quale leninista, suvvia! Ancora con questa retorica del rivoluzionario? L’Italia non ha mai conosciuto rivoluzioni, Masaniello fu giustiziato sei giorni dopo essere stato acclamato, il primo re d’Italia decise di chiamarsi Vittorio Emanuele Secondo, e voi pensate alla presa del Palazzo d’Inverno? Sarri stesso non ci ha mai creduto, parole sue. Ha provato con ogni mezzo ad occupare il Palazzo, alla fine ha atteso un anno ed è entrato dal portone principale.
Il Sarrismo, nato alle pendici del Vesuvio, ivi è morto e sepolto. Non vi sono parchi virgiliani e tombe leopardiane a commemorarne le gesta, e fuori dall’antica Partenope esso non si è più visto e mai più si vedrà. A Londra lo hanno capito dopo un anno, concluso comunque con una vittoria in campo europeo. A Torino forse ci metteranno un po’ di più, oppure lo hanno già capito… ma non possono certo esonerare colui che doveva vincere almeno quanto Allegri giocando meglio di Allegri dopo soltanto una stagione! La Giuve, per dirla col rigorista più pagato della serie A, queste cose non le fa.

Il sarrismo non poteva che nascere a Napoli e, come vuole la leggenda, dopo aver visto Napoli è morto.
Oggi è rimasto Sarri, un ottimo allenatore con molte idee interessanti e qualche cafoneria di troppo, lontano dal famigerato stile Juve non meno di quanto Lapo Elkaan sia distante dallo stile tout court. Per dirla con Luciano De Crescenzo, che ci manca ogni giorno di più: Sarri ha provato a essere uomo d’amore, ma alla fine si è ridotto a essere uomo di libertà.
La sua Juve vincerà lo scudetto come fa da otto stagioni a questa parte, quando in campo scendevano Padoin e Matri. Lo vincerà – meritatamente, chiariamolo subito - al termine di un campionato anomalo che speriamo di non dover rivivere mai più. Senza il lockdown il tricolore sarebbe andato sul petto della Lazio o dell’Inter o dell’Atalanta? Non lo sapremo mai, quindi è inutile pensarci. Fermiamoci a ciò che sappiamo: la Juve di Sarri non è una Giuve sarrista, gioca come l’Arezzo del vate di Figline Valdarno e non come il Napoli dei novantuno punti, ma vincerà perché in tutto è più forte: in campo, in panchina, in società, nel palazzo, nella piazza (reale o virtuale, poco cambia).

Per questo, cari juventini: abbandonate questa ossessione per Sarri! Non dividetevi in hooligans del SarriOut e ultimi giapponesi del Sarri a tutti i costi. La vostra ossessione, da che mondo è mondo, era e deve rimanere la coppa dalle grandi orecchie. Chissà che l’uomo che si toccava i “hoglioni” quando gli parlavano di scudetto e che sognava “undici facce da hazzo” che palleggiassero in faccia a Guardiola non vi porti, finalmente, ad alzare l’agognata Champions League.
Noi, l’altra metà del cielo, quella colorata, ne siamo convinti.