Siamo nell'era del cinismo calcistico, l'epoca in cui chi vince ha ragione e chi perde ha categoricamente torto. L'eccessivo attaccamento al risultato ci preclude ogni possibilità di farci trasportare dalle emozioni, ormai divenute un extra. Quanti elogi abbiamo sentito in questi giorni (e quanti ancora ne sentiremo) verso Jurgen Klopp e Maurizio Sarri, vincitori rispettivamente di Champions ed Europa League? Eppure fino a qualche settimana fa qualche amante del cinismo li definiva come "gli allenatori più esaltati per il gioco e meno vincenti della storia". Definizione azzardata per un tedesco in grado di giocarsi 12 finali negli ultimi 8 anni, e un tecnico partito da zero, mollando lavoro e certezze, per cominciare ad allenare e sfiorare uno scudetto con il Napoli, di organico nettamente inferiore a quello della Juve.

La domanda che ci si pone è la seguente: i due allenatori erano già definibili dei vincenti al netto delle idee che portavano? Potevano ritenersi soddisfatti perdendo senza mai tradire sé stessi? È da qui che secondo me nasce il successo di questo tipo di allenatori. Mettiamoli a confronto con la "squadra cinica" per antonomasia: la Juve del filOTTO scudetti. Un'egemonia di tutto rispetto, portata avanti da una società seria e due gestori maniacali come Conte e Allegri. Che ne è dei tifosi però? In questi 8 anni abbiamo assistito ad una netta involuzione di entusiasmo, dettata da un inevitabile adeguamento al successo. Perché a volte, nella vita, si ha bisogno di cadere prima di rialzarsi e gridare al mondo: vittoria!

Lo ha dimostrato Jurgen. A seguito di numerose stagioni fallimentari dei Reds l’allenatore di Stoccarda giunge a Liverpool. Su di lui ricadono grosse aspettative dopo le entusiasmanti stagioni a Dortmund, e in un solo anno rischia di portare la sua squadra sul tetto d'Europa. A negare il sogno solo una dannata finale, su cui ricadono mille rimpianti. Dopo la serata nera però, gli animi non si abbattono: alle 5 di mattina Jurgen e una stretta cerchia di tifosi si ritrovano per cantare e festeggiare un trionfo, quello delle emozioni. Intonano "We saw the European Cup, we'll bring it back to Liverpool". Primo giugno 2019, dopo un anno il sogno diventa realtà. Perché non sei sconfitto quando perdi, ma solo quando smetti di crederci. Quella promessa della notte più buia è stata rispettata solo grazie a un'incessante costanza di pensiero, che ha fruttato nel migliore dei modi, scoprendo un Liverpool dagli automatismi perfetti. E tutto ciò è ancora più bello quando tutti i sostenitori ci credono insieme a te, avendo sempre la percezione di una squadra decisa e pronta a vincere, confidando nelle proprie idee.

Idee che sono sempre mancate alla squadra bianconera, poco capace di plasmare una propria identità e di conquistare i propri tifosi. A dire il vero la Juve un sogno irrealizzabile ancora ce l'ha… sì perché le sconfitte in Champions non vanno proprio giù. Due settimane fa Allegri viene sollevato dall'incarico per cambiare tipologia di allenatore e inseguire la coppa dalle grandi orecchie. Il sostituto di cui tutti parlano? Uno che con i sogni ci sa fare. A 40 anni abbandona il lavoro per allenare a tempo pieno il Tegolato e che nel giro di 20 anni vince l’Europa League. Il suo nome? Maurizio Sarri… ah sì, uno dei due perdenti.