Alla fine (anzi, ad un terzo dalla fine) i nodi arrivano al pettine e, nel caso del gioco mostrato dalla Juventus in questo primo ma significativo scorcio di stagione, non si tratta di semplici nodi bensì di un groviglio quasi inestricabile.

Infatti, analogamente a quanto intervenuto nelle scorse annate, i risultati ottenuti (peraltro ottimi) sono stati raggiunti grazie, soprattutto, agli spunti e alle individualità dei tanti calciatori bianconeri che, almeno a livello nazionale, hanno fatto e continuano a fare la differenza. Ma, a fronte di calciatori che hanno ritrovato forma e motivazioni (tra tutti Dybala e Higuain) o collocazioni in campo magari più consone (Pjanic), il tanto decantato gioco di Sarri non si è mai visto. Precisiamo subito che ciò non dipende in alcun modo dall’allenatore dai natali partenopei, il quale, ovviamente, può applicare gli schemi a seconda delle caratteristiche dei giocatori a disposizione, non potendo certo mutarne le peculiarità fisiche e tecniche, che sono alla base per dettare una determinata disciplina tattica.

Tutto ciò, per un normale osservatore, doveva essere ovvio sin dall’inizio, ovvero che l’avvento di Sarri sulla panchina bianconera non avrebbe determinato certamente un radicale mutamento del gioco bianconero. Questa squadra bianconera non potrà mai evocare il Napoli sarriano che, peraltro, era lo stesso modo con cui giocava il Napoli di Benitez.

Magari, ad inizio stagione, c’è stato un (timido) tentativo di ritoccare una rosa, che, in qualche modo, ricalcasse gli schemi sarriani della pregevole stagione 2015/2016 ed è in tale ambito che vanno interpretati i vari eventi che hanno caratterizzato gli scorsi mesi estivi.

In primo luogo, occorre ricordare l’incontro con Ronaldo prima del ritiro. In tale occasione, si può facilmente presumere che, oltre a rendere omaggio ad uno dei calciatori più forti in circolazione (ad esempio Conte non ha avuto lo stesso tema all’Inter, perché al limite poteva solo andare a trovare…Wanda Nara), Sarri abbia tentato di condividere con il portoghese l’idea di impostare la squadra, ponendo Ronaldo al centro dell’attacco e ricordando che in tale ruolo Higuain, nella citata stagione al Napoli, aveva realizzato una valanga di reti (36 in 35 partite), stabilendo il record assoluto di marcature nel campionato italiano. Ma, evidentemente, vellicare CR7 sotto questo aspetto non ha sortito alcun effetto perché il portoghese ha continuato a tenere il ruolo di attaccante, che parte alla sinistra dello schieramento offensivo.

In secondo luogo, Sarri, nella ovvia pianificazione del mercato condivisa con la Società, non si è opposto né alla paventata cessione di Dybala e di Higuain né alla sostanziale “epurazione” di un giocatore, di importanza centrale negli schemi passati, come Mandzukic, in quanto tali calciatori non erano funzionali, seppur per motivi diversi tra loro, al progetto sarriano. Le successive e ben note dinamiche di mercato della scorsa estate hanno poi determinato la permanenza dei citati calciatori in rosa e paradossalmente, per i primi due, la fortuna della Juventus in questa prima parte della stagione; ma anche il contestuale de profundiis dell’idea di gioco sarriana.

Lo schema ideale (vedi Napoli 2015/2016) era pertanto abortito sin dall’origine, essendo irrealizzabile un 4-3-3 con Ronaldo al centro dell’attacco e due esterni alti (in alternanza: Douglas Costa, Cuadrado, Bernardeschi), un centrocampo con Pjanic (perno centrale) e ai lati interditori ed incursori pronti ad inserirsi nonché una difesa collaudata, con l’unico dubbio circa l’esterno basso di destra (preferibilmente Danilo).

La sterzata che ne è conseguita, ovvero un 4-3-1-2, è quindi il primo frutto dell’adattamento di Sarri alle evidenze dell’organico a disposizione ma da ciò ne è scaturito che – al di là dell’obnubilamento di qualche commentatore, che già individuava i prodromi della Juve sarriana – la Juventus gioca nello stesso modo dello scorso anno, ovvero sull’estro delle giocate individuali. Purtroppo, però, rispetto alle scorse stagioni, l’infortunio di Chiellini ha sconvolto l’assetto difensivo, l’epurazione di Mandzukic ha privato la squadra di un uomo di peso (e di grande carattere), in grado di scardinare le difese avversarie e di creare spazio e, ultimo ma non ultimo, il rendimento gravemente insufficiente se non addirittura assente dei due “gioielli” Ramsey e, soprattutto, Rabiot ha azzerato qualsiasi idea di evoluzione tattica (tanto è vero che dobbiamo costantemente ricorrere a Matuidi e a Khedira, che ormai sembravano destinati al pascolo…).

Tutto ciò premesso, la “colpa”, se di colpa si può trattare, non è certamente di Sarri ma nell’aver creduto da parte di commentatori poco attenti e di tifosi un po’ creduloni che Sarri potesse, con i citati presupposti, cambiare gli schemi di gioco di una squadra, formata da calciatori con determinate caratteristiche, tanto peculiari quanto immutabili.

D’altra parte, l’esperienza di Sarri al Chelsea doveva essere, sotto questo aspetto, rivelatrice. Dopo aver iniziato a predicare un certo tipo di calcio, Sarri, nel culmine della scorsa stagione, prese 6 goal dal City di Guardiola. A partire da quel momento, il tecnico ha compreso che era molto meglio adattarsi alle caratteristiche dei (grandi) calciatori che aveva a disposizione e non il contrario e così ha centrato la qualificazione in Champions (e in Inghilterra non è affare scontato) e vinto l’Europa League, con un “double” di tutto rispetto.

Non vorrei comunque generare il dubbio di preconizzare l’odierna stagione bianconera come fallimentare, perché non me ne punge vaghezza. Anzi, i risultati sinora conseguiti certificano, come già anticipato, che, nonostante tutto, gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti (e in anticipo) con il primo posto nel girone di Champions e con l’ottimo ruolino di marcia in campionato (semmai, in tal caso, è stata l’Inter ad andare oltre ogni logica aspettativa; ma c’era anche da mettere in preventivo che la squadra nerazzurra sarebbe stata estremamente competitiva).

Ciò che metto in discussione è la credenza che basti cambiare allenatore per mutare la filosofia ed il modo di giocare di una squadra. E’ una balla colossale! Ecco perché il titolo dell’articolo. A parere dello scrivente, sono sempre e solo i calciatori a fare grandi le squadre e gli allenatori e mai viceversa, fatte salve due rare eccezioni rappresentate da Happel e da Michels.

Prendiamo l’allenatore italiano, considerato il vate del calcio totale moderno, ovvero Arrigo Sacchi. Ebbene, il tecnico di Fusignano, ebbe la fortuna di incontrare sulla propria strada un Presidente come Berlusconi, che gli consegnò una squadra stellare (il fantastico trio olandese, Gullit, Rijkaard e Van Basten unitamente ai talenti italiani Baresi, Maldini, Costacurta, Donadoni, Tassotti, Ancelotti). Ma quando Sacchi se ne andò, quel Milan continuò a vincere, anche se il timone era stato preso da Capello, lontano anni luce dagli schemi di Sarri. E quando Sacchi approdò in Nazionale, tutto il calco italiano era pronto a riscoprire in azzurro i fasti del milan rossonero. Ebbene, non andò proprio così perché non vedemmo mai l’Italia giocare nello stesso modo di quel Milan, semplicemente perché sarebbe stato impossibile con i giocatori, che componevano la rosa della Nazionale.

Nel contesto europeo, analoghi argomenti possono essere spesi per Pep Guardiola che ha vinto tutto in Europa e nel Mondo, con un gioco che poteva contare su interpreti assolutamente formidabili (fra tutti, Messi, Xavi ed Iniesta). Fuori dal Barcellona, anche il grande Guardiola, nonostante faraoniche campagne acquisti a Monaco e a Manchester, ha vinto solo titoli nazionali, né più meno del nostro Allegri, con la differenza che l’ex allenatore bianconero ha anche raggiunto due finali di Champions.

Tornando all’attualità bianconera, scordiamoci pertanto, nei prossimi mesi, di vedere sbocciare la Juve "sarriana", se per “sarriana” intendiamo un tiki taka fitto e veloce in avanti, un gioco aggressivo e una difesa altissima. Potremmo, al limite - se riusciremo a recuperare calciatori come Ramsey e Rabiot e quel fenomeno a mezzo servizio di Douglas Costa – prendere auspicabilmente visione di una squadra imprevedibile in avanti e con un elevato tasso tecnico a centrocampo, mentre la difesa resterà un rebus irrisolto, almeno fino a quando non si saprà quando e in quale modo si concretizzerà il rientro di Chiellini.

Infine, per evitare fraintendimenti, occorre precisare come tale situazione fosse già assolutamente prevista da questa estate dalle parti della Continassa, in quanto la fine dell’era Allegri alla Juventus non è stata dettata – come erroneamente si sarebbe portati a pensare e che tanti avevano messo in preventivo – da motivazioni legate alla necessità di dare alla Juventus un gioco più europeo.

La scelta di chiudere la parentesi Allegri è stata molto più semplicemente una decisione di carattere “fisiologico”, nel senso di considerare chiusa l’esperienza del tecnico livornese sulla panchina della squadra più importante d’Italia, in quanto, nell’era del calcio moderno, un ciclo quinquennale vale un’eternità e genera, in tutto l’ambiente, la necessità di un rinnovamento, affinchè vengano rinvenuti nuovi stimoli. La decisione di ingaggiare Sarri - prima di essere dettata da motivazioni legate alla chimera di conciliare bel gioco e risultati, binomio che la Juventus non si è mai potuta permettere – è stata, per la dinamica temporale piuttosto lunga dalla fine del mandato di Allegri all’inizio dell’era Sarri, piuttosto complessa, in quanto evidentemente c’erano altre opzioni in circolazione, non necessariamente affascinanti come quelle legate al nome di Guardiola.

Il paradosso di tutta la situazione che si è generata è che ora Sarri si trova a gestire una rosa, che non si è affatto rinnovata (come peraltro avrebbe voluto Allegri) e che per caratteristiche dei calciatori non è adatta per gli schemi classici del sarri-ball. Inoltre, il tecnico originario di Napoli deve fare i conti con un Ronaldo, sempre più anziano e bizzoso, un gruppo inevitabilmente appagato da una striscia impressionante di successi e con potenziali innesti di pregio (Rabiot e Ramsey) che, per ora, incidono come l’acqua sulle piastrelle.

Ciò che deve far riflettere il tifoso bianconero (e in qualche modo lo stesso Sarri) è che la storia bianconera insegna che “certi amori tornano”. Il déjà-vu lo abbiamo già vissuto con due allenatori, autentiche icone bianconere, come Trapattoni e Lippi, per cui non ci sarebbe da stupirsi che in futuro lo stesso possa avvenire con un altro tecnico, toscano d’origine e non solo di adozione (mentre lo escluderei certamente per allenatori salentini…)