La notizia che in questi ultimi giorni sta facendo breccia nei cuori del popolo bianconero è quella relativa all’incontro avvenuto in Versilia, sabato scorso, tra il presidente Andrea Agnelli e il tecnico Massimiliano Allegri.
Una semplice indiscrezione giornalistica diventata notizia quando Andrea Pirlo, in occasione della conferenza stampa pre Juventus-Napoli, ha confermato la veridicità di tale incontro. Pur restandone segreti i contenuti, più mormorii parlano di discorsi avviati tra l’attuale numero uno juventino e il tecnico livornese. E’ a tutti noto che Agnelli ed Allegri si stimano reciprocamente e che vantano un importante rapporto di amicizia personale, ma l’impressione è che in questi ultimi giorni tra i due qualcosa in più ci sia stato.
Ciò che è certo è che alla Continassa sia in atto una fase di accorta valutazione sulla necessità di operare un profondo ribaltone riguardo la prossima stagione, con possibile protagonista proprio Massimiliano Allegri. E allora, andiamo a tratteggiare qualche caratteristica dell’ex e possibile futuro allenatore bianconero.

In ogni professione esistono diverse categorie, ognuna dotata di un proprio stile. Riguardo al mestiere di allenatore se ne possono riconoscere fondamentalmente tre. La prima riguarda i cosiddetti “giochisti”, tecnici che cercano di arrivare al risultato attraverso la qualità del gioco, il possesso di palla, il dominio dell’avversario, lo spettacolo, il segnare un gol in più dell’avversario. La seconda è relativa agli “italianisti”, tecnici appartenenti alla tradizione italiana del “primo non prenderle”, convinti che l’unica cosa che conta sia il risultato finale, da ottenere con qualsiasi mezzo, anche “parcheggiando un autobus” davanti alla propria area di rigore. Infine la terza, quella categoria di chi si colloca in mezzo al guado, “i pragmatici”. Sì al bel gioco, ma con un occhio sempre molto attento e vigile al risultato.
Massimiliano Allegri si inscrive in quest’ultima categoria. Una filosofia calcistica, la sua, volta più alla sostanza che allo spettacolo fine a se stesso. Quando non si attacca non bisogna vergognarsi di difendere bene perché l'obiettivo finale è il risultato che bisogna raggiungere in qualunque modo. Sono contento di quelli che fanno il calcio spettacolo, per me lo spettacolo lo si va a vedere al circo”. Dichiarazioni, queste ultime che lasciano pochi dubbi sull’Allegri pensiero. Un’idea di calcio nella quale il primo pensiero non è certamente quello volto ad un gioco champagne, con colpi di tacco e giocate circensi ma solo e unicamente la vittoria, obbiettivo da raggiungere con qualsiasi mezzo. Segnare un gol più degli avversari o subirne uno di meno è l’unica cosa che conta, e non è per nulla disdicevole mettersi in undici dietro la linea del pallone e poi colpire in contropiede (quelle che oggi vengono chiamate ripartenze) qualora ve ne fosse bisogno.

Uno dei mantra di Massimiliano Allegri è il seguente: “Si vince con l’equilibrio”. Un concetto che passa prima di ogni altra cosa da una corretta ed efficiente fase difensiva. Non a caso le squadre da lui allenate terminano di norma i rispettivi tornei con il minor numero di gol subiti rispetto alle altre compagini. Meglio vincere uno a zero che cinque a due, perché in quest’ultima caso la fase difensiva non sarà stata scevre da errori. E alla lunga, senza una perfetta fase difensiva non si vince nulla, teorema avvalorato da ogni tipo di statistica, a qualsiasi livello. Si potrà vincere qualche battaglia, magari anche in modo altisonante e spettacolare, ma chi subisce troppo alla fine le guerre le perde.
Un equilibrio figlio della grande duttilità del tecnico, allenatore che da sempre privilegia le caratteristiche dei propri atleti, adeguando ad essi il modulo di gioco. Basti pensare che all’inizio della propria carriera, compresi gli anni milanesi, Allegri aveva come punti fermi la linea difensiva rigorosamente a quattro e il centrocampo a tre, con un mediano a fare schermo davanti alla difesa affiancato ai lati da due mezzali dinamiche, di gamba e con buone attitudini agli inserimenti in area di rigore. Dal centrocampo in su schierava tre giocatori con spiccate doti offensive ma senza una regola fissa. Ecco che nei suoi undici, in relazione alle caratteristiche dei calciatori a disposizione, potevano esserci tridenti formati da un trequartista e due punte, da due ali e da un centravanti classico piuttosto che da una prima punta alla cui spalle agivano due fantasisti - mezze punte.
Una volta trasferitosi sulla panchina bianconera e accortosi che la “BBC”, la straordinaria linea difensiva composta da Barzagli, Bonucci e Chiellini rappresentava il punto di forza della squadra, Allegri non esitò ad uniformarsi a quel sistema di gioco, strutturando la squadra con un classico 3-5-2 che in fase di non possesso diventava un solidissimo 5-3-2.

Dopo aver vinto due scudetti sfruttando al massimo quel modulo di gioco, a metà del terzo fiutando che quel 3-5-2 era diventato un po’ asfittico e prevedibile, in una fredda domenica d’inverno di un Juventus-Lazio, mister Allegri si inventò il modulo a cinque stelle. Schieramento che prevedeva una difesa a quattro, con Barzagli terzino destro bloccato, Bonucci e Chiellini copia centrale e Alex Sandro sull’out sinistro. Un centrocampo a due, con il tandem Pjanic e Khedira e un attacco stellare composto da tre uomini di fantasia - da destra a sinistra, Cuadrado, Dybala e Mandzukic - alle spalle del “Pipita” Higuain.
Sistema di gioco che Allegri mantenne inalterato sia per quel finale di stagione che per tutta la stagione successiva, portandolo verso un più pragmatico 4-3-3, quando sotto la Mole arrivò l’”anarchico” CR7. Un modulo con tre uomini in mezzo al campo la cui presenza era volta a fornire maggior protezione ad una difesa che, complice il passare delle primavere, non riteneva più solida come un tempo. Sistema di gioco che mister Allegri alternerà fino al termine del suo quinquennato Juventino con un 4-4-2 nel quale Blaise Matuidi fungeva da mezzala sinistra capace grazie al suo dinamismo di dare protezione ad Alex Sandro in fase di non possesso senza gravare di compiti difensivi il tandem d’attacco Cristiano Ronaldo - Mario Mandzukic.
Ultimo (ma non in termini d’importanza) elemento che da sempre contraddistingue Massimiliano Allegri è la sua proverbiale capacità di gestire i grandi campioni. Anche a distanza di anni, è raro sentire calciatori da lui allenati parlarne male. Epici i suoi scontri con campioni del calibro di Ibrahimovic, Gattuso, Pirlo, Inzaghi, Lichtsteiner, Mandzukic, Dybala, Bonucci, ma tutti risolti con la schiettezza che contraddistingue il tecnico toscano. Una leadership la sua, esercitata sempre con ironia, con il sorriso sulle labbra, senza rancori di alcun tipo e capace di motivare atleti e collaboratori per raggiungere obiettivi comuni e condivisi. Un’attitudine al comando “partecipativa”, “visionaria”, quella di Allegri, non eccessivamente rigida, flessibile, ma proprio per questo possibile da essere esercitata soltanto da un grande capo carismatico, sicuro di sé e fortemente empatico.
Qualità che gli hanno consentito nel corso degli anni di creare gruppi coesi e di far emergere il meglio da ogni componente del proprio team.