Se Sanremo non esistesse dovrebbero inventarlo, in Italia è un po’ come il football, riesce ad interessare (quasi) tutti, a fare audience come la finale dei campionati mondiali di calcio, è insieme al pallone un argomento che coinvolge molti, che fa parlare grandi e piccini, che non ha età, sesso, colore della pelle.

Cos’è veramente Sanremo, una competizione canora, uno spettacolo a 360 gradi, una vetrina politica o cos’altro?
Probabilmente è semplicemente Sanremo, perché Sanremo è Sanremo, non ha un’identità precisa, non sventola bandiere, non ha amici e nemici, è di tutti, è per tutti, o almeno così dovrebbe essere.
Tra amici in questi giorni ci siamo più volte chiesti: siamo diventati vecchi e certe cose le vediamo in maniera diversa oppure in nome dello share la RAI sta forse un po’ esagerando permettendo alcune performance artistiche (che poi di artistico hanno poco) poco degne del contesto in cui si svolgono?
Un amico ha risposto che educare i giovani è compito della famiglia e della scuola. Eh no caro amico, ho ribattuto, il compito è di tutti e i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo importante, fondamentale al giorno d’oggi nella formazione degli esseri umani, soprattutto se il media in oggetto è sostenuto in buona parte dalle tasche dei cittadini e se il programma viene trasmesso in diretta in prima serata.
Sanremo è sempre stato luogo, teatro di colpi di scena, di stranezze, di improvvisazioni, di fuori programma, di situazioni grottesche costruite dietro le quinte. Dalla minaccia di suicidio tra il pubblico arrivando a Chiambretti, dalle palpatine di Benigni fino ad arrivare alle provocazioni di Fiorello e Checco Zalone, l’evento negli ultimi quarant’anni è stato soprattutto in piedi più per il colpo ad effetto che per le canzoni, ma a tutto c’è un limite e quando quel limite viene superato, il rischio è che tutto diventi normalità.
Non vorrei fare pubblicità al sig. De Marinis in arte Achille Lauro, preferirei non prenderlo in considerazione, perché come diceva qualcuno di successo, che si parli bene o male di me non ha importanza, l’importante è che se ne parli.
La verità è quella che ho sentito ieri mattina in radio da un noto giornalista in giuria: Achille Lauro è un Maneskin che non ce l’ha fatta, non sa cantare, le sue canzoni sono mediocri ed è ripetitivo, scontato nel cercare di stupire presentandosi truccato e a torso nudo, facendo gesti che di eccentrico hanno solo la pochezza di gusto e la bassa intelligenza.
Il problema, a mio parere, non è il De Marinis che utilizza gli strumenti a sua disposizione per fare soldi, ma sono la RAI e il sig. Amedeo Umberto Rita Sebastiani (Amadeus o Ama per gli amici) che gli permettono di utilizzarli, che lo usano come esca alle 20.30 della serata inaugurale per far abboccare circa il 55% dei pescioloni italiani davanti alla TV in quel momento.
Credo sia arrivato il momento di avere un po’ di rispetto per gli italiani, o che gli italiani si ribellino a questo nulla fatto passare per arte.
Penso sia arrivato anche il momento di smetterla con certi monologhi interminabili, penosi, che puntano continuamente il dito contro un popolo che è tutt’altro che omofobo e razzista, un popolo al contrario (per fortuna) ospitale, solidale, con un grande cuore.
Gli stupidi esisteranno sempre, non è facendo continuamente passare la maggioranza come ignorante, maleducata, poco intelligente e cattiva che le cose cambieranno, che quei pochi miglioreranno.

Veniamo alla gara, ho scommesso con un gruppo di amici chi sarà il vincitore.
Per usare una metafora cara a mio cugino appassionato di ippica, il cavallo che ho scelto è il duet Mahmood e Blanco. La canzone è bella, loro la interpretano bene e piacciono ai giovani e ai meno giovani. Fossi un bookmaker non li quoterei, sospenderei le scommesse.
Stasera e domani tutti davanti al televisore, tutti a messaggiarci cambiando idea ogni cinque minuti sulla canzone preferita…
perché Sanremo è Sanremo.