Non siamo in guerra, anche se è stato creato un clima nefasto da guerra. A partire dalla comunicazione mediatica. Si parla di bollettino di guerra, di trincea, di fronte, di coprifuoco, e quant'altro.
Il calcio, che fino all'altro giorno si credeva eterno, immortale, al di sopra di tutto e di tutti ha sbattuto con il muso per terra e in cattivo modo. Tutte le attenzioni sono concentrate sulla massima categoria. Se riparte questa, riparte il resto. Pensano in tanti. Poi, bisogna vedere come. E sul come si aprono scenari da impallidire. Soprattutto per le società minori che rischiano di essere spazzate via, quelle che vivono di incassi con le entrate dei tifosi negli stadi. Perchè, stiamone certi, non è che se a maggio, giugno, in estate si ritorna a giocare si ritorna alla vita di prima. Non esiste. Il rischio che il virus ritorni in autunno è alto, c'è. Gli stadi saranno vuoti, si giocherà a porte chiuse. Chi vive o sopravvive di diritti televisivi potrò tirare mezzo sospiro di sollievo. Ci lamentavamo prima che il campionato fosse falsato, figurarsi ora.
Ma sinceramente agli italiani che in questo momento stanno cercando di capire se domani riusciranno a mangiare interessa meno che meno se il campionato ritorna o non ritorna.
Hanno fatto di tutto per non fermarlo, fallendo, faranno di tutto per farlo ripartire, per "salvare" questa stagione a livello economico più che sportivo.  Bisogna chiedersi se giocare ogni tre giorni in estate, possa valere la candela. Perchè quello che si deve evitare è che si inneschi un qualche effetto domino che vada poi a danneggiare la prossima stagione, che ovviamente, piaccia o non piaccia, sarà figliastra di questa e le conseguenze comunque ci saranno.

Salvare questo campionato sta diventando un po' come salvare il soldato Ryan? Sacrifichi tanta roba, pur di riportare a casa Ryan. Così rischia di diventare questa stagione o quella che ne resta.
Il calcio come è stato scritto più volte fa parte della nostra quotidianità, della nostra vita, vederlo ritornare per molti sarà un segnale di cambiamento, di speranza, ma diciamolo pure, non è per questo motivo che si vuole riportare il soldato Ryan a casa. Non lo si fa per restituire al Paese una distrazione, un minimo di speranza, per dignità, ma per ragioni economiche, di cassa, di bilancio.
E senza soldi, d'altronde, il calcio non va da nessuna parte, questa è la realtà delle cose.






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