Il lunedì mattina è fantastico, l’ho sempre trovato un giorno speciale, sempre, anche quando lavoravo. Mai avuto ansie per il rientro in ufficio dopo il week end. Probabilmente perché ho svolto un lavoro meraviglioso, che ho amato fino alla crisi di astinenza quando ho appeso la creatività al chiodo. Oggi che mi sono ritirato, continuo a considerare l’inizio della settimana come qualcosa di nuovo e interessante, sperando sempre in cose positive.
Brioche croccantina, al barettino, quella con po' di crosticina che scrocchia sotto i denti e il sacro cappuccino per un mix perfetto. Poi l’informazione. Internet, ma anche e soprattutto i quotidiani. La rete ha il dono dell’immediatezza, insuperabile, ma… vuoi mettere il quotidiano con il suo profumo di stampa? L’ho sempre considerato un profumo, quel mix di carta e inchiostro che ad ogni pagina vergine sfogliata si libra nell’aria, un rito insostituibile. Il profumo dell’informazione. “Il solito”, dico all’amico edicolante, spacciatore di letture varie. Il solito consiste in un quotidiano generalista e due sportivi. Lo conosco da una vita, da ragazzo compravo da lui i fumetti. Non so quanti anni abbia, so che c’è sempre stato, è un’istituzione, come la fontanella all’angolo e il barettino sotto la pergola col glicine. Anche l’edicola è sempre uguale, una delle poche rimaste. Non ha più appese le locandine con il lancio delle notizie, quelle che si potevano leggere da lontano grazie ai titoloni evidenti studiati per catturare l’attenzione. Non si usano più, ma almeno l’edicola c’è ancora. I periodici ormai si trovano nei bar, nei supermercati e in altre variegate rivendite. Questo ci ha privato di molte edicole, luoghi dove ci si incontrava, si discuteva, ci si conosceva.
Dietro i vetri i fumetti, i vari periodici e soprattutto i gadget allegati che, invogliando all’acquisto di un cartaceo ormai preda di una crisi senza fine, fa in modo che si porti a casa un oggetto spesso inutile. Oltretutto, per i pochi che non lo sapessero, per vendere un prodotto non editoriale in edicola, esiste una norma che obbliga gli editori ad allegare allo stesso una dispensa, un opuscolo, qualcosa di cartaceo anche di due sole paginette, per giustificarne la presenza in edicola che, col passare degli anni, ha cambiato sia la merce sia la forma di vendita.
In mezzo a tutto ciò c’è Alfredo. Mi passa i quotidiani da una fessura tra due vetri scorrevoli, dietro i quali si ripara dal freddo. Pago e penso: ”Forse non l’ho mai visto tutto intero, con braccia, gambe e quant’altro. Vedo sempre e solo la sua faccia, che sbuca da una tappezzatura di periodici e biglietti della lotteria appesi. Però conosco le sue mani, viste per le monetine date in resto e protette da mezzi guanti, quelli con le dita di fuori, per proteggersi dal gelo in inverno.”
Lo saluto e mi allontano, grato che sia ancora tutto come una volta, cosa rassicurante. Se resteranno in piedi, ai miei pronipoti bisognerà spiegare a cosa servivano queste casettine. Il timore è che, nel futuro, l’informazione viaggerà solamente in rete. Le edicole spariranno e resteranno solo le librerie, dove si potranno acquistare solo libri d’arte o pubblicazioni patinate, anche in considerazione dei costi della carta, sempre in salita.
Ho un abbonamento online per l’informazione ma, quando rincaso con i quotidiani, vado nel mio studio e inizio a sfogliarli. L’informazione online può aspettare.
Titoli, sottotitoli, sommari, didascalie, abstract, tutti i condimenti sono presenti. Ho le mie abitudini, inizio dal giornale rosa. Essendo lunedì, ci sono tutti i resoconti sportivi del week-end, anche se il business dei palinsesti televisivi ha ormai spalmato il calcio lungo tutta la settimana. Non c’è più il pienone sul calcio, ma va bene così. Come tutti ho le mie “firme” preferite, che leggo prima di tutto il resto.
Poi, immancabilmente, leggo “lui”. Lo seguo da anni e, da tempo, non condivido quello che scrive né come lo scrive, ma proprio per questo mi incuriosisce, lo leggo per vedere se si ravvede. Ma lui, fiero e imperturbabile come sempre, prosegue nelle sue esternazioni logorroiche, con concetti triti e ritriti che dispensa a piene mani ai comuni mortali ignoranti. Di chi sto parlando? Arrigo Sacchi.
Era il 1991 quando chiudeva il suo ciclo con il grande Milan. La parentesi in Nazionale, nonostante il secondo posto ai mondiali, non ci ha mai mostrato un gran calcio. Tutt’altro. Siamo arrivati in finale solo grazie a circostanze favorevoli. Sono passati 32 anni dal grande Milan, il calcio si è evoluto, tante cose sono cambiate. Tranne lui e i suoi concetti.
Immancabile, puntualissimo come tutte le settimane, l’ex tecnico del Milan, ex ct della Nazionale azzurra di calcio, ex opinionista Mediaset più una decina di altri “ex” qualcosa, riferiti ad iniziative non propriamente riuscite, ha esternato la propria sentenza settimanale. Ha dettato il verbo, elargendo la propria opinione sulle italiche arti pedatorie, con il perentorio vocabolario che lo contraddistingue. Sono stato un ammiratore di Arrigo Sacchi allenatore del Milan. Fautore di un calcio sopraffino e dominante, persino imbarazzante per le squadre avversarie. Non ce n’era per nessuno ma, detto questo, atto assolutamente dovuto, il tutto non si è più ripetuto. Ovunque sia andato dopo la parentesi milanista. Questa cosa non deve passare in cavalleria, va detta e sottolineata. Da quando ha smesso di allenare, quindi non solo ultimamente, ribadisce sempre lo stesso concetto, con gli stessi termini, con le stesse motivazioni, con lo stesso sguardo perentorio di chi sa tutto e te lo spiega. I media che gli hanno dato la possibilità di esprimere la sua opinione hanno ricevuto sempre lo stesso commento, un copia/incolla continuo ed inesauribile. Bene la coerenza, ma anche basta! Il suoi concetti, forse frutto del dubbio sulla capacità di comprensione da parte dei suoi interlocutori, sono chiari e ormai ampiamente memorizzati. Gli archivi di Mediaset, come quelli della Gazzetta dello Sport, sono pieni di dichiarazioni “evergreen”. Se viene montato un servizio televisivo sull’ultima giornata del campionato di calcio oppure viene scritto un pezzo su un quotidiano, una sua dichiarazione di 15 anni fa potrebbe essere tranquillamente riciclata, non se ne accorgerebbe nessuno. Tutto ciò a grandi linee. Se poi si entra nel dettaglio di quello che scrive, c’è una naturale e assolutamente comprensibile benevolenza nei confronti del Milan. Giusto così, ci mancherebbe altro, è suo buon diritto. Ma quando si spinge in commenti tecnico tattici su altre squadre, emerge in modo lampante un fatto: o non le guarda o ci prende per inetti. A me, leggendolo, risulta una cosa talmente evidente che mi meraviglio del fatto che nessuno, e dico nessuno, tra coloro che avrebbero la possibilità di fermarlo nel quotidiano “rosa” non intervenga.
Le sue dichiarazioni sono un déjà vu continuo, un loop inesauribile. Basta!
Passo al quotidiano sportivo romano. Anche qui ho le mie penne preferite ma inizio da “lui”, il Direttore.
Non lo apprezzo e ne spiego il motivo. Molti dei direttori di quotidiani sportivi italiani, succedutisi nel tempo, non sappiamo neanche che faccia avessero. Avrebbero potuto benissimo vivere nel nostro quartiere, sanza riconoscerli. Negli ultimi vent’anni, con l’aumento dei programmi sportivi televisivi, è accaduto molto spesso che gli ospiti fossero giornalisti di testate importanti. Probabilmente venivano autorizzati dal proprio editore (ricordiamo che spesso i giornalisti firmano un contratto in esclusiva) a patto che apparisse, nel sottopancia, la testata per cui lavoravano. Lui no. Lui appare sempre in prima persona. Ci mette il faccione. Belloccio mi dicono, bene per lui, ma sempre più ingombrante. Già da tempo abbiamo scoperto che si piace molto, ha un’altissima considerazione di sé stesso e un’arroganza evidente. Passa molto tempo nei salottini televisivi, tra un passo di danza e attacchi a destra e a manca del tipo “È così e basta!”. Orticante!
Mai un dubbio, un tentennamento, insomma un uomo pieno di certezze e verità assolute. Un pozzo di sapienza. Negli studi Mediaset dove spesso è presente, ha partorito nel tempo vari turpiloqui. La meccanica è sempre la stessa: i presenti esprimono la propria opinione, più o meno condivisibile. I toni si alzano e lui, a differenza degli altri presenti, perde il controllo e va oltre.
Cito, in ordine non temporale:
(nel corso di alcune puntate di Pressing su Italia uno)
- a Riccardo Trevisan: “Io sento delle cazzate di proporzioni assurde”, “Non fare il blogger che spara cazzate!“
- a Fabrizio Biasin: "Stai dicendo una ca**ta!”
- a Fabrizio Ferrari durante Tiki Taka: “Non rompere i coglioni!” .
E ce ne sono molte, molte altre...
Non si capisce perché debba continuamente arringare i presenti con la sua conoscenza di fatti, ai più sconosciuti, utilizzando parolacce e zittendo sistematicamente i suoi interlocutori con maniere forti e arroganti. Se ha questa conoscenza delle cose nel dettaglio bene per lui. Ma c’è modo e modo di esternare. Non è al bar. È nelle nostre case. Personalmente gli consiglierei una presenza più costante in redazione, dove il suo quotidiano ha più bisogno.
I titoli ad effetto, visibili in continuazione sul suo periodico, sono un modo superato di fare informazione. La forma ha il sopravvento sulla sostanza. Il competitor rosa, dati di "Prima Comunicazione", è sempre molto avanti per vendita e diffusione, ma questo è un dato storico.
Il quotidiano da lui diretto, come altri, rispetto allo scorso anno risulta ancora in calo. É una testata storica che avrebbe bisogno di più attenzioni. É un patrimonio dell’informazione sportiva italiana. Ci lavorano parecchi giornalisti abili, misurati e competenti, che meriterebbero ben altra considerazione e soprattutto una vetrina migliore. Insomma, se proprio gli scappa di apparire in tv o farsi ascoltare alla radio, dovrebbe usare dei toni più a modo e accogliere con garbo le altrui opinioni.
Per oggi fiele ultimato.
Proseguo la mia lettura con il resto dei giornali tra concetti condivisi, dissenso feroce, curiosità soddisfatte e cose banali, non lette e saltate a piè pari.
Non c’è niente di più vecchio della pagina di un quotidiano già letta. Una volta girata è qualcosa che non torna mai più, ha esaurito la sua funzione primaria. Poi la carta prende una nuova vita.
Una volta veniva riciclata in maniera domestica. Pressata dentro quelle vecchie scarpe di cuoio zuppe d’acqua, per asciugarle più velocemente; piegata su se stessa e poggiata sui tappetini dell’auto in moquette per non inzupparli quando pioveva (era già tanto avere un’auto, figuriamoci i tappetini in gomma), accartocciata per pulire i vetri, riutilizzata in mille modi. Oggi si ricicla in modo diverso, e va bene così.
La mia mattinata del lunedì volge al termine. La critica su due personaggi noti finisce qui. Tanto era dovuto.
Ritorno al mio tranquillo tran tran e passo alla lettura dei pezzi scritti dai miei amici su VXL, che seguo sempre volentieri. Forse sono stato troppo duro con Sacchi e Zazzaroni, se ho esagerato chiedo scusa. Ma come dice il titolo del mio blog su VxL, “É solo un gioco”. E a me, nonostante l’età, giocare piace da matti.
Grazie per la lettura e per il vostro tempo.
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