Da sempre si è cercato di ridurre la realtà in termini semplicistici, operazione paradossalmente complessa ma che sicuramente aiuta a districarsi all'interno del mare magnum chiamato mondo. Nella vita, così come nello sport, si fa così uso dello strumento del dualismo, riducendo - appunto a due - i termini di paragone.

Nel mondo del calcio moderno, la dicotomia per eccellenza è sicuramente quella tra Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, due giganti del pallone. Interessa relativamente che prima di loro ci siano stati Pelé, Maradona, Puskás, Di Stefano, piuttosto che Ronaldo 'il fenomeno' o Cruyff, alla fine il dibattito tutto si riduce a loro. Sia Ronaldo che Messi nascono da contesti umili, in paesi dove il benessere è spesso retorica e la vita di quartiere spietata.

Entrambi conoscono la paura del doversi fermare, a causa di problemi al cuore Cristiano e a causa di una forma di ipopitutarismo Messi. Il problema del primo rientra, mentre il secondo viene sottoposto a trattamenti dal Barcellona, il club della vita per la pulce. I punti di contatto tra i due sono però finiti, in quanto da qui in poi le due strade prenderanno percorsi quanto mai diversi, facendo continuare la contrapposizione infinita.

La carriera di Ronaldo, dopo il debutto allo Sporting, passa dallo United, dove porta giocate funamboliche a velocità mai viste prima. I dribbling sono il suo marchio di fabbrica e non c'è difesa che tenga nonostante i nemmeno 20 anni. Per Valdano (gran giocatore prima e dirigente del Real poi), il dribbling consiste nel bluff, con il corpo, di un giocatore di poker. Chi vince la mano prende la palla. Cristiano in questo è maledettamente bravo, il migliore, e non manca mai di ricordarlo a tutta la Premier. Con i dribbling, però, si corre il rischio di rimanere belli ma non bravi, e non sia mai che pensino questo di lui. Comincia quindi a segnare, con una regolarità straordinaria, e da li in poi non si ferma più. Vince tutto ma questo non basta. Cristiano è esigente, vuole di più. Sa che è forte, ma la generazione United è in età avanzata e un ragazzo di nemmeno 1,70m rischia di rubargli la scena. Bisogna spiccare il volo, un volo se possibile più maestoso del precedente.

Messi esordisce a 17 anni appena al Barcellona. A vederlo è il classico bravo ragazzo, calmo, timido e con la frangetta. Nulla a che vedere con il suo pomposo antagonista. Si parla già un gran bene di lui ma non tutti sono pronti a scommettere su un folletto così basso e giovane. Il calcio dei grandi è tutt'altra cosa.  Non appena il Camp Nou assiste alla sua prima apparizione, però, l'intero stadio è costretto a ricredersi. Sembra sbarcato un messia. Eppure a Barcellona la qualità non mancava, Ronaldinho, Deco ed Eto'o erano già grandi giocatori, ma ben presto, in momenti differenti, dovettero lasciare lo scettro a sua maestà. Mettere da parte Dinho, con tutto quello che ha significato per il popolo blaugrana, non era certo cosa da tutti i giorni e all'inizio infatti qualcuno storce il naso, ma solo all'inizio. Il calcio di Messi è totale, è troppo basso per essere un centrocampista, ha i piedi da trequartista ma segna da attaccante, mirando sempre all’emozione piuttosto che al gol. Il problema (per gli altri) è che di gol ne fa, e pure tanti. Chiude il 2012 con 50 reti in campionato e la stagione solare sui 90. Un marziano, ma ha chi riesce a stargli dietro.

Il 2009 è l'anno della svolta, servono 100 milioni per vedere Ronaldo al Real Madrid. Florentino Perez, si sa, ha gusti sopraffini, e con lui non sbaglia. Da quel momento si vive il dualismo perfetto. I due migliori giocatori del mondo, al top della loro forma, nello stesso campionato e nelle due maggiori squadre rivali di Spagna. Cristiano impone il suo ego e la sua magnificenza anche in Spagna, diventa CR7 e, come Messi, spodesta una leggenda del club come Raul. In patria è meno vincente di Messi, il quale domina incontrastato, ma in Europa, il Real di Ancelotti prima e di Zidane poi, apre un ciclo che porta ben 4 Champions in 5 anni. Cristiano, nei 5 anni, porta invece 70 gol in 61 partite europee.  Le alte medie gol sono caratteristica di Ronaldo, il quale da innamorato della linea laterale e vero erede di Best (come da lui affermato), diventa un killer d'area di rigore. Un'altra sua caratteristica è l’essere decisivo. Se si pensa ad un momento in bilico tra sconfitta e gloria ci si ricorda subito di un gol di Ronaldo a risolvere la questione. Il portoghese non fallisce l'appuntamento con il destino, anzi, comincia a vincere anche senza giocare (Europeo 2016). Messi, invece, la sfida con il destino la perde diverse volte (pesano i rigori sbagliati in Copa America), non ci si ricorda sempre di un suo gol, nelle partite che contano, ma spesso della giocata giusta, quella che ti illumina gli occhi, che ti fa gridare al miracolo.

Assieme vincono 11 palloni d'oro (Messi 6), ed entrambi lasceranno poi le loro squadre cardine, da leggende, come recordman assoluti. Ronaldo andrà alla Juve, continuerà a segnare ma non riuscirà a trovare il miracolo Champions, tornando poi allo United sotto influenza del suo vecchio mentore, Alex Ferguson. Messi andrà invece al PSG, con il cuore a pezzi ed uscendo dalla sua “bolla dorata”, per cercare di affermarsi in una squadra europea differente. La storia narra quindi di due campioni, uomini i quali hanno superato il concetto di calciatore, finendo per essere idoli, icone, superstar, veri e propri dei. Nonostante il paragone sia possibile grazie ad i loro trascorsi sullo stesso asse temporale, non è per nulla facile stabilire chi sia il migliore, anzi, la cosa risulterebbe solamente un futile esercizio.

Ronaldo rappresenta il momento, la macchina perfetta, il gol nella sua essenza più pura e vera, l'uomo che tende all’olimpo. Il gol in rovesciata è la palese dimostrazione di forza di chi si supera pur di raggiungere l’obiettivo prefissato, con una abnegazione totale al lavoro ed una maniacalità al servizio del risultato.

Messi rappresenta l'eterno, la giocata sempre sognata ma mai realizzata, il movimento con la palla che diventa danza, l’arte laddove regna il caos. Messi è il divino fatto uomo che mira a rendere semplice ciò che è considerato per altri da folli.

Il migliore non è giudicabile poiché, a loro modo, entrambi hanno toccato il cielo e si sono resi eccellenze massime tra i migliori. Si possono avere preferenze soggettive, ammirare uno piuttosto che l’altro, o nutrire particolari simpatie o antipatie, ma bisogna essere davvero grati per aver vissuto e star vivendo ciò che compiono partita dopo partita, con un dualismo, che forse, non merita nemmeno di essere risolto.