Che sarebbe stata un'estate complicata lo sapevamo già.
Un'estate di sconvolgimento, di rivoluzione. L'ennesima, stavolta targata Petrachi. Il ds faticosamente strappato a Cairo aveva davanti un compito improbo: rimediare agli enormi disastri combinati da Monchi, piazzando altrove calciatori praticamente invendibili e portando a Trigoria volti nuovi e utili alla causa. Il tutto con un budget meno che esiguo, per non dire vicino allo zero. Difficoltà che Petrachi ha affrontato chiuso in un ostinato silenzio, senza fare proclami ma lavorando a testa bassa per consegnare a Fonseca una rosa più completa e, possibilmente, competitiva per l'unico obiettivo dichiarato: tornare in Champions League.

Il compito più complicato affidato al ds era sicuramente quello di vendere, o quantomeno di alleggerire la rosa (e i bilanci) da una notevole serie di zavorre. Hanno salutato così non soltanto i vari Sadiq, Ponce e Coric, ma anche i tanti "big": Olsen, Marcano, Karsdorp, Gonalons, Nzonzi, Defrel e Schick. Calciatori che, per motivi diversi, hanno fallito clamorosamente in maglia giallorossa, e che Petrachi ha dovuto quindi accontentarsi di piazzare con prestiti onerosi e diritti di riscatto.
Oggettivamente, era difficile fare di più, considerati gli stipendi monstre elargiti loro dalla Roma, e che nessuna squadra di livello medio-basso (cioè la giusta dimensione per tanti dei suddetti) può permettersi. Incrociamo le dita e speriamo che si rilancino tutti.
Ho poco da dire invece sulle tre uscite che ritengo più sanguinose. In primo luogo quella di Manolas, di fatto inevitabile considerata la volontà del calciatore di andare via sfruttando una clausola da molti ritenuta bassa, ma per cui si è fatto avanti il solo Napoli. Segno evidente che, per quanto forte (per me, fortissimo), il ventottenne Manolas non sia forse da big europea. In secondo luogo quella di El Shaarawy, un esterno che in questa Roma avrebbe potuto dare tanto, ma che a 26 anni ha scelto (legittimamente) di farsi ricoprire d'oro in Cina.
Non credo ci sia bisogno di dire altro.
Infine quella di Luca Pellegrini, terzino dall'enorme potenziale, finito però in uno scambio di plusvalenze che ha consentito a Roma e Juventus di sistemare i conti. Una scelta di cui potremmo pentirci amaramente, ma che ha permesso a Petrachi di mettere a segno altri colpi. 

Innanzitutto, quelli che a Trigoria c'erano già, ma che sembravano destinati a lasciarla. Dzeko su tutti, oltre a Zaniolo e Under, già vittime designate sull'altare del bilancio. Petrachi è riuscito invece a trattenerli con rinnovi e adeguamenti di contratto che segnano una vera e propria svolta per la Roma. A Trigoria il supermarket ha chiuso. Non c'è più nessuno che può partire senza trattativa, di fronte alla prima offerta ritenuta congrua. Non ci sono incedibili, ma chi vuole un calciatore della Roma deve pagare il prezzo che la Roma stabilisce. In caso contrario, resta. Punto e basta. Ciò che altrove è normalità, e che qui, sotto la direzione di Monchi, era diventata pura utopia.

E poi gli innesti. Anche sotto questo aspetto Petrachi è stato costretto a operare più che altro con prestiti, sia secchi (ma si vocifera di scritture private per gli "inglesi") che con diritto di riscatto. Una strategia non priva di rischi, su tutti quello di rilanciare calciatori che la prossima stagione difficilmente ci si potrà permettere, ma che consente di non impegnare risorse vitali in incauti acquisti di trentenni in parabola discendente. In caso di fallimento, semplicemente, ognuno se ne va per la sua strada. I pochi giunti a titolo definitivo sono invece calciatori nel pieno della maturità o con margini di miglioramento tali da poter essere eventualmente rivenduti in ogni caso.
Al di là degli aspetti più prettamente economici, tuttavia, credo che Petrachi abbia fatto ottime mosse. Dietro ha preso Pau Lopez, un portiere affidabile e bravo con i piedi; due terzini veri come Zappacosta, che farà il titolare al posto di Florenzi, finalmente, e Spinazzola, scambiato con Pellegrini; un centrale esperto come Smalling e due prospetti come Mancini, che mi auguro prenda presto il posto di Fazio accanto all'inglese, e lo sconosciuto Cetin, sperando sia un Marquinhos e non un Bianda.
A centrocampo sono arrivati due uomini utili, dinamici ma con i piedi buoni come Diawara e Veretout, cui andrà sicuramente una maglia da titolare delle due davanti alla difesa.
In attacco, infine, quasi sul gong sono arrivati Kalinic, un sostituto credibile (almeno sulla carta) di Dzeko e soprattutto il botto finale, quel Mkhitaryan che ha finalmente riacceso una fiammella di entusiasmo e speranza in tanti tifosi rassegnati. Un calciatore ideale per il gioco di Fonseca, che chiede ai suoi esterni di entrare nel campo e dialogare con la punta. L'armeno ha qualità da vendere e deve rilanciarsi dopo un'esperienza in Premier non proprio esaltante per uno sbarcato in terra d'Albione con le stimmate del predestinato. Insomma, ha tutto per fare bene, anzi benissimo, in maglia giallorossa. Con la quale mi auguro di vederlo a lungo.

In conclusione, a dispetto delle insufficienze dispensate qua e là da tanti addetti ai lavori (o presunti tali, esattamente come il sottoscritto), il mio voto complessivo al calciomercato della Roma è 7. Sarebbe stato 8 con un centrale e un mediano di livello superiore a Smalling e Veretout, ma tant'è. Considerate le tante, enormi difficoltà del club, Petrachi ha fatto un grande lavoro.
Ora sta a Fonseca metterlo a frutto.