Il calcio è strano, sì il gioco è importante, gli episodi, le condizioni, tutto incide ma, citando al contrario il motto della Juventus, l'unica cosa che conta è la vittoria, è così ed è stato sempre così, la vittoria monda i vizi, cancella gli errori, solleva da ogni responsabilità e crea un solco tra la tua condizione di fallito e la tua condizione di eroe.

Nella recente storia calcistica gli esempi non mancano, a differenza di quanto dice Sarri non tutti si ricordano delle belle squadre, ma i Palmarés si ricordano dei vincitori. Ed è così che una Juventus che in 180 minuti gioca 168 minuti degni del peggior dilettantismo su campi in terra battuta, in 12 minuti diventa una squadra eroica, resistente e imbattibile.
Allegri da cane diventa un genio, Dybala da sopravvalutato talento di classe cristallina e Higuain da grassone Top Player.
Questo solo per citare il più recente, ma qualcuno pensi al 2006, se Grosso non si fosse inventato quel rigore contro l'Australia, probabilmente quella spedizione sarebbe stata presto dimenticata insieme a quelle in Sud Africa e Brasile.
Oppure la mitologica Inter del Triplete, una squadra che in quanto a gioco è paragonabile al Genoa di Ballardini (allenatore che stimo, ma che ancora non ha vinto la Champions).

Questa sera la Roma si trova in equilibrio, con tutto il peso appoggiato su un solo piede, sul cucuzzolo di una montagna, deve soltanto scegliere da che parte scendere. Da una parte la qualificazione ai quarti, entrare tra le prime 8 d'Europa e acquisire così tanta fiducia da riuscire a confermare la risalita che sta operando in campionato.
Vincere stasera chiuderebbe comunque la stagione, perché significherebbe che la Roma è finalmente diventata una grande e non ci sarebbe più spazio in campionato per rimonte di Inter, Lazio o Milan.
Una volta arrivata ai quarti di Champions tutto può succedere, un passaggio non sarebbe impensabile (meglio non sarebbe più impensabile di arrivare prima in un girone con Atletico e Chelsea). La consapevolezza di essere una big a livello europeo.
Dall'altra l'eliminazione, contro una squadra non insuperabile, con la conseguente depressione che comporterebbe il quinto posto in campionato, l'esonero di Di Francesco, la cessione di Dzeko, Alisson e quasi certamente Pellegrini.
La consapevolezza di essere un onesto Udinese. L'ambiente Roma, infatti, non è un ambiente equilibrato, una sconfitta farebbe cadere la squadra in un baratro, la tifoseria in una tristezza sconfinata che impedirebbe di perseguire l'unico obiettivo che rimarrebbe a quel punto: il terzo/quarto posto.

Una sconfitta stasera significherebbe buttare via una stagione, lascerebbe la squadra nuda sulla pubblica piazza ad esporre tutte le sue brutture, presa a colpi di verdura da giornalisti e tifosi.
Se la Roma davvero perdesse di questa stagione non resterebbe nulla, a metà marzo i tifosi romanisti dovrebbero cominciare a seguire altri sport e comincerebbe la solita caccia alle streghe e a pagare sarebbe sempre l'allenatore. Forse fa meglio pensare a un altro evento indirettamente legato alla Roma, già citato in precedenza, che potrebbe simboleggiare la partita di stasera... era un caldo pomeriggio, il 26 giugno del 2006... sul dischetto si presenta, con il numero 10...