Come se il campionato non fosse mai finito e mai iniziato.
Sembrava un déjà vu, qualcosa di visto e rivisto più volte, ma allo stesso tempo qualcosa a cui non ti abitui mai, ogni volta, in quel magico istante che intercorre tra il pallone che varca la linea di porta e le urla di gioia, sembri crederci sempre di meno.
Edin Dzeko riparte esattamente da dove lo scorso campionato era terminato, riparte da campione, da trascinatore, da leader silenzioso che si batte, talvolta da solo, contro le onde di un mare in tempesta, perchè la gara di ieri è stata più o meno così.
Tutto rose e fiori ieri pomeriggio non è stato, anzi, sul velluto la Roma non ci ha giocato neanche dopo il gol. Merito di un Torino impreciso quanto combattivo e brutto quanto terribilmente vivace. Una Roma in evidente difficoltà per lunghi tratti del match, il pareggio sembrava essere più prezioso per la squadra di Di Francesco che per i granata, nonostante il palo avesse voltato le spalle ai giallorossi per ben tre volte, anche questo un déjà vu.
Quando la partita sembrava dovesse far rotta verso un pronosticabile risultato di parità, ecco il guizzo del fenomeno, perchè certe partite si risolvono solo in questo modo, con le giocate dei campioni, con le invenzioni, le uniche capaci di elevare la qualità e la forza dei singoli, al di sopra della grinta, il sangue negli occhi e la determinazione degli undici di Mazzarri.
Kluivert, subentrato al 65esimo al posto di un quasi influente Under, riceve palla a ridosso del cerchio del centrocampo, avanza, con un cambio di passo di quelli micidiali lascia sul posto due avversari, ora troppo poco per arginare il baby fenomeno pupillo di Monchi, che quell'apposizione "baby" sembra volersela scrollare di dosso a tutti i costi a suon di giocate, poi un altro cambio di passo, un pallone ormai destinato ad uscire, di quelli che o tenti disperatamente il cross in area e se ti va bene ci guadagni un corner, o ti defili e ricominci l'azione.
Con l'imprevedibilità di un ragazzetto, ma guai a chiamarlo così, e la voglia di vincere di un gladiatore, quel pallone in mezzo arriva eccome, lento, morbido, largo a vanificare un'eventuale uscita di Sirigu... avete mai sentito il detto "palla a Dzeko e s'abbracciamo"? Beh, penso proprio di sì, l'anno scorso in molte occasioni è stata una vera e propria filosofia di gioco, una tattica non molto tattica che la Roma di Difra utilizzava per risalire dai tornadi vorticosi che rischiavano di inghiottirla, in Champions più che in campionato.
Il gigante di Sarajevo, potente come un frecciarossa e leggero come un cigno, si allarga per ricevere il pallone e con estrema lucidità e precisione che non tutti si portano dietro fino al novantesimo, di solito se la perdono strada facendo, insacca alle spalle di Sirigu con un colpo di chi ha la mente così sgombra nel tirare con un piede che non è suo ma che si carica addosso tutto il peso della partita. Dzeko-gol, ancora una volta, lui che guarda il pallone entrare fino all'ultimo forse perchè certe magie stupiscono e spiazzano anche chi le compie, anche il mago. Oltre a Sirigu, ovviamente.
Dzeko-gol, ancora una volta, come sempre, lo dice il Vangelo. C'è chi lo paragona a Van Basten, chi sostiene che questo gol sia più bello e tecnicamente più complesso rispetto a quello segnato al Chelsea nei gironi di Champions. E poi c'è chi semplicemente esulta, strilla e inneggia un campione, il campione, quello dei gol impossibili, quello dei gol pesanti.
Edin riparte da qui, la Roma riparte da qui. Nel confronto con i meccanismi e il gioco del Napoli e i singoli e la mentalità della Juve, potrebbe costituire un'arma minore, un coltellino svizzero di fronte a due spade d'acciaio, un punto di forza inferiore, troppo poco. Ma vi assicuro che quando si tratta di Edin Dzeko, dall'altezza alle giocate, dal numero di scarpe alla tecnica, da una forza spropositata a uno spirito di sacrificio innato, fatevelo dire, non è mai troppo poco!