Avviso urgente ai lettori: non sono tifoso della Roma e neanche della Lazio. Non sono un estimatore di Pallotta, e neanche di Lotito. Il primo rappresenta tutto ciò che la Roma non è, il secondo in alcune esternazioni mette i brividi, ma sta raccogliendo i meriti del suo lavoro. Sono un semplice amante dello calcio, che prima è uno sport, e per alcuni di noi è sopratutto racconto.

Fatta questa premessa è incredibile pensare a quanto sta accadendo a Roma. Due squadre legate fra di loro non solo dalla città eterna, ma da un modo di vivere il calcio simile, appassionato, costante, vibrante. Da una parte però sognano la stagione della storia, dall’altra tremano. La Roma fa la conta dei debiti, che anno dopo anno creano scompiglio fra i tifosi e indeboliscono una squadra che senza cessioni negli ultimi anni sarebbe una big europea. Dall’altra hanno già vinto una Coppa in questa stagione e vivono il sogno scudetto che in fin dei conti meriterebbero pure. Così vicine, così diverse, ma perché? 

Le scelte: Lotito dal 2004 è presidente della Lazio e dal 2011 ne è proprietario. Dichiaró di “aver preso la squadra al funerale, e spero di renderla da irreversibile a reversibile”. Si è scontrato con tutti, ha risanato il club, ha puntato su pochi uomini ma giusti e ha vinto, senza stravolgere i quadri societari ma rafforzandoli negli assetti e nelle risorse step by step. Pallotta invece ha cambiato una serie infinita di allenatori, giocatori, direttori sportivi. Ha fatto e distrutto ogni sei mesi con un solo risultato. Creare instabilità, senza dare mai vita ad un progetto. 

Le bandiere: due nomi su tutti per Lotito. Ha affidato il mercato a Tare, un neofita del ruolo che però è laziale. Punto. Il risultato sono una infinita serie di giocatori presi a prezzi di saldo e trasformati in campioni che valgono cifre spropositate. Stesso discorso in panchina. Simone Inzaghi è un professionista legato ai colori. Lo ha messo in panchina a rappresentare un popolo intero. Con due uomini Lotito ha cambiato volto alla squadra, al mercato, risanato e vinto. Pallotta e il suo team hanno fatto il percorso inverso. Via Totti, prima dal campo, poi dalla società. Liquidato Di Francesco, salutato De Rossi senza provare a trattenerlo, poi ancora Florenzi. In panchina rivoluzioni su rivoluzioni senza mai trovare continuità. Alla direzione sportiva un terremoto continuo che ha prodotto scelte anche buone, ma mai la capacità di difendere i propri gioielli. Alla Roma non è rimasta una sola figura nata e cresciuta sotto i colori giallorossi. La Lazio sceglie la lazialità e la Roma cancella se stessa. I risultati sono evidenti. 

Mercato: conservativo, mirato, intelligente, quello della Lazio. In continua evoluzione, più forzato che scelto quello della Roma. Tare con poche mosse ha costruito l’asse della squadra. Strakosha, De Vrij e poi Acerbi, Milinkovic Savic, Luis Alberto, Immobile. La base di un undici vincente preso a cifre irrisorie se confrontate col valore attuale. A Roma avevano fatto anche meglio negli anni. Allison, Salah, Pjanic, Manolas, Dzeko. Lotito però ha difeso le sue scelte anche nei momenti in cui i giocatori non erano al top, dall’altra sponda del Tevere hanno dovuto vendere per far quadrare i conti.

La stampa: le differenze qui sono nette. Sponda Lazio esce poco o nulla. Bocche cucite, tutto affidato al presidente e a Diaconale, spesso giustamente criticati per uscite oltre il limite. Durante il lockdown gli attenti lettori avranno notato che ogni giorno un giocatore della Lazio era presente sui giornali con la medesima dichiarazione, come una campana a mezzogiorno, con il solo obiettivo di giocare. Una voce unica insomma. A Roma negli anni è successo di tutto. Dagli spifferi sul caso Totti, dalle parole dette e non dette fra il capitano e Spalletti, dalle voci di mercato e addii eccellenti, ogni trattativa e tutti i possibili rumors erano in prima pagina prima ancora di essere analizzati fino in fondo. 

La gestione delle risorse: qui bisogna fare un distinguo. A livello economico la Lazio ha pescato sul mercato gli uomini giusti al momento giusto, ma quando Luis Alberto, Milinkovic e Immobile erano in leggero calo li hanno difesi, così come per Inzaghi, che l’anno scorso non ha centrato la Champions e quest’anno si gioca lo scudetto. A Roma la società ha messo in discussione Totti, e già questo basterebbe a non elencare altri giocatori o allenatori protagonisti di magiche rimonte in Champions. 

La piazza: viene da ridere quando si sente parlare di una città in cui vincere è impossibile. In passato Roma e Lazio hanno vinto e convinto tutta Italia, ma avevano rose fortissime, allenatori di grande personalità e società pronte a investire. Un po’ come a dire che non c’entra la piazza, un po’ umorale ma innamorata pazza delle squadre. Per vincere servono gli uomini giusti, la Lazio lo sta facendo grazie a una macchina perfetta, la Roma sogna un nuovo ciclo. Anzi lo merita, perché le due realtà sono profondamente diverse, ma Roma per tifo e passione, merita due squadre di vertice.