Conte è a Milano per affari.
Dopo un’estenuante mediazione nel Centro per l’Impiego per assicurarsi, da disoccupato, un reddito di cittadinanza pari a 10 milioni l’anno, comincia ad avvertire un po’ di appetito. Contrariato per il mancato accordo con il Centro, dopo ore di negoziazione, decide di abbandonare la trattativa per recarsi a mangiare un boccone, non senza aver prima minacciato il consulente di intraprendere un’azione legale per la mancata corresponsione del dovuto.
Mentre passeggia per le vie affollate del capoluogo milanese, riceva una telefonata da Pallotta, anch’egli in città per lavoro. Il presidente giallorosso è alla ricerca di un grande allenatore per favorire l’ennesimo progetto di rilancio, da ammaliare e poi, eventualmente, da bidonare all’occorrenza, per salvaguardare logiche di gestione approssimative e sconclusionate, le sue.
Conte conosce pregi e difetti del presidente italo americano, un giorno gli piace la cucina mediterranea, e l’altro burro di arachidi e coca cola, ma è senza lavoro da un po’ ormai, attende la sentenza sulla buonuscita negata da Abramovich e al Centro per l’Impiego non ha avuto sufficienti garanzie sul progetto. Per questo motivo, non può snobbare la proposta di Pallotta.
Sono mesi che vive di comparsate, la moglie non ha ricevuto nemmeno un regalo a Natale e la figlia non percepisce la paghetta da settembre scorso. E chissà che Pasqua e pasquetta non la passino a casa, senza uova al cioccolato. Ha bisogno di un lavoro. Di conseguenza risponde al telefono e fissa un appuntamento in un posto indicato dal presidente: il Mc Donald’s.
Giunto al locale, incontra Pallotta che gli propone un Big Mac menù e un dolce a scelta tra muffin nero o bianco; ma il tecnico salentino pretende aragosta e caviale, e uno contorno a scelta tra Iturbe e Cuadrado. Il presidente giallorosso è spiazzato, comprende che Conte ambisce ad un ristorante da 100 euro, e non può assecondare le sue richieste. Prova persino ad alzare la posta offrendo un Road House da 30 euro, ma niente: il tecnico salentino vuole ripartire da un progetto più ambizioso. Stando così le cose, a Conte non resta che continuare a digiunare nell’attesa della proposta giusta. Saluta e ringrazia il presidente, al quale chiede comunque se può lasciare pagato un caffè, ancorché trattasi di ciofega americana.
Pallotta, piuttosto stizzito, paga il caffè e ci aggiunge persino un cornetto vuoto, poi esce e chiama Sarri: “Ciao Maurizio, che ne dici di una bella fumata in un coffee-shop?”. Conte è di nuovo per le vie del centro, alla ricerca di un posto di lavoro, quello giusto. Tuttavia, sono ore che cammina e avverte ancora un vuoto allo stomaco. Passa davanti un Kebab e, nonostante non rappresenti la soluzione ideale, decide che scroccare un panino potrebbe lenire l’appetito, almeno per un po’. Entra nel locale e mangia un mega panino; al momento di pagare chiama con l’addebito Bakayoko e chiede se può restituire i soldi di quella bibita gasata offerta a Londra, alle macchinette automatiche dello Stamford Bridge, e quindi passare a saldare il magrebino che lo sta minacciando col macete. Una volta fuori, dopo aver aspettato per ore l’arrivo del centrocampista rossonero, è quasi ora di cena. Sconsolato, si reca alla fermata del bus per far rientro a casa, in un motel di periferia. Nell’attesa dell’arrivo dell’autobus si avvicina un ragazzino che lo riconosce e gli chiede l’autografo. Conte si rende disponibile e chiede in cambio la Kinder Brioss che ha nella mano. Il piccolo piange e scappa via. Mentre vede il ragazzino allontanarsi, lo sguardo di Conte cade su un’insegna luminosa a caratteri cinesi di cui non capisce una mazza, ma legge fin troppo bene il cartello con su scritto: “menù da 100 eulo”. “Agghiacciande!” esclama il tecnico, evidentemente sorpreso. Nello stesso momento riceve la chiamata dalla moglie che gli ordina di sbrigarsi a rincasare, perché si fredda “lu pollu cusutu nculu”. Ma Conte dice alla moglie che stasera farà tardi, siederà ad un ristorante da 100 eulo. Una volta davanti l’ingresso, nota un altro cartello con il volto di Wanda Nara che recita “io non posso entrare”, e quella di una sagoma del cane che dice “io, è meglio se non entro”. Una volta seduto al tavolo, si avvicina un cameriere dai tratti somatici chiaramente italiani, una spilla sulla camicia toglie ogni dubbio: “Pierino”. Gli porge il menu: pollo flitto, pollo e liso, pollo e ananas, pollo al Cully, pollo alla chow chow, ecc.. Conte, insoddisfatto, pensa che se avesse voluto mangiare pollo, tra l’altro cucinato come si deve, sarebbe tornato a casa. Quindi chiama Pierino e gli dice: “voglio di più, molto di più, voglio un progetto!”. Pierino, scoraggiato, prova ad allettare il tecnico salentino con l’offerta del giorno: “nervetti di Kondogbia e chiacchiere alla Gabriel Barbosa”. Nulla, Conte pretende di più.
Arrivati a questo punto Pierino chiede aiuto al capo sala, un tale di nome “Beppe” che, con estrema diplomazia, aggiunge al menù un piatto a parametro zero: “stufato di Spalletti”. Eppure niente di quello che gli viene offerto solletica l’appetito del tecnico salentino. “Voglio di più, voglio lo scudetto!”, si sbilancia Conte. A questo punto, Beppe e Pierino decidono che l’unico modo per soddisfare un cliente così esigente è quello farlo servire direttamente dal boss: Zhang. Dopo un paio di minuti, un damerino asiatico di nome “Steven” si avvicina da Conte per offrire il suo aiuto. Per tutta risposta il tecnico salentino liquida il ragazzino e, con aria snob, gli dice che è in attesa di parlare con chi comanda. Steven risponde piccato: “Sono io il proprietario, il capo dei capi!”. Conte si scusa, tuttavia rivendica con forza quanto crede di meritare: “Voglio lo scudetto!”. Il proprietario del ristorante esita qualche secondo, poi ammette che quel genere di menù lo servono, generalmente, tra agosto e settembre. E fino a Natale servono anche la Coppa. Aggiunge che, se vuole mangiare quel piatto a primavera, deve recarsi a Torino. Conte, ostentando una certa superbia, ammette di conoscere già molto bene quel ristorante, tra l’altro ci lavorava un signore che somiglia tanto a quel Beppe lì. Ma quell’altro aveva ben altri poteri. Di conseguenza, Zhang si chiede se non fosse un problema mangiare cinese per un cliente che si è dimostrato esigente perfino con la migliore gastronomia italiana. Tra l’altro considerata concorrente. Conte spiega che dal punto vista sentimentale non ci saranno problemi, in fondo da leccese ha segnato con la Juve al Via del Mare esultando come matti sotto la curva giallorossa e poi, non contento, è andato persino a lavorare dagli odiati baresi. Per lui queste sono sciocchezze. Quanto alla qualità della cucina cinese non ha dubbi: ci pensa lui. Di conseguenza si offre di lavorare per il giovane damerino, al quale chiede fiducia totale e pieni poteri. Via Pierino, qui ci sarà poco da ridere d’ora e in avanti. Via Beppe, non sa perché, ma gli ricorda una vecchia canaglia. Via Javier, l’argentino addetto all’asado e Antonello, perché non si capisce la sua utilità.
Cucina, servizio, personale, sala e spese avranno un unico responsabile: Conte. E il piatto sarà una specialità da gustare tutto l’anno: lo scudetto.