Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale
Alberico Evani, uomo di calcio gentile, monumento silenzioso del calcio italiano, stilnovista del pallone, non è più l’allenatore in seconda della nazionale italiana. Il suo posto è adesso di quel Bollini che ha conquistato l’Europeo under 19. Nulla contro il ct della giovane Italia campione d’Europa, tutt’altro, ma ho come l’impressione che, ancora una volta, si ceda al facile fascino dell’ultimo risultato (e del sentiment popolare) e si dica ciao a un professionista con la P maiuscola, aziendalista eccelso.
E sì che adesso avrà il sapore del sale, quella panchina in seconda! E sarà dura non vederlo più salire le scale che dagli spogliatoi portano al campo, prima dell’inno nazionale, ch’egli intonava con la deferenza e la maniera dell’uomo gentile.
Lui non sarà più al fianco del commissario azzurro, non siederà più su una panchina dell'Italia.
È un esilio. È l’esilio forzato di un monumento del nostro calcio.
Presente e silenzioso, proprio come tutti i monumenti. Ammirato trasversalmente, proprio come tutti i monumenti. Sfregiato, ahimè, proprio come tutti i monumenti.
Un uomo di calcio gentile. Evani oggi merita, quantomeno, gli onori della memoria, lui che quelli della cronaca li ha sempre schivati.
Giovane in erba nel Milan cadetto, quello dei Piotti, Buriani e Tassotti, faceva il terzino sinistro, prima che quella fascia divenisse prateria esclusiva del purosangue Paolo. Campione nel Milan dei campioni, quello dei tre olandesi, di Maldini e di Baresi (ci ho pure fatto la rima), quello probabilmente più leggendario, quello che: per farne parte dovevi essere un over the top. Alberico Evani ne faceva parte, eccome.
E fece parte della spedizione azzurra in terra americana che, al soldo dei sacchiani dettami, sfiorò una coppa del mondo, sparata sopra la traversa dal Divin codino.
Interprete garbato dello stilnovismo calcistico, quello che professava amore per il bel gioco come unica strada verso il sublime, era un perfetto amanuense del calcio totale anni 80/90. Sinistro educato, sapienza tattica e adattabilità a diversi ruoli, esecutore pedissequo di schemi e concetti di gioco, Evani c’era sempre.
Un uomo di calcio gentile, come il clima temperato e l’aria balsamica di Massa (scriverebbe il Repetti), la città che a Chicco ha dato i natali.
Gentile ed implacabile.
Se lo ricordano bene quelli del Nacional di Medellín, quando (era il 17 dicembre del 1989), in quel di Tokyo, al 119simo faceva gol al pazzo Higuita e faceva impazzire di gioia i milanisti, mandando il diavolo, ancora una volta, sul tetto del mondo (lui che, uomo di calcio gentile, al diavolo non ci ha mai mandato nessuno).
Non solo, ma appena dieci giorni prima era stato l'artefice del successo del Milan in Supercoppa europea contro il Barcellona, andando a segno, anche in quella partita, su calcio di punizione.
Gentile e vincente, anche in blucerchiato. Nella stagione ‘93/‘94 vinceva la Coppa Italia, assieme a quel Ruud Gullit, compagno di gesta milaniste, e proprio a Roberto Mancini.
Gentile e romantico, nel 1998 chiudeva la carriera da calciatore nella Carrarese, cioè a due passi da casa sua.
Gentile, silenzioso, decisivo. Calciatore e uomo di calcio a tutto tondo. Lo sa bene Arrigo Sacchi, il quale sceglieva proprio lui come tecnico delle giovanili, quando entrava in Federazione dopo il disastroso Mondiale del 2010.
La sua carriera da allenatore è stata costellata da silenziosi successi e un basso profilo, assolutamente distonico rispetto al profilo calcistico-professionale.
E avrebbe meritato maggior rispetto. Perché se cambi per voltare completamente pagina, nulla questio. Niente è per sempre, specie nel mondo del calcio. Ma se cambi alla gattopardesca maniera, lasciando cioè il timone al comandante Mancini, e allora no, non è voltare pagina, è, sic et sempliciter, sostituire Evani per l’eroe dell’under 20. Alla gattopardesca maniera così come alla machiavellica maniera, se a qualcuno aggrada detta scelta, al punto da ritenerla determinante per le italiche sorti.
In un senso o nell’altro, principi o viceré, quelli della Federazione hanno toppato.
Sia chiaro (e perciò lo ribadisco), Alberto Bollini è uno bravo e merita il meglio, ma ho come la sensazione che ancora una volta si sia ceduto alla schizofrenia dell’estemporaneo: bastano un risultato, ancorché eccellente, e gli allori mediatici per mandare sull’Olimpo qualcuno e a quel paese qualcun altro, chiunque esso sia. Sia pure un allenatore in seconda che ha vinto l’Europeo e che, quando Mancini è stato male a cagione del Covid, lo ha sostituito egregiamente (un’amichevole e due partite di Nations League); sia pure Alberico Evani, un allenatore che ha alle spalle 10 anni nelle giovanili del Milan, 13 a Coverciano e uno (in realtà tutt’altro che fortunato) in C con il San Marino; sia esso un personaggio, a suo modo, iconico del calcio italiano, per quello che ha fatto da calciatore ma anche da allenatore federale, veste in cui si è sempre messo in luce per affidabilità e “garbo istituzionale”.
Insomma, sia come sia, la Federazione ha preso uno dei suoi più fidati collaboratori e lo ha sostituito, così, d’emblée. Bravi, bel colpo! Poi vi lamentate della disaffezione degli italiani verso la maglia azzurra…
Alberico (con la C) non si tocca! Non si tocca la sua storia, non si tocca la sua misura calcistica, non si tocca la sua figura. Non si tocca il suo spessore, la sua gentilezza spessa un dito, come una patina di grazia innata che invece quasi si può toccare, tant’è tangibile.
Gentilezza, quasi poetica, di cui oggi nel calcio si sente un gran bisogno, in questo mondo di tatuati, simulatori, circensi alla ricerca d’esultanze fantasiose, galli cedroni su auto costosissime, festaioli ed esperti social; e di cacciatori (più che calciatori) di contratti, copertine e super gnocche.
E gentile lo è stato anche in questa circostanza. Se ne è andato (alla fine, comunque, se n’è andato lui) senza sbattere la porta, senza lasciar travisare acrimonia, senza le urla stridule che sempre fanno da colonna sonora a simili vicende. Queste le sue parole: “La Federcalcio ha il legittimo diritto di cambiare. Credo che si voglia dare una scossa di novità, come nel 2018, e ripartire con tanti giovani bravi. Ci sta”. Ma financo l’uomo di calcio gentile non poteva mancare di sottolineare come “Potevano essere gestiti meglio i tempi … ora che le squadre sono già fatte, è difficile ricevere proposte di lavoro. Potevano comunicarlo prima, la decisione l’avevano presa da tempo”. Tradotto: quanno ce vo’, ce vo’!
Insomma, la Federcalcio ha preso di petto una cantonata, se non nella sostanza (ma pure nella sostanza, a parer mio), nella forma. Che poi sono la stessa cosa.
Gli avevano offerto l’edulcorante dell’under 20 o della nazionale femminile. Ma lui ha detto: no, grazie. Perché se sei l’uomo di calcio gentile, non accetti il contentino da chi, nei fatti, ti ha silurato (o giù di lì). Quando sei Chicco Evani non segui la via sicura d’un contratto purché sia, sai di poter fare e dare di più. Rispondi di no e ringrazi. Ma forse la vera e più intima verità è che aveva sì piena di dolor la mente, che l’anima si briga di partire (Cavalcanti l’avrebbe detta pressappoco così).
Ad ogni modo, ora aspetta un progetto con cui ripartire e siamo certi che presto arriverà. Ce lo auguriamo. Del resto. al cor gentil rempaira sempre amor.
Solo che di stile nuovo qui c’è davvero poco. La defenestrazione di Evani sa di vecchio stile pallonaro, che lascia tanto amaro in bocca. È la smania pulciosa di rimpasti e rimpiazzi, una pratica, molto Italiana, che poggia sull’assunto che cambiare fa bene all’umore circostante; è talvolta l’ultima spiaggia, certo, ma è molto spesso il succulento pezzo di carne dato in pasto all’opinione pubblica quando abbaia.
Del resto, siamo o no il Paese in cui il cambiamento è lo slogan preferito? Che poi non cambia mai niente, però le elezioni le si vincono.
Peccato che nel calcio non funziona proprio cosi. Nel calcio, e nello sport in genere, il gradimento dura poco, giusto il tempo della prossima partita. Vedremo se la scelta della Federcalcio, e di Roberto Mancini, si rivelerà buona. Resta il fatto della inopinata scelta di maltrattare Chicco Evani.
Meglio allora citare quel buontempone del Cecco Angiolieri, che al dolce stil novo si oppose con ironia e pungente sarcasmo. E sì che se io fossi foco… Vabbè, non esageriamo.
Buona fortuna, Chicco. E forza azzurri, sempre e comunque.
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