Ridateci il padel, che lì non ci s’infetta. 

Io non so se sia uno sport di squadra o individuale o se sia una via di mezzo. So soltanto che fa un bene dell’anima, che è balsamo per il corpo e per lo spirito e che lì non ci s’infetta. Non c’è contatto fisico, se non per qualche 5 scosciante che ci si da’ dopo un punto cruciale. Ma se è questo che vi spaventa, ci auto inibiremo da ogni pratica di sodalizio tra compagni, che poi compagni non sono; sono amici e tra amici non ci s’infetta, tra amici si stabilisce quella magica sintonia d’un sentimento, tanto estemporaneo quanto intenso, che immunizza dai grigiori della vita e di un mondo dominato dal virus. 

Lasciateci giocare, che’ non è soltanto un gioco e lì non ci s’infetta. Non è uno sport di contatto; anzi sì, lo è eccome, perché il padel mette in contatto persone, passioni, pulsioni, tensioni di uomini e donne d’ogni età. No, lì non ci s’infetta. È uno spot di poca distanza tra un compagno e l’altro, è vero, qualche volta anche tra un avversario e l’altro, quando entrambi hanno l’ardire di cimentarsi in scorrerie sottorete; ma che volete che sia quel mezzo metro intermittente, in confronto ai pochi passi che ci separano l’un dall’altro quando andiamo dal pescivendolo o ci mettiamo in fila alla posta? 

Ridateci il padel. Ne va del nostro morale, della nostra forma fisica e di quell’indefinita sensazione di libertà che avvertiamo quando entriamo in quella gabbia a vetri e ci sentiamo dei leoni senza età. Una sensazione di libertà che settimane di clausura han smorzato, mortificato, annichilito; ma non ucciso, quello mai. 

Ridateci il padel, che’ lì non ci s’infetta. Ne va della gente che di Padel vive, che nel padel ha investito, che al Padel lavora per un dignitosissimo stipendio, illusoriamente sostituito da una cassa integrazione che chissà quando arriverà. 

Ridateci quella stramba racchetta a forma di padella, che brandiamo come l’excalibur delle nostre imprese da raccontare in chat. Ridateci le palline, la pretesa di palpeggiarle un po’ e decidere che non vanno bene per i nostri colpi da campioni. Ridateci l’infantile illusione di sentirci i migliori, di godere come ricci in quei secondi che ci separano dagli spogliatoi alla fine di un match vinto o di prendercela col nostro partner se i nostri dirimpettai sono stati “ un po’ più migliori”.
Ridateci le contese, le interpretazioni arbitrarie, i punteggi soggettivi, le linee che si restringono o che s’allungano, i nostri No declamati, i nostri Out un po’ inventati, i “fanne 2” concessi con finta magnanimità e i “doppio fallo!” biascicati con strisciante sadismo. E le questioni che durano una vita, le sfide che sembrano per la vita.
Ridateci il padel. Non sarà certo essenziale, ma viscerale sì... e poi lì non ci s’infetta. Ridateci quel campo, i vetri che si appannano di fatiche e di respiri, quella rete che goffamente calpestiamo facendo finta che non sia successo, le sue piccole dimensioni che diventano enormi quando le gambe non ci accompagnano... ma chissenefrega, si va avanti lo stesso, fino allo stremo delle forze e della pazienza di chi annuncia lo scadere dell’ora e mezza più veloce della giornata. 
Ridateci pure i nostri acciacchi, le pomate, le terapie, le ostinate fatiche di corpi che reclamano una vita da divano, ma che cedono alla tentazione di quell’ora e mezza più veloce della giornata.
Ridateci il sole che inscurisce i nostri visi e fa bruciare i nostri cuori; ridateci il vento, i suoi refoli impertinenti, il suo soffio come scusa plausibile da sfoderare alla bisogna; e quel meteo consultato e quel cielo che scrutiamo per una poggia benedetta che però noi non vogliamo. Ridateci gli sfottò di chi si crede più bravo, le pacche sulle spalle... ok, quelle per ora no...  le parole consolatorie di chi più bravo lo è veramente, i consigli professorali di chi più bravo lo è nettamente; ridateci la magia di sentirci tutti uguali pur nelle evidenti differenze. Ridateci quel microcosmo fatto di fenomeni e negazione, dove tutto si mescola alla perfezione e si accomuna in un denominatore chiamato passione. 

No. Non è un capriccio, è voglia di normalità. Ridate ad ognuno la sua  normalità, se potete. E col padel potete, al padel non ci s’infetta, perché li ci si conosce tutti, lì siamo tutti fratelli e sorelle di una madre sempre incinta.
Ci sono congiunti molto più congiunti di quelli che la legge contempla: venite al padel e vedrete coi vostri occhi che dentro quel campo non saremo mai più di quattro... altro che quindici!
Ridatecelo. E ridateci la libertà di andare al bar, vincitori e vinti, a prenderci un caffè per sotterrare l’ascia di una guerra appena combattuta; o di andare in pizzeria a riconquistar le calorie che c’illudevamo di aver perduto tra una vibora e uno smash. 

Ridateci la normalità, saremo prudenti, faremo i bravi, ma ridateci le nostre vite. E ridateci il Padel, che’ al padel non ci s’infetta, ma ci si ammala, questo sì. 
Ridateci il padel, la nostra gente, il nostro hobby, il nostro sport, le nostre giornate. 
Ridate a tutti le loro giornate.