"Ho passato tutto il giorno a ricordarti Nella canzone che però non ascoltasti Tanto lo so che con nessuno avrai più riso e pianto come con me E lo so io ma anche te Quasi trent’anni per amarci proprio troppo La vita senza avvisare poi ci piovve addosso Ridigli in faccia al tempo quando passa Per favore E ricordiamoglielo al mondo chi eravamo E che potremmo ritornare".  

Nelle parole della bellissima canzone di Tiziano Ferro, Potremmo ritornare, sembra raccolto il pensiero di migliaia e migliaia di tifosi rossoneri. Gli stessi tifosi che continuano a crogiolarsi sugli allori di un fastoso passato, contraddistinto da successi straordinari in campo europeo e mondiale, e da una filosofia che da sempre ha reso la società meneghina una delle più ambite dell'intero panorama calcistico. 

Parole che, nonostante tutto, pesano come macigni quando si scontrano con la dura realtà che oggi circonda il Milan. Negli ultimi 4 anni, con un triplo passaggio di mano in società, e delle continue rivoluzioni tecniche e dirigenziali, i risultati tanto agognati risultano ancora latitanti, ed anzi la rinuncia forzata all'Europa League, per potere gestire con serenità il futuro prossimo, ha segnato un'onta difficilmente trascurabile per chi ha i colori rossoneri nel cuore. 

In questo scenario che si interseca tra lato sportivo e lato gestionale, la scelta per la rinascita è caduta su due figure mitologiche che per il Milan hanno segnato la storia recente e passata.
Ogni parola sarebbe superflua per definire chi è Paolo Maldini. Semplicemente lui è il Milan, lui incarna la tradizione, il senso di appartenenza, la forza motrice del progetto a cui ha deciso di legarsi mani e piedi, accettando un ruolo di primo piano, nel quale onori, ma sopratutto oneri, sono assolutamente suoi.
Al suo fianco ha scelto uno dei pochi, se non l'unico, che ha sempre detto in maniera chiara e senza peli sulla lingua ciò che in molti hanno taciuto sulla gestione dell'ultimo decennio della società. Zvominir Boban, dal punto di vista calcistico, è uno degli ultimi poeti, degli ultimi numeri 10 veri, capace di grandissime giocate individuali intervallate a concretezza e finalizzazione. Alla stessa maniera in cui i suoi traccianti bucavano le difese avversarie, cosi le sue parole bucavano gli schermi televisivi, sopratutto quando parlava del "suo" Milan. Non è mai stato un tipo banale, figuriamoci se può esserlo diventato adesso, dopo essere stato numero 2 della FIFA, ed aver rinunciato a questo ruolo per imbarcarsi sulla nave capitanata dal Fondo Elliott. 

Possiamo affermare con relativa certezza che il dialogo costruito con la Uefa per venire fuori dalla melma in cui il Milan si è ritrovato per delle scelte scellerate, sia stato merito suo e di Ivan Gazidis. Già, quel Gazidis tanto bistrattato quando Leonardo è andato via. Lo stesso ex dirigente dell'Arsenal che la maggior parte di addetti ai lavori e tifosi ha disprezzato. Spesso, se non sempre, bisogna distaccarsi da ciò che si vuole vedere, per vedere meglio. 

E' questo, senza presunzione, che voglio provare a fare.

Voglio provare a salire su una collina alta, per individuare nelle valli i pericoli che circondano il Milan. Se fossi salito qualche mese fa, avrei trovato un cumulo di avvoltoi, pronti a cibarsi delle carni dei pezzi pregiati della rosa rossonera, ai quali faceva testa la Uefa, ormai accanita definitivamente contro i Diavoli, come se punire il Milan potesse rinsaldare le fondamenta di un regolamento clamorosamente sbagliato. Un regolamento che accresce il potere di chi è già forte, e non permette a chi vuole crescere di farlo senza rischiare di cadere giù da un dirupo senza alcuna protezione. 

Ci salgo oggi, all'indomani della conferenza stampa di presentazione del nuovo allenatore del Milan. Quello che vedo è una capanna, in fase di costruzione, difesa da mura di pietra, che impediscono a chiunque di attaccare ciò che si sta cercando di costruire. Il Milan è sicuramente un cantiere, in cui si dovranno sfruttare alcune basi già gettate e consolidate nella scorsa stagione, ed in cui si dovrà aggiungere tanta qualità nei materiali, per fare in modo che questa crescita sia costante e che riporti il Milan nell'Olimpo del calcio.

E' una strada lunga, contraddistinta da ripide salite e pericoli in ogni dove, ma è l'unica che può consentire un futuro stabile, roseo e duraturo.

Nella conferenza di presentazione, il primo a tenere i piedi per terra è proprio Boban, abile nello sviare domande su grandi profili, ed altrettanto abile nel mantenere vivo un entusiasmo che dopo i primi colpetti messi a segno, sembra stia scemando. Criptica, ma furba la sua frase: "Sostenibilità non vuol dire non essere ambiziosi" , che lascia aperte speranze di vedere, nel più breve tempo possibile, il Milan lottare per obiettivi più ambiziosi, costruendo dei Campioni del futuro, ma anche provando a portarne qualcuno a Milanello nel più breve tempo possibile.

Nella stessa conferenza, qualcuno ha chiesto quali siano i cardini da cui ripartire per il Milan, quali saranno le basi da cui costruire un futuro roseo.

  • Sostenibilità

Un progetto sostenibile vuol dire tanto per un'azienda. Investimenti sul medio-lungo periodo, che devono produrre degli effetti economico-tecnici in grado di autofinanziare la società, e di renderla immune da procedimenti simili a quanto successo negli ultimi due anni. Sognare sì, ma con i piedi ben piantati in terra, per evitare di cadere nuovamente e fratturarsi le ossa, dovendo quindi ricominciare da capo. In questa ottica devono essere interpretate le prime scelte della dirigenza rossonera. Marco Giampaolo è tra i migliori allenatori, se valutato il rapporto qualità-prezzo, che il Milan potesse ingaggiare. Allievo di Galeone e grande amico di Sarri, di cui ha raccolto l'eredità quando il neotecnico della Juventus è approdato al Napoli dopo i fasti di Empoli, Giampaolo è un allenatore molto pragmatico, conscio che giocare bene spesso è la chiave dei risultati, ma anche che nel nostro Campionato una delle cose più importanti per ottenere successi è la solidità. Nelle sue dichiarazioni non ha mai alzato la cresta, nonostante una gavetta importante e la grande occasione della carriera, anzi, con umiltà, non ha parlato di imporre moduli, ritmi o posizioni, bensì di valutazioni da fare sul parco giocatori che al momento è legato alla società rossonera, per individuarne pregi e difetti, e per delineare profili idonei a migliorare la qualità della rosa. 

Ecco che allora arriviamo al primo acquisto ufficiale del duo Maldini-Boban. Theo Hernandez è il classico terzino di spinta, antitesi del Rodriguez visto con Gattuso. Capace di andare sul fondo, di puntare l'uomo e di inserirsi senza palla, pecca sicuramente nella fase difensiva. La richiesta del Mister, però, è stata abbastanza chiara. Per lui, i terzini, devono spingere come forsennati. Chiedere a Murru e Bereszyński per eventuali conferme. Un segnale in controtendenza rispetto al recente passato, è la formula di acquisto. Il Milan prende Hernandez dal Real a titolo definitivo, senza utilizzare prestiti con opzioni od obblighi sul riscatto. L'intenzione, quindi, sembra quella di puntare in maniera decisa alla crescita del 21enne, e solo il futuro potrà dirci se l'intuizione sarà stata giusta.

Nella serata di ieri, nonostante fosse ormai una notizia scontata da quasi due settimane, è arrivata l'ufficialità anche di Rade Krunic, centrocampista ex Empoli di grande sostanza e qualità. In molti hanno storto il naso alla notizia dell'acquisto Bosniaco, anche se c'è da dire che la maggior parte di questi non ha, con molte probabilità, seguito con attenzione lo scorso campionato. Krunic è un centrocampista molto forte, brillante nelle scelte di giocata, intelligente dal punto di vista tattico e in ascesa già da almeno 2 stagioni. Al Milan un profilo di questo genere serviva assolutamente, considerando gli addii di Bertolacci, Montolivo e Mauri, uniti al non riscatto di Bakayoko. 

Da questi due acquisti, e dalla ricerca forsennata di un ulteriore centrocampista, si può dedurre il secondo pilastro su cui il Milan vuole fondare la ripartenza.

  • Qualità

Da anni, quasi un lustro ormai, il Milan non possiede più una delle caratteristiche che l'hanno reso il club più titolato del Mondo. La carenza di qualità in rosa ha abbassato il rendimento di tanti calciatori e della squadra in generale. Nonostante i tentativi di ritrovare queste caratteristiche con gli acquisti di Biglia, Chananoglu, Castillejo, o Andre Silva, la sensazione che si è avuta è che siano stati i calciatori ad adeguarsi alla scarsa qualità della rosa, piuttosto che il contrario. Per questo motivo, e visti anche gli svincoli di giocatori che, pur gravando sul bilancio societario, non hanno reso per come ci si aspettava, l'intenzione dei responsabili dell'area sportiva è quella di integrare il gruppo con innesti di qualità. In quest'ottica, l'ingaggio quasi definito di Bennacer, fornisce una percezione degli obiettivi che i rossoneri hanno messo nel mirino. 

Come già detto qualche riga più su per Krunic, chi storce il naso per l'interessamento verso l'algerino probabilmente non ha ben chiaro cosa sia il campionato di Serie A e che tipologia di giocatore sia l'ex centrocampista dell'Empoli. Bennacer è tra i prospetti più interessanti di tutto il panorama mondiale, con delle caratteristiche ben definite e delle solide basi tecniche. Non è sicuramente inferiore ai vari Sensi o Barella, che da giorni scaldano il mercato dei dirimpettai di Milano, anzi, con molta probabilità, i valori assoluti mettono l'algerino molto vicino al giocatore cagliaritano, qualche spanna più su dell'ex regista del Sassuolo. 

Analizzando, inoltre, le varie voci che continuano ad inseguirsi sul mercato del Milan, i nomi di Ceballos e Torreira sono quelli che di più scaldano i cuori dell'ambiente, ma che forse sono meno funzionali al progetto che il gruppo Elliott e la dirigenza hanno intenzione di costruire. Vedremo se, come hanno ribadito Boban e Maldini, il mercato offrirà delle possibilità di acquistare qualche calciatore già fatto e finito, per alzare anche il livello di esperienza di una rosa che, comunque, rimane tra le più giovani del nostro Paese e di tutta Europa. 

  • Gioco

Per anni siamo stati abituati, nell'era di Berlusconi, ad ascoltare sempre e solo una frase: "Il Milan quando scende in campo deve essere padrone del campo e padrone del giuoco". 

Da qui, con il benestare di un maestro di calcio quale è Arrigo Sacchi, il Milan prova a ricostruire. Marco Giampaolo è un perfezionista, sempre alla ricerca della quadratura giusta, sempre pronto a trovare la scarpa giusta per il piede di ogni calciatore, ed ha un compito assai gravoso: Riportare il Milan a giocare bene al calcio.  San Siro è, oramai da tempo, definito come la "Scala del Calcio", perchè in quello stadio i migliori campioni e le migliori formazioni, hanno dato vita a partite memorabili e dal grande contenuto tecnico-tattico. 

Negli ultimi anni, però, i tifosi del Milan si sono dovuti accontentare di piccoli accenni di calcio, piccole applicazioni delle più semplici regole del gioco. Il Guardiolismo, o gli anni straordinari di Ancelotti sulla panchina del Real e del Bayern, hanno modificato in maniera definitiva il modo di osservare il calcio e di gustarlo. L'approccio offensivo con la continua ricerca della profondità e la crescita di tanti calciatori abili a giocare sull'esterno per poi accentrarsi e calciare hanno inflazionato l'utilizzo del modulo con tre attaccanti. Con questo ha provato a crescere anche il Milan, nonostante le caratteristiche delle varie rose e degli allenatori non permettessero di interpretare al meglio questa tipologia di schieramento.
Ecco, quindi, che il Milan è riuscito ad inaridire attaccanti da 20 gol a stagione, ed ha contribuito all'involuzione di calciatori che erano stati la fortuna delle società di provenienza.
Da qui, e speriamo cambiando qualcosa, deve ripartire il progetto tecnico di Giampaolo, che può anche pensare di tornare ad un modulo con due punte, magari sfruttando Chananoglu nel proprio ruolo naturale, oppure investendo Paquetà di responsabilità più offensive, ritrasformandolo nel fantastico calciatore spensierato che questi era in Brasile, libero da assilli tattici che non ne hanno limitato la crescita, ma ne hanno forzatamente limitato la pericolosità negli ultimi 20 metri.


Sostenibilità, qualità e bel gioco. Questi sono, quindi, i capisaldi da cui il Milan deve necessariamente ricostruire, o semplicemente crescere. Basta spese folli in un mercato capace di dettare prezzi stellari per calciatori che potenzialmente sono fortissimi, ma che hanno alle spalle un solo campionato importante. Basta acquisti ad effetto che si rivelano boomerang pronti a cadere in testa a chi, esaltato dai nomi, non bada alla sostanza. Il grande Milan ha sempre scovato grandi talenti in giro per il mondo, crescendoli e crescendo con loro. 

Ed allora, con l'umiltà che contraddistingue Paolo Maldini, la pragmaticità di Ivan Gazidis, la competenza di Zvominir Boban, e l'entusiasmo di un allenatore che della gavetta ha fatto il proprio campo di allenamento, Ricordiamoglielo al mondo chi eravamo e che potremmo ritornare.



Vincenzo Tripodo