Bentornati al classico appuntamento dove per l'ennesima volta tra i vari racconti e la passione per le storie sconosciute di calciatori nei meandri di Roma, trovo un nuovo giocatore, e che giocatore, ma non snocciolo la storia di Renato Bernardi, nome come sempre di fantasia per la privacy, ma ce lo andiamo a leggere dalle sue parole tutti insieme. Sapendo che scrivo qui in Vivivoperlei.calciomercato.com ha accettato il mio voler pubblicare la sua storia. Pronti? Andiamo.

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Mi chiamo Renato Bernardi per tutti Renatino, nasco a Roma 19/3/1950 nella zona di San Lorenzo, a due passi dal cimitero Verano. Fin da bambino sono stato un appassionato di calcio, bhè come tutti da queste parti in quel tempo, il mio idolo era l'uruguaiano Alcides Ghiggia, un'ala che era arrivato alla Roma nel 1953 dopo aver zittito il Maracanà con il Mondiale strappato al Brasile, e divenuto in poco tempo idolo della platea giallorossa. Da ragazzini andavo con i miei amici a giocare sullo spiazzale del cimitero, gettanto in terra le nostre cartelle a fare da pali, e via ad un 5 contro cinque con tanto di telecronista, già Gigino che non sapeva giocare al calcio e per farlo partecipe si divertiva a dirigere con la voce tutta l'intera partita. Nel 1959 all'età di nove anni, mio padre Alcide decise di trasferirsi a Sora portandosi con se; Mia madre Adelina, mia sorella Pina e mio fratello Santo e io. Ci trasferimmo in ciociaria perchè aveva trovato un vecchio negozio che poteva riutilizzare per il suo lavoro, faceva il Sarto, mia madre lo aiutava e quindi ci lasciava a me i i miei fratelli da soli, con Santo che aveva quindici anni che per farci divertire ci faceva teatro delle marionette. Ma sempre nel 1959 intrapresi, grazie a mio padre il primo passo verso una scuadra di calcio, il Sora, così entrai in punta di piedi, anche perchè a 9 anni non avevo mai giocato in una squadra di calcio, se non con i miei amici ma nulla più. Ricordo che mi trovai nello stadio Claudio Tomei, che portava il nome del proprietario dell'impianto. La società in quegli anni giocava in Prima Categoria, e l'allenatore e nientemeno che Alcides Ghiggia, che si era ritirato dal calcio giocato e che mi ritrovai a pochi passi proprio nel mio primo giorno sul campo. Ricordo che si avvicino e dopo aver stretto la mano a mio padre, si rivolse a me "Giovanotto qua la mano" io dopo avergli dato la mano gli risposi sbalordito "Mio capitano, mio capitano" e lo abbracciai, tra le risa di mio padre che per scollarmi da Ghiggia dovette fare una forza immane. Ghiggia rimase soltanto un anno a Sora, ma assorbii ogni minimo consiglio che dava ai suoi giocatori sa in allenamento che in campo. Per l'età che avevo ero troppo piccolo, quindi per i primi cinque anni mi ritrovai a fare da porta borracce e seguivo i giocatori in campo, le loro movenze e soprattutto la zona gol, dove io sognavo di poter sostituire quell'attaccante sul viale del tramonto che da li a breva avrebbe lasciato la postazione libera. Nelle varie gare Alcides mi dava dei consigli "Tu che ruolo vorresti fare?" e io risposi "L'attaccante, ma per lei mister gioco anche in porta", lui mi rispose "Sei un, come si dice qui, spilungone, quindi per me sarai un attaccante di ottima prospettiva". Così ad ogni fine partita, entravo in campo e mi allenavo, correvo e facevo ogni movimento che vedevo nell'allenamento dei giocatori durante la settimana. Nel 1964 arrivò la tanto agogniata chiamata, l'allenatore del tempo, scusate ma non ricordo come si chiamava, mi disse mentre stava per comincare la preparazione "Ehi tu, da quest'anno farai parte della squadra. Sarai la nostra punta di riserva", al quanto io mi voltai indietro per vedere se parlava con me o qualcuno dietro di me "Agli ordini allenatore" risposi. Che emozione, essere seduto su una vera panchina, con l'allenatore a due metri che strillava e riprendeva la nostra squadra. Nella gara contro l'Astrea, squadra che puntava alla promozione al pari del Latina, venne il mio momento "Lungagnione, è il tuo momento!". Mi chiamava così perchè all'età di quattordici anni ero alto 1,90 e pesavo poco più di 75 kg. Mi scaldai in fretta e furia, non vedevo l'ora di mettere in campo tutti gli insegnamenti che mi avevano dato in quei cinque anni passati. Il mio numero non me lo posso scordare, era il 19, in quella gara da punta solitaria smistavo a destra e manca ogni pallone con il mio colpo di testa, e misi a segno una rete spettacolare, ricordo come fosse ieri, cross dalla destra e rovesciata che finì come una palombella alle spalle del portiere. Ricordo l'entusiasmo dei tifosi, io rimasi fermo come un palo, l'emozione era talmente tanta per un gol simile che non riuscii a esultare, a breve mi trovai tutti sopra che gridavano "Che gol! Che gool!". La partita la vincemmo 3-1, giocavamo in casa, ma da quel giorno capii due cose; La prima che volevo continuare a fare gol, e la seconda che quando entravo in campo da due attaccanti la squadra giocava ad una punta, che per il tempo era molto strano da vedere anche nei maggiori campionati italiani. L'anno seguente, divenni titolare a soli sedici anni, portavo la numero 9, numero del goleador, ci giocavamo sempre la Prima Categoria Laziale, in quella stagione, oltre le tante botte prese in campo, riuscii a mettere a segno...aspetta che ho un taccuino dell'epoca nel cassetto...ecco non ricordavo male, ben dieci reti, non riuscimmo a fare meglio della stagione prima, ma per me fù motivo di grandissimo orgoglio. Nell'estate 1967 mi venne proposto un club di Serie Dilettanti, ma dovevo trasferirmi, e non ne avevo voglia, così rifiutai e rimasi a Sora, ma non a lungo perchè proprio poche settimane dopo mi arrivò la chiamata dalla Serie B italiana dal Potenza, che nella stagione prima si era ben comportata con un sesto posto. Ma le cose non andarono proprio alla grande giocai poco e la squadra si ritrovò a fine stagione ad essere retrocessa in Serie C. Decisi di trovarmi una nuova sistemazione, ma le offerte dopo un campionato simile erano difficili da ricevere. Tornai in Promozione passando all'A.L.M.A.S  Roma, anche perchè oltre al calcio dovevo anche dare il servizio militare, che mi venne spostato da Udine a Roma proprio per vicessitudini calcistiche. In quella stagione riuscii a esprimere il mio miglior calcio, soprannominato 'Attaccante Solitario', per il mio saper giocare solo nel reparto avanzato, ben 20 reti di cui uno memorabile; il portiere fece il rilancio a centrocampo la stoppai di petto e la misi giù, non ero un velocista ma capivo bene come si muovevano gli avversari, partii in sordina e saltandone un paio mi trovai ai trenta mentri, lanciai l'esterno sinistro, che entr in area, ma non trovando nessuno nel centro mi servì al limite con una palla alta, e dalla lunetta al volo con tutta la forza che avevo nelle gambe la piazzai in rete sotto sotto il silenzio tombale dei tifosi avversari, che poi mi applaudirono per una rete a dir poco strepitosa. Non rimasi però che una stagione, la squadra era stata promossa in Serie D, e mi trasferii al Montefiascone, dove trovai una stagione all'imite dell'impossibile...La squadra non era forte, anche perchè al termine si piazzò dodicesima, ma dei 34 gol fatti, io ne misi a segno ben 30. In quell'anno il calcio italiano si era accorto di me. Ricordo che nell'estate 1970 il telefono di casa era divenuto un centralino; Dalle solite proposte della Promozione di tutta Italia, alla Serie D, alla Serie C e B, per arrivare ad un'offerta dalla Serie A, dal Lanerossi Vicenza. Purtroppo proprio in quell'estate per giocare una partitella tra amici al mare di Ostia, mi ruppi il legamento crociato della gamba destra, e a quel tempo non era una formalità, per questo oltre alla lunga attesa c'era anche la paura di non riuscire più a camminare. Le offerte alla fine andarono via come erano arrivate, e mi trovai nella solitudine più assoluta, solo qualche vecchio amico delle squadre dove avevo giocato mi veniva a trovare in ospedale, per il resto il buio più totale. Dopo un anno e mezzo tornai a camminare, ma il professore che mi operò mi sconsigliò di tornare a calcare i campi da calcio, nel frattempo ero tornato su i banchi della scuola, che si erano fermati alla terza media, mi diplomai a 26 anni mi diplomai in scienze politiche, trovando lavoro presso un ufficio di costruzione edili. Nel 1973 conobbi mia moglie Rosina e nel 1974 ci sposammo, dal nostro matrimonio naquero Franco nello stesso anno, e Santina, che prese il nome da mio fratello Santo che era il testimone al suo battesimo. Nel 1975 però la voglia del calcio mi portò a intraprendere la strada dell'allenatore, così dopo aver conseguito il patentino a Coverciano, cominciai dal basso dagli Allievi Regionali fino a salire alla Promozione Laziale, ma avevo capito che allenare non era il mio forte, così dopo appena quattro anni decisi aprire un mio centro calcistico, per aiutare quelle famiglie che non avevano possibilità di far pagare cifre sproporzionate per far giocare i loro figli nelle squadre della Capitale. Allenavo quei ragazzini così come Ghiggia e tutti gli allenatori venuti dopo avevano fatto con me. Un giorno del 1984 su un giornale di calcio Regionale trovai un articolo, che diceva "....Ricorda l'attaccante solitario", quell'attaccante solitario ero proprio io, quindi avevo lasciato un buon ricordo, quel ragazzino era Pasquale Luiso il 'Toro di Sora' che giocava nelle giovanili dell'Afragolese e che cominciava a far conoscere quell'attaccante dalle grandi doti balistiche che poi divenne negli anni a venire calcando anche piazze di Serie A e B. Tra i tanti ragazzini passarono anche molti volti noti del calcio italiano, alcuni anche importantissimi, ma se quel centro era per famiglie bisognose è anche giusto non rivelare chi fossero questi ragazzi, anche perchè nessuno di loro ha mai ricordato quel tempo. Nel 2000 mi laureai in Giurisprudenza, e da allora sono un avvocato. Dopo tant anni di duro lavoro, mi sono trovato spesso a incontrare molte persone che mi hanno conosciuto come calciatore prima e come avvocato poi, e molti ricordano ancora le mie gesta in campo, soprattutto quella rovesciata che è rimasta stampata nella testa di quei tanti giovani del tempo che erano presenti su quel campo di Sora. Questa è la mia storia, saluto tutti gli 'amici' di vivoperlei.calciomercato.com

 

Ringrazio Renatino per avermi e averci raccontato la sua storia calcistica e di come quel ragazzino 'Spillungone' (altissimo) fosse riuscito in pochi anni da porta borracce a proposte dalla Serie A a mettere a segno più di settanta reti tra le serie minori di un calcio, che per chi lo ha conosciuto, è molto più duro della Serie A, soprattutto sotto il profilo fisico.