Quanto accaduto nell’ultimo periodo non ha certamente alcunché di positivo. Anzi, direi tutt’altro. Ha trascinato dietro sé solo morte e angoscia. Ha ucciso i rapporti con il prossimo e già nell’Antica Grecia si sosteneva che “l’uomo è un animale sociale”. A proferire queste parole era il grande filosofo Aristotele. Ora abbiamo comprensibilmente paura a stare con l’altro. Giustamente non lo abbracciamo, non lo baciamo ed evitiamo di scambiarci quei calorosi saluti che fino a 3 mesi fa erano prassi del modo di comunicare nostrano. I traumi sono eventi fondamentali dell’esistenza che modificano il modo di vivere. E’ possibile che per parecchie persone certe manifestazioni affettive saranno molto complesse anche quando avremo sconfitto definitivamente il nemico e torneranno a essere consentite. Magari alcuni nuovi metodi di linguaggio non verbale diverranno persino definitivi. Non vi sono stati soltanto cambiamenti sociali, ma pure economici. Purtroppo, molte famiglie hanno subito importanti conseguenze negative. Si è andati a intaccare quel sostrato di persone che componeva in particolare le classi medio-basse. E’ logico che tali aggettivi non evochino un’interpretazione spregiativa, ma soltanto “realistica” della situazione. Molte di queste persone fondano la piccola e media impresa locale, l’artigianato. Il Resto del Carlino sottolinea come “7 imprese su 10 siano ripartite, ma solo il 29per cento degli italiani è tornato a fare acquisti”. Lo stesso quotidiano emiliano rimarca, al contrario, l’arricchimento di alcuni magnati. Il riferimento è a Zuckerberg, proprietario di Facebook o a Jeff Bezos, a.d. di Amazon. E’ chiaro che lo stesso discorso non si può effettuare per tutti. Penso, infatti, a importanti marchi di abbigliamento che non hanno propriamente aumentato i loro capitali. Il rischio, in ogni caso, è quello di implementare i capitali dei pochi a discapito di quello dei molti con la conseguenza che si riduce il riferimento medio sul quale si fonda l’economia. La domanda cala e l’offerta può dirigersi all’estero. Non è una situazione gradevole. Tutt’altro.

Gramsci affermava: “Crisi è quel momento in cui il vecchio muore ed il nuovo stenta a nascere”. E’ davvero difficile, ma se non si apportano alcuni cambiamenti ora, diverrà complicato eseguirli quando finalmente ritorneremo a una situazione più stabile. Questo vale per la società civile e anche per il mondo del calcio. Innanzitutto urge evitare di dover sopportare il peso di un Comitato Tecnico Scientifico che può essere utile dal punto di vista della pandemia, ma rappresenta un blocco se si pensa a riforme economico-sociali. E’ chiaro che il CTS non potrà affiancare per sempre la politica, ma non è facile prevedere quando il virus ci lascerà definitivamente liberi e quindi il momento in cui la scienza potrà tornare a svolgere il suo compito originario. E’ questa la maggiore difficoltà relativa alla progettazione del futuro. Non sto assolutamente affermando che la task force di tecnici sia il male del Paese. Anzi, durante l’emergenza è necessaria. Sto soltanto dicendo che, come agevola la situazione da un lato, rischia di bloccarla sotto altri profili. D’altronde questo è l’emblema del momento che si attraversa e lo stiamo osservando pure nel mondo del pallone.

Il mio pezzo vorrebbe essere un sequel di quello che ho scritto lunedì in cui indicavo proposte per un’eventuale riforma del calcio. Mi sento ancora una volta di ribadire che, prima di pensare al futuro, questo sport deve risolvere i problemi del presente. E’ un’unica entità e, diversamente dalla realtà che ha la esigenza di pensare al domani per non lasciare indietro alcuna componente, il pallone non può permettersi di guardare avanti senza che l’oggi sia chiaro. Il riferimento è alla ripresa della serie A con tutto ciò che ne consegue. Ora, però, ci si concentri su una certezza. In autunno i vari principali tornei interni ed internazionali torneranno protagonisti. Al più si tratta di attendere il trascorrere dell’estate. Il tempo non è eccessivo e la disciplina più amata dagli italiani sarà nuovamente protagonista quindi è lecito manifestare la propria idea relativa alle novità che l’attuale emergenza e il trascorrere del tempo potrebbero apportare.

L'ASPETTO ECONOMICO
Il calcio è tra i settori colpiti dalle conseguenze economiche negative della crisi in corso. Di fronte a 300mila lavoratori e 12 settori merceologici coinvolti diventa molto complicato pensare a riforme che rischierebbero di decimare le forze in campo. La professione di un individuo consente il suo mantenimento e spesso anche quello di un nucleo familiare. E’ vero che per risolvere i problemi sovente è indispensabile stralciare la tela e iniziare un nuovo dipinto su un’altra linda. Ogni aggiustamento potrebbe anche peggiorare una situazione già critica. Sono mesi, però, che si combatte per salvare le vite e sarebbe assolutamente paradossale se la battaglia contro il coronavirus venisse sprecata relativamente ad altri ambiti. La vicenda sanitaria deve andare di pari passo con quella economica. Proprio per questo urge rispettare le regole e pregare che la curva dei contagi continui a essere clemente. In caso contrario, purtroppo, occorrerebbe solo “scegliere di che morte morire”. Mi pare che sia stata chiara pure la politica. Un altro lockdown risulterebbe deleterio per la struttura finanziaria e psicologica del Paese. Mi sento di affermare che sarebbe improponibile. Questo si concilia naturalmente con il pallone che si è riscoperto parte della realtà. Non è un’entità semidivina che vaga nell’etere all’interno di una bolla ermeticamente chiusa. E’ componente del sistema sociale e come le altre ne patisce le conseguenze. In primo luogo, quindi, bisogna salvare il maggior numero di lavoratori possibile. Non ci si può permettere di demolire, ripulire i cocci e ripartire da capo. Le modifiche strutturali devono essere apportate con il bisturi e in maniera chirurgica.

Si sente spesso affermare che in questo sport vi sia il caos economico. Non voglio entrare in una vicenda della quale non sono componente integrante. Diventa difficile comprendere una situazione che si vive soltanto per sentito dire. E’ palese, però, che nel mondo del pallone si contemplino lauti guadagni per atleti e dirigenti. Volete conoscere il mio parere? Per motivi di chiarezza lo specifico immediatamente. Non trovo assolutamente giustificata l’esistenza di enormi disparità all’interno della società umana. Occorre guardare in faccia alla realtà. “Dura lex sed lex” e “la legge è uguale per tutti”. Le norme devono regnare sovrane. In democrazia, il legislatore è stato eletto dal Popolo. Esso decide ascoltando l’opposizione quindi assecondando le richieste di tutte le parti. Ne deriva una regola che rappresenta tutti e deve essere rispettata dalla generalità delle persone. Teoricamente il meccanismo è equo. Se opera nella legalità, non vedo perché negare al mondo del calcio il denaro che vi circola. Il grande dilemma è proprio legato alla possibilità di restare entro canoni che siano ammessi. Ribadisco che non giudico perché non sono all’interno del sistema. Recentemente questo settore si è posto dei paletti tramite, per esempio, il “Fair Play Finanziario” che è costato caro ad alcune società. Si desidera porre norme maggiormente stringenti al fine di “vederci ancora più limpido”? Non vedo motivo per evitare che ciò avvenga. Occorre però procedere “cum grano salis” perché altrimenti si rischia di distruggere il sistema. Questo è come un castello di carte senza fondamenta? Non lo so ma, come affermato in precedenza, occorre rinforzarlo con estrema cautela scongiurando che crolli al suolo trascinando con sè migliaia di posti di lavoro che significano vite umane. Non va dimenticato, infatti, che molti professionisti di tale mondo non percepiscono le ingenti retribuzioni dei campioni e, alla luce di questo, non mi spiego perché non trovare un accordo sugli stipendi del periodo di emergenza che tenga conto delle differenze tra i vari atleti. Chiedo lumi, forse mi sfugge qualcosa.

MERCATO E GIOVANI
Un cambiamento simile a quello descritto potrebbe essere apportato giocoforza dalle necessità dovute al terribile virus e le ricadute saranno anche sul calciomercato. Stando agli esperti questo potrebbe vedere molti prestiti e scambi tra i giocatori. Si pensi, per esempio, all’idea che porterebbe Pjanic al Barcellona con Arthur alla Juventus. Sotto questo profilo, però, diviene davvero importante e di grande interesse il discorso relativo ai giovani. “Le crisi e le avversità, spesso diventano occasione di crescita interiore” diceva Isabel Allende. Con tutte le negatività, l’emergenza attuale potrebbe finalmente risaltare l’estremo valore dei vivai. Vorrei prendere ad esempio la Nazionale Italiana. Dopo la vittoria del Mondiale nel 2006 si è assistito a un unico forte squillo. Si tratta della conquista della finalissima di Euro 2012, dove una Spagna troppo forte ci ha demolito. Guarda caso, quell’anno è coinciso proprio con un periodo di grande cambiamento. Ha rappresentato la rinascita della Vecchia Signora che ha dato origine alla recente epopea bianconera. La squadra di Prandelli vantava giovani davvero interessanti come Bonucci, Marchisio e Balotelli che sono stati fondamentali lungo il cammino della manifestazione. Ha ragione il c.t. Mancini. Il rinvio di un anno dell’Europeo 2020 non può che favorire la sua compagine. Gli azzurri, infatti, compongono un gruppo con tanti calciatori che si sono recentemente approcciati al mondo del grande calcio. Un’esperienza lunga una stagione potrebbe portarli alla kermesse itinerante con maggiori conoscenze e consapevolezze. Anche grazie alla lungimiranza del commissario tecnico, la nuova Italia promette davvero bene. L’importanza del progetto è determinante. Occorre, però, avere la disponibilità del tempo per garantire ai giovani i giusti esercizi. Molti top club non vantano una simile opportunità. L’esempio giunge dalla Juve. I bianconeri sono arrivati alla finale di Champions del 2015 grazie una pianificazione a lunga gittata, ma perché si lasciavano alle spalle anni bui e avevano la chance di procedere gradualmente. Nello stato attuale non si permetterebbero di vivere stagioni senza competere con le big d’Europa o addirittura non conquistando trofei nazionali. Per raggiungere un simile target servono i campioni. Risultato? Anche in tale ottica si necessita di un’opera degna del miglior mosaicista. I tasselli, i nuovi virgulti calcistici, debbono essere posti con grande attenzione e parsimonia. Un discorso diverso, invece, dovrebbe essere valutato da quelle società che sono in fase di crescita esponenziale. Parlo, per esempio, di realtà solide come il Sassuolo, il Verona, il Parma o il Bologna che devono assumere a riferimento l’Atalanta. La Dea targata Percassi è stata pressoché perfetta nella gestione dei giovani e i risultati sono lampanti. Non li rimarco per evitare un inutile e vano esercizio di stile. Lo stesso potrebbe valere per grandi del passato che si devono ritrovare, come il Milan.

LA POLITICA E IL CALCIO
Da ultimo passerei ad analizzare la questione legata al Governo del Pallone. Urge snellire la situazione decisoria e la vicenda attuale lo sta dimostrando. Figc, Aic e varie Leghe sono organi competenti. Nessuno intende modificare radicalmente la questione andando ad abbattere certi pilastri consolidati. Soltanto serve maggiore unità d’intenti e celerità nelle determinazioni. Non è, poi, possibile che abbiano così poco rilievo all’interno dell’ambito politico quando debbono operare scelte su se stesse. Questo è certamente dipeso dalla gravità della situazione attuale, ma troppo pare essere nelle mani di un solo uomo. Il riferimento è al Ministro dello Sport che ultimamente è apparso gestire il calcio quasi in solitudine senza udire le grida d’allarme che provenivano dal suo interno. Una specie di sovrano assoluto dell’emergenza. Tale situazione sarà sicuramente e soltanto l’impressione fornita all’esterno e in particolare al sottoscritto. Si tratta, però, di vicende da amministrarsi diversamente. Solo nell’ultimo periodo è parso esservi un rapporto più collaborativo tra le parti, ma lo trovo francamente tutt’ora insufficiente. Il calcio e la politica avrebbero sin da subito dovuto mostrare di remare nella medesima direzione e con gli stessi obiettivi. Purtroppo, l’immagine fornita non è stata questa. Ci si auspica che sia da lezione e che si comprenda totalmente il valore economico-sociale del pallone.