Oggi vorrei descrivervi una grande gioia che sto vivendo dall’interno e di cui ho una forte percezione. La favola che sto per raccontare vanta parecchie particolarità che, al di là dei riscontri locali, le consentono di appartenere un po’ a tutti.

Oscar Wilde diceva: “Se non ci metterà troppo, l’aspetterò tutta la vita”. Quanto sareste disposti ad attendere la felicità? E’ una domanda che non credo ci si ponga sovente. Attraversiamo un’epoca in cui si pretende tutto subito. Ci sta. La tecnologia ha influito sullo stile di vita e le necessità sono variate rispetto ad anni fa. Il mondo corre sempre più rapidamente e i bisogni divengono impellenti. Si pensi, per esempio, a un titolo di studio o a un determinato corso. Ammetto serenamente di non essere una di quelle persone rigide tanto da risultare “fissate” sul tagliare un traguardo a ogni costo e in tempi record. Anzi, credo che le forzature siano più dannose che utili. Un individuo ha determinate capacità, propensioni e stimoli. Se viene spinto oltre il limite, si rischia di mandare in default il sistema e di ottenere l’esito contrario rispetto a quello che si intende raggiungere. La conoscenza di se stessi è quindi fondamentale come il riguardo per il prossimo e per le sue caratteristiche. La società, però, pare non comprendere o infischiarsi di tale principio e impone il massimo nell’immediato. La scuola senza bocciatura, la laurea in 3 o 5 anni e, se è possibile, anche uno svelto dottorato oppure una repentina iscrizione a un albo. E’ molto dura. Il soggetto non dispone neanche dell’istante per godersi il target che dev’essere già sull’attenti per centrare un nuovo pezzo. Con un simile stile di vita, la felicità è una chimera così come la gioia data dal raggiungimento di un obiettivo. Vi sono occasioni, invece, dove la natura rivendica il suo equilibrio e impone ritmi sostanzialmente diversi. Si pensi al concepimento di un figlio. Due persone avrebbero il forte desiderio di genitorialità ma, al netto di varie, differenti ipotesi comunque lunghe e dispendiose, sono costrette a rispettare tempi che non dipendono dalla loro volontà. Quando, però, raggiungeranno l’ambito scopo, la contentezza sarà incalcolabile perché infinita.

Con le dovute proporzioni, è il medesimo sentimento che mercoledì 22 luglio 2020 hanno provato i tifosi della Reggiana, oggi Reggio Audace. La Città del Tricolore, in passato abituata quantomeno alla serie B, aveva disputato la sua ultima gara in quella categoria il 13 giugno 1999 contro la Lucchese. Ventuno anni fa. E’ trascorsa “una vita”. I suoi supporter, però, hanno dovuto bere l’amaro calice e accettare tale tremendo purgatorio che poi è esploso in una festa paradisiaca. Piazza della Vittoria è uno dei luoghi più noti della Località e può vantare il Teatro Valli che rappresenta un fiore all’occhiello del patrimonio culturale di questi luoghi. Per una notte si è vestita di granata ed è stata travolta da un’ondata di gioia che ha riempito nuovamente una secca durata troppo tempo. Reggio è racchiusa tra Modena, Parma, Mantova Lucca e Massa Carrara. Può vantare ogni sorta di geografia fisica escluso il mare che pareva aver fatto capolino l’altra sera quando il granata fluttuava per le strade. Dalla Bassa e la sua lunga distesa di terra pianeggiante alle dolci colline della pedemontana sino alle aspre vette dell’Appennino, un fiume in piena di auto si è diretto verso il cuore di tale rettangolo che è rappresentato proprio dal centro città. “Tanto già lo so che l’anno prossimo gioco di sabato!”. Queste goduriose parole risuonavano per le vie affiancate da un più beffardo: “Chi non salta insieme a noi cos’è? Chi non salta insieme a noi cos’è? Un bagolon, un bagolon”. Il primo coro è noto e facilmente comprensibile. Richiama al sesto giorno della settimana che è proprio quello classicamente dedicato alla serie B. La seconda ballata, invece, è tipicamente locale. La descrivo. Come detto, la mia Città confina con Parma. Tra le due realtà vi sono parecchi scambi commerciali e culturali. Molti abitanti di Reggio, per esempio, frequentano l’Università oltre l’Enza. Come accade per parecchie località tra loro vicine anche le protagoniste del racconto non si amano alla follia. Trattasi, naturalmente, di eufemismo. Ora questo astio tra le piazze si è affievolito, ma il pallone ha una forte connotazione territoriale e riporta in auge anche antiche “battaglie”. La presenza di Maria Luigia ebbe un importante influsso sui Ducali che, non a caso, sono sempre stati considerati la parte nobile delle Province Emiliane. L’accento tipicamente francese che si esprime soprattutto attraverso il modo elegante di pronunciare la lettera “R”, per gli abitanti di quelle zone è un simbolo piuttosto palese dei loro trascorsi. I reggiani, invece, sono popolo più “ruspante”. L’accezione è utilizzata esclusivamente in maniera positiva. Si tratta di grandi lavoratori e con importante spirito d’iniziativa. Proprio per sottolineare le narrata differenza, qualcuno indica con il termine “bagolone” chi vive oltreconfine. Secondo il dizionario Treccani, il vocabolo indica il “chiacchierone, spacciafrottole”. Urge naturalmente ricordare che trattasi di “diverbi di quartiere” che nulla hanno a che vedere con la realtà dei fatti. Dopo anni vissuti all’ombra dei vicini, i tifosi granata si sono finalmente sfogati e gridato a gran voce la loro gioia resa indescrivibile dall’attesa. Reggio ha dovuto sopportare pure una recente risalita degli acerrimi nemici dalla serie D alla massima categoria in soli 3 anni. Si tratta di un record incredibile e un ennesimo boccone amaro per la Città del Tricolore.

La situazione dei granata ricorda parecchio il rapporto tra la Juventus e la Champions League. Ancelotti, Lippi, Capello, Conte e Allegri, la Vecchia Signora ha effettuato molteplici tentativi con svariati tecnici che, nonostante infinite capacità, non sono riusciti a sfatare il tabù. Alvini ha fatto esplodere di felicità una parte dell’Emilia, riuscirà Sarri, anche lui toscano, a regalare una simile importante soddisfazione? L’augurio ai tifosi bianconeri è che sia veramente una stagione folle in cui si godono gradite sorprese sportive. Non si dimentichi la vittoria del Liverpool in Premier che mancava da 30 anni… Si sta trattando di tematiche prettamente calcistiche e non voglio nemmeno pensare ad altre orribili vicissitudini che da qualcuno sono state “malignamente” associate a eventi più unici che rari.

Da un racconto “mistico” e legato a speranze trascendentali che, purtroppo, vantano poca concretezza, si giunge ai risvolti più pratici della storia. Il 18 giugno 2016, un giovane taycoon americano di nome Mike Piazza acquistò la Reggiana. E’ un ex giocatore di baseball che militò e allenò la nostra nazionale. Nel 2006, infatti, acquisì la cittadinanza italiana. Nell’estate di 4 anni fa, la città godeva e gridava felice perché lo sbarco del magnate straniero ambizioso pareva essere sinonimo di gloria. In effetti, la squadra fu migliorata. Genevier portò esperienza in mediana. Cesarini e Carlini erano le stelle chiamate a consentire il salto di qualità. I granata sbarcarono sino alla semifinale playoff di serie C dove furono sconfitti dall’Alessandria dopo aver ottenuto i prestigiosi scalpi di Juve Stabia e Livorno. Con loro rammarico dovettero assistere da spettatori a una finale tra il Parma e i piemontesi che si concluse con la promozione dei crociati. Nella stagione successiva, la Regia centrò ancora i medesimi spareggi e fu sconfitta dal Siena. Dopo aver trionfato nella gara di andata in casa, perse il ritorno in trasferta. Un clamoroso errore arbitrale, naturalmente in buona fede, avvantaggiò i bianconeri. Piazza aveva già palesato l’idea di abbandonare un progetto che, probabilmente, avrebbe dovuto garantirgli risultati migliori in tempi più risicati. L’amarezza toscana, che provocò la protesta dei tifosi emiliani e numerosi daspo, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lo statunitense e la consorte, anche lei molto impegnato nel sociale, lasciarono Reggio tra il malcontento. Il taycoon giungeva da eroe e partiva lasciando i cocci di un’avventura sfortunata. La squadra avrebbe dovuto ricominciare persino dall’Eccellenza in una situazione che assomigliava parecchio a un dramma sportivo. La Città del Tricolore vanta alcuni Imprenditori importanti. Dall’abbigliamento alla meccanica passando per l’alimentare, questa lingua di terra dispone di ricchezza. Nessuno, però, è parso avere la volontà di investire nel calcio. Così, una bollente notte dell’estate 2018, pregevoli medi industriali locali si ritrovarono in uno Studio di un Commercialista di zona e diedero vita a una fantastica Creatura. E’ la Reggio Audace. La compagine riuscì a evitare una caduta rovinosa, ma dovette ripartire comunque dalla serie D. Addio professionismo. In pochi si aspettavano il miracolo di una risalita così rapida. Nel recente passato, i granata erano sempre discesi con una sola promozione avvenuta nel 2008 dall’allora serie C2. Il girone, tra l’altro, vedeva un’avversaria ingombrante come il Modena e una rivale ambiziosa chiamata Pergolettese. Proprio quest’ultima riuscì a conquistare il primo posto nel gruppo. La finale dei playoff, invece, fu tra i granata e gli acerrimi nemici gialloblù che la spuntarono in maniera piuttosto agevole. Il ripescaggio, però, consentì alla Regia di guadagnare il ritorno nella terza serie del pallone italiano. Con una grande opera, la società inserì nel suo motore personalità del calibro di Amadei e Salerno. Si tratta di noti professionisti locali che accettarono la sfida. La squadra acquistò Fausto Rossi. Il mediano, cresciuto nella Primavera della Juve, vanta presenze con la Nazionale Under 21 e un discreto passato in Liga. In serie C è un estremo lusso. In Emilia giunsero pure i bomber Scappini e Kargbo. Il primo è un attaccante navigato e il secondo è un giovane di grandi promesse divenuto poi la stella della squadra. In difesa risaltò il gradito ritorno di Andrea Costa. Reggiano doc, classe 1986, era partito proprio dalla Città del Tricolore per raggiungere la serie A con le maglie di Reggina, Samp, Parma, Empoli e Benevento. Pippo Inzaghi pareva non considerarlo nei suoi piani, così fu affascinato dal progetto granata. Nonostante il ruolo da rookie e un girone tutt’altro che semplice, gli emiliani hanno conquistato la promozione in serie B nella finale degli spareggi contro il Bari. Il destino pareva essere avverso. Persino il lockdown rischiava di premiare il Carpi in virtù di un algoritmo, ma i granata hanno potuto finalmente esprimere la loro gioia.

Mister Alvini e i suoi uomini sono stati magici, ma il capolavoro porta la firma di Luca Quintavalli. Il giovane imprenditore reggiano, impegnato pure nel sociale, ha scritto la storia. Dalle ceneri della Reggiana 1919, come il Demiurgo ha avuto un ruolo chiave nel plasmare la Reggio Audace. Con un lavoro cesellato, ha coinvolto altri soci sino a giungere ai grandi nomi di Amadei e Salerno che ora timonano la nave. Con fatica, passione e amore, il reggiano ha compiuto un autentico miracolo. Leggo sovente di magnati stranieri che cercano di acquistare le nostre realtà calcistiche. Non posso che apprezzare perché investono capitali importanti in Italia, ma non sempre ciò è sinonimo di successo sportivo. Penso al Milan di Li Yonghong o anche alla Roma di Pallotta che, seppur con esiti molto diversi, non hanno raggiunto quanto si erano prefissati. Non credo sia un problema di competenze, ma d’amore e di sentimento. Per guidare una data realtà, è necessario concepirla alla stregua di un figlio. Bisogna conoscerla nel profondo e viverla dal punto di vista socioculturale. In Italia, funziona così. L’esempio più palese è la Juventus di Agnelli. Nonostante le disponibilità economiche e le capacità di un a.d. come Marotta, l’Inter di Suning non è ancora riuscito ad avvicinarsi in maniera decisiva ai bianconeri. La Reggiana è solo l’ultimo esempio in ordine cronologico, ma l’operato di Percassi nella sua Bergamo è alla luce del sole. Lo stesso vale per i risultati raggiunti da Berlusconi con il Monza.

Mi scuso per la lunghezza del pezzo, ma penso comprenderete il valore personale che riveste. Vorrei ora trattare di un’ultima tematica che è proprio relativa esclusivamente a Reggio Emilia. Questa Città, infatti, entra di diritto nel gotha del calcio. Mi spiego. Il Mapei Stadium o Città del Tricolore ospita sia i granata che il Sassuolo. La società neroverde è proprietaria dell’impianto avendolo acquisito nel 2013. Le realtà che accolgono 2 squadre militanti nelle categorie principali del nostro calcio sono rare. Roma, Torino, Milano, Genova, Verona e ora Reggio. Solo le ultime 2, tra l’altro, non sono capoluoghi regionali o metropoli. E’ un primato piuttosto importante e glorificante. A onor del vero, la località sede del club neroverde si trova in Provincia di Modena. E’ situata, infatti, appena oltre il Secchia. Si tratta del fiume che separa i due territori, ma poco cambia. I tifosi granata non amano la compagine della Famiglia Squinzi. La rivalità è sorta proprio a causa dell’arena. I supporter della Regia si sono sentiti estirpati della loro dimora. Non attirerò certamente l’amore di questo popolo, ma occorre ammettere che i “cugini” hanno solo agevolato la vicina Reggio. Lo stadio è stato rimodernato. E’ divenuto un gioiellino che recentemente ha ospitato l’Europa League, una finale di Champions femminile, le finali del Torneo Primavera e alcune gare dell’ultimo Europeo Under 21 oltre a un impegno della Nazionale Maggiore. Tanta roba. E’ un impianto di proprietà. Nel Belpaese una simile prerogativa è vantata soltanto a Torino, sponda bianconera, Udine, Bergamo e Frosinone. Occorre, poi, ricordare il benessere che la serie A ha garantito alla Città Emiliana portando tifosi provenienti da ogni parte d’Italia. L’esempio più banale è quello di un Centro Commerciale che si trova proprio nei pressi dell’impianto e che, durante i match del Sassuolo, si riempie di persone. Gioiscono gli esercenti che vi svolgono la loro attività.
Sono lieto, quindi, di annunciarvi che Reggio Emilia è pronta a fare il suo ingresso nel grande calcio con la speranza che vi rimanga il più a lungo possibile.