Il popolo non è razzista, non lo è mai stato. Qualunque popolo, compreso quello che riempie gli stadi.

Il razzismo è stato ed è il virus nefasto che infetta le classi dirigenti, delle élite, che per secoli lo hanno praticato con modalità che più ciniche e cruenti non si potrebbero immaginare, nella incrollabile convinzione per di più di essere nel giusto, e poggiandosi su teorie oggi valutate come demenziali eppure a suo tempo avallate da buona parte del mondo scientifico.

Il quale per molti versi ne è stato il mandante più consapevole e tragico, unitamente alla insaziabile brama capitalistica, e a certe ambigue interpretazioni teologiche connesse all'antico testamento.

In nome del razzismo sono stati depredati territori e ridotte al ceppo schiavistico intere popolazioni. Praticamente fino all'altro ieri. Altro che qualche buu.
Parte del popolo che affolla gli stadi, è verissimo, non brilla per raffinate pratiche linguistiche tra le quali sono compresi anche insulti che sono certamente di stampo razzista. Piuttosto rari, in effetti, almeno per quanto riguarda quelli più espliciti e considerando la loro risibile percentuale rispetto alla totalità degli spalti.

Ma sottolineo questo punto: essi sono di stampo razzista, cioè utilizzano gli stilemi del razzismo, ma a mio parere senza davvero che ad essi ne corrisponda il relativo sentimento.

Tutto ciò non rende meno odiosi gli odiosi appellativi riservati ai calciatori di colore, ed essi debbono senz'altro venir stigmatizzati in un complessivo sforzo educativo volto a renderci tutti quanti più civili.
Ma celati dietro tali insulti, e questo deve essere considerata come un'importante rassicurazione, non ci sono - secondo me - autentici sentimenti razzisti, tali cioè che ove fossero essi lasciati alla loro inerzia naturale e incontrastata, rischierebbero di sfociare in chissà quali crudeli manifestazioni d'odio e violenza.

E' infatti esperienza quotidiana nel mondo del calcio, l'amore dei tifosi per i calciatori (anche) di colore che giocano per la propria squadra, un amore manifestato da quegli stessi tifosi che puntualmente alla partita successiva non si faranno scrupoli ad ululare contro i calciatori di colore avversari, ma non voglio limitarmi a questa che è la più ovvia delle considerazioni e che pure un suo valore dimostrativo ce l'ha eccome.

A mio modesto modo di vedere, la chiave più adeguata per la corretta interpretazione di tutto questo fenomeno, la si può trovare soltanto in prossimità della sua radice più profonda, che è secondo me la seguente: le manifestazioni razziste del popolo (al quale io stesso appartengo) hanno un carattere eminentemente auto difensivo, laddove esse invece risultano di carattere indiscutibilmente aggressivo (e consapevole) per quanto attiene a tutto ciò che popolo non lo è.

Il popolo è per sua natura accogliente, non foss'altro perché più facilmente che ad altri ad esso viene spontaneo di proiettare la propria stessa condizione di marginalità su quell'altra marginalità che non può non essere chi sia straniero oppure diverso.

Ma unitamente a questo dato ampiamente positivo e che ricorre incessantemente lungo tutti i secoli della storia, ne esiste un altro di segno del tutto opposto e alquanto grave: il popolo ha accettato di trovarsi al penultimo gradino della scala sociale, non può invece tollerare di venire segregato a quello ultimo.

Si tratta di un passaggio inaccettabile per qualunque essere umano che si pensi e si senta quasi al fondo di una qualunque gerarchia, alla cui estrema base deve a tutti i costi venir schiacciato qualcun altro oppure qualcos'altro, che non sia in grado di opporre eccessiva resistenza: per esempio l'animale domestico o i figli più piccoli oppure la donna della casa oppure per l'appunto l'avversario di colore che con i suoi provocatori festeggiamenti successivi alla realizzazione di un goal, appaia tanto realizzato e soddisfatto di sé, al contrario di chi gli fischia contro.

E' la psicologia degli esseri umani, siamo fatti in questo modo, specie finchè uno non riesca a rendersene conto e con rinnovata consapevolezza non raggiunga l'emancipazione da questa natura tanto meschina.

La responsabilità delle classi dirigenti è pertanto duplice: è quella di aver praticato il razzismo ben al di là delle scorrettezze linguistiche delle curve; ed è quella di non riuscire a svincolarsi da una visione della società che non sia organizzata a forma piramidale, così che fino a che esisterà un'estrema base di ultimi o che tali continuino a sentirsi, non potranno non esistere l'angoscia e l'astio che quasi inevitabilmente ne conseguono.

Contro il quale nessuno sforzo pedagogico, c'è da temere, riuscirà a risultare vincitore.


Dialm Formurder