Il razzismo negli stadi è all'ordine del giorno. Anche nella partita meno influente ai fini della classifica, anche nei match meno coinvolgenti, c'è sempre il pirla di turno che ha bisogno di sfogare la propria frustrazione quotidiana incitando all'odio razziale.

E con questo non intendo i famosi "Buh razzisti", di difficile interpretazione e spesso fraintendibili, ma i cori veri e propri e i gesti inequivocabili. Il famoso coro che da ai Napoletani dei "colerosi e terremotati" per esempio, intonato anche dal nostro eccelso ministro Salvini; il lancio della banana a Dani Alves quando giocava nel Barcellona. Insomma, gli episodi di razzismo negli stadi sono sempre più frequenti, e non solo in Italia. 

Ma cosa fare quando si presentano questi episodi?
Trovo che sia giusto interrompere il match, sensibilizzare il pubblico, far capire che ci sono delle conseguenze. Perché il coro razzista non è un sano sfottò sportivo, non porta a nulla se non a far innervosire i giocatori e gli stessi spettatori.
E che senso ha far proseguire una partita che procede su questi binari?

Il calcio dovrebbe essere uno spettacolo, sport, intrattenimento e passione, e non lo sfogo domenicale di quattro scemi.