Che sia per semplice ironia della sorte, o per dei meccanismi naturali ancora sconosciuti alla scienza, capita sempe così. Dovunque ci sia un barlume di genio, coesiste sempre una vera e propria tempesta di sregolatezza.  Come già si sarà compreso leggendo il titolo, il protagonista - o forse sarebbe più corretto dire la vittima - di questo mio articolo è sua leggiadra eminenza dei procuratori, Mino Raiola
Partiamo dal genio. 

Mino Raiola, all’anagrafe Carmine Raiola, nato e vissuto inizialmente tra Nocera Inferiore e Haarlem, in Olanda,  è senza dubbio il procuratore di calcio più famoso, da quando la sua categoria è stata inventata. Spudorato, intuitivo, sfacciato, fenomenale, Raiola è tutto e il contrario di tutto. Nel suo parco giocatori, i suoi assistiti, l’italo-olandese ha avuto alcuni tra i più importanti e talentosi giocatori degli ultimi vent’anni, avvicinabile solo ed esclusivamente da quello del lusitano tout-court Mendes. Le sue capacità di scovare giovani talenti, e convincerli a entrare a far parte della sua collezione, è indubbia. Altrettanto indubbio è la sua grande efficacia nel riuscire a strappare contratti milionari per i suoi assistiti nonché, non meno importante, cospicue provvigioni per sé stesso. Dall’aver portato Frankie Rijkaard dal Lisbona al Milan, all’aver messo in piedi l’operazione monstre che ha portato al ritorno di Paul Pogba dalla Juve al Manchester United, ci vorrebbero ore per poter elencare tutte le sue imprese.  Forse senza di lui, anche se non ne abbiamo la certezza, è possibile che molti dei principali giocatori del calcio moderno non sarebbero nemmeno stati notati. Quello del calcio infatti è un territorio dove è necessaria la presenza di madame Fortuna, al di là di potenzialità e talento, per poter andare avanti. E, molto spesso, Mino Raiola ne è stato l’incarnazione. Basti pensare a quando tal Zlatan Ibrahimovic, accompagnato dal suo amico Maxwell al tempo assistito proprio da Raiola, si presentò nella pizzeria di quest’ultimo per chiedere la possibilità di essere seguito. Chissà cosa sarebbe successo se, magari consigliato diversamente, Ibra fosse capitato da un’altra parte. Magari sarebbe divenuto lo stesso il campione che è che è stato. Magari, invece, in un universo alternativo avrebbe finito la carriera in un campionato poco appetibile come quello svedese. Strane sfaccettature del caso. 
Sì, Mino Raiola ha indubbio talento, anche se accompagnato dalla giusta dose di fortuna. E questo, che piaccia o meno, è un fatto. Sarà anche per questo che, al di là di una sua fantomatica antipatia, numerosi club si spendono sempre, o comunque spesso, per accontentare le sue richieste esagerate. Perché quando ti porta qualcuno, la possibilità che costui possa diventare veramente un fuoriclasse, o comunque uno dei giocatori più desiderati dell’epoca. Dall’altra parte, Mino Raiola è la fortuna dei suoi stessi assistiti. Quando lui si muove, di certo non lo fa per contrattare, ma per portare a casa quello che vuole. Se lui ti promette di giocare in un campionato importante, stai pur sicuro che ciò avverrà, presto o tardi. Se lui ti assicura di più, avrai di più. Ciò nonostante, non è tutto oro quello che luccica.
E veniamo così alla sregolatezza

Mi sbaglierò, ma credo che non ci sia procuratore, almeno tra i più famosi, che abbia rovinato, o almeno potenzialmente rischiato di rovinare, veri e propri gioielli del calcio mondiale, come ha fatto Mino Raiola. Quando attira su di sé antipatie e asti di squadre e tifosi, quando magari chiede ingaggi ultra-stellari anche quando non sarebbe il caso, Mino dice di fare semplicemente il bene del proprio assistito. Il bene economico è indubbio, ma per quanto riguarda il bene generale dell’atleta, si potrebbe dire la stessa cosa? Io non credo.  Prima della mia vita da consulente economico, ho studiato un po’ di psicologia e pedagogia. Per deformazione, o forse per semplice indole, sono sempre stato un gestaltista. Ve la faccio breve: valuto più importante il funzionamento del contesto, rispetto al singolo dettaglio.  Essendo una persona, ogni atleta è un insieme di cose: emozioni, pensieri, speranze, ambizioni, patrimoni. Tutte componenti che si influenzano l’una con l’altra e che, se non tengono conto di questo loro profondo legame, rischiano di creare dei profondi squilibri.  Dicendo ciò, quando Mino Raiola giunge a creare grandi pressioni alle squadre dei suoi assistiti, generando al contempo delle atmosfere a dir poco elettriche, sta tenendo conto del fatto che ciò possa effettivamente ledere l’assistito stesso? Il caso attuale legato a Gigio Donnarumma ne è un palese esempio. Lasciando da parte le voci sul fatto che Donnarumma voglia rimanere al Milan, di questo non possiamo avere certezza, il clima che Raiola gli ha creato in questo momento - con sua complicità o negligenza, s’intende - è possibile che stia potenzialmente segnando in negativo la sua carriera? Prendiamo per un secondo Gigio Donnarumma come persona. Giovane, appena 22 anni; apparentemente timido, al di là di qualche urlaccio lanciato in partita; schivo, tende a non dire mai ciò che pensa veramente; ancora in piena formazione. Caratteristiche che, unite al fatto di essere stato sempre al Milan, gli hanno creato attorno un'aura d'intoccabile. Dove le sue prodezze tra i pali non arrivano, e ciò capita di rado, il suo essere così ha portato spesso tutti, società, calciatori e tifosi, a trattarlo con i guanti di velluto. In breve, a proteggerlo e salvaguardarlo. Cosa che, a mio avviso, gli ha permesso di crescere nella tranquillità.  Ora, cosa accadrebbe se, domani mattina, Donnarumma fosse ceduto a un'altra squadra da svincolato, ovvero a zero e generando un danno economico d'immagine alla squadra che l'ha cresciuto, e dopo aver rifiutato non una, non due, ma ben tre proposte di rinnovo? Credo che la risposta sia semplice. 

Simili situazioni possono tramutare metaforicamente un cucciolo di panda, in un bersaglio mobile con scritto in testa Spara! Dicendo ciò, torno a fare la domanda di poco prima: facendo ciò, Mino Raiola sta veramente facendo il bene del proprio assistito? Al di là dei tifosi milanisti, prime vittime di un addio a zero di Donnarumma, di certo sarebbero ben pochi a giudicare come giusta, o quantomeno priva di brutture, una simile operazione. Il che vorrebbe dire prendere un personaggio che per anni ha goduto di un trattamento, giustamente, di favore anche nei periodi bui, e gettarlo nel fuoco imperituro della Gheenna. Da quel momento, ogni sua azione, ogni sua parata, ogni suo errore verrebbero soppesati con i calibri degli allibratori di Bangkok, noti per essere i più precisi e spocchiosi al mondo. Ma, soprattutto, la sua immagine di ragazzo acqua e sapone dalle doti eccezionali, farebbe a cambio con quella del mercenario. Attenzione, lo ribadisco: la sua, non quella di Raiola.  
Per carità, il calcio moderno è un mondo di mercenari, nessuno vuole fare il santo all’inferno. Di bandiere non se ne vedono più. Sarà forse per questo che, mai come gli ultimi vent’anni, abbiamo visto giocatori talentuosi perdersi in un bicchiere di melassa marcita. Troppa pressione, immagine sempre sotto attacco, capacità e risultati strettamente legati allo stipendio. Se prendi quelle cifre, le tue gesta non straordinarie, devono essere la norma. Ma, così facendo, il rischio di fallimento e di rovina è aumentato radicalmente. E, dietro al fallimento sportivo, spesso si nasconde il suo fratello gemello, quello cattivo, ovvero il fallimento totale. Pensare infatti che basti un anno di contratto a sei zeri per mettere economicamente a posto una persona, è puro mito. Solitamente sono i milionari a finire in mutande, e in modi molto più distruttivi di noi poveri Cristi. Sarà un caso che, secondo i neuroscienziati di tutto il mondo, la soglia della felicità economica si trova intorno ai 100.000 € l’anno. Oltre si appiattisce, mentre aumentano esponenzialmente la loro ripidità quelle dell’angoscia e dello spaesamento. 

Tralasciando questa storia di Donnarumma, che sinceramente mi ha stancato da tempo essendo milanista, non posso definirmi un fan di Mr. Raiola. Per quanto ne rispetti la grande competenza, mi disgustano le metodiche. Il calcio di oggi non è infatti solo rovinato da ambizioni smodate e spese pazze di società, ma anche dal fatto che il lato umano dei giocatori viene sempre meno curato e protetto.
Forse, prima di fare regolamenti e norme anti-superlega, bisognerebbe invece limitare il potere di questi personaggi che, al di là di ingrassare i portafogli dei loro assistiti, dovrebbero prima di tutto proteggerli, in particolare da giovani. 
Lo so, non succederà mai al netto di rivoluzioni e apocalissi inaspettate, ma è comunque importarlo sottolinearlo secondo me. Sarà che sto invecchiando anche io… 

Un abbraccio.
Igor