Sono un estimatore del calcio portoghese, da sempre “contaminato” da quello brasiliano, non solo per la lingua in comune ma anche e soprattutto per la presenza in ogni squadra lusitana di giocatori carioca e dello stile di gioco nato a Rio de Janeiro sulle spiagge di Copacabana, poi trasferito sui campi della verde e alta erba dello stadio Maracanà.

In Brasile l’erba dei campi da calcio è storicamente leggermente più alta rispetto a quella europea perché la palla deve viaggiare piano, come poco veloci devono essere le corse dei giocatori, tutto deve essere rallentato per godere al meglio i gesti tecnici unici, quasi assomiglianti al samba. Danzare sul pallone, renderlo una metafora della gioia di vivere è il fine ultimo di ogni jogador de futebol.

I tanti giocatori brasiliani passati per Oporto e per Lisbona hanno portato la loro cultura calcistica facendola nel tempo diventare di fatto anche portoghese: l’assenza del centroavanti come finalizzatore, come uomo da 30 goal all’anno, terzini incapaci di difendere ma capaci di attaccare come ali, centromediano metodista lentissimo, con un piede educatissimo e velocità di pensiero e visione di gioco geniali.
Si è sempre detto: “se le squadre portoghesi tirassero in porta… se il Brasile dell’'82 avesse avuto un centroattacco…”.

Da un decennio gli esperti di football sostengono che Guardiola ha inventato un nuovo modo di giocare al pallone, lo hanno denominato Tiki Taka. Palla in orizzontale, vertice basso del centrocampo lento e ragionatore, difensori esterni che giocano altissimi, il falso nueve
Signori, i brasiliani e i portoghesi il Tiki Taka lo fanno da secoli!
Martedì sera ho guardato Benfica-Juventus, volevo accertarmi che quello che insisto a dire da mesi corrisponde ad una possibile verità: il calcio portoghese vale quello italiano, un Paese di circa 10 milioni di abitanti vale calcisticamente il nostro che conta ormai più di 60 milioni di persone residenti.
Certo, i bianconeri di Torino di questo periodo non fanno molto testo, si sono così impoveriti tecnicamente e caratterialmente che probabilmente non valgono neanche i primi posti del campionato israeliano, ma ho avuto conferma che il Benfica, insieme a Porto e a Sporting Lisbona, gioca un calcio moderno, veloce, tecnico, verticale, fatto di cambi di ritmo, di uno contro uno, di ricerca costante della porta avversaria, di dribbling non fine a se stessi, ma finalizzati a creare superiorità numerica, cosa fondamentale per scardinare difese chiuse, organizzate, difficili da penetrare.
Poi servono i fuoriclasse, quelli che aveva il Barcellona di Pep, servono i Messi, gli Xavi e gli Iniesta, servono i Rafa Silva, e il Benfica Rafa Silva ce l’ha.
Rafa Silva, per chi non lo conoscesse, è un trequartista portoghese di 29 anni alto 170 centimetri che pesa 65 chilogrammi, con una velocità, un cambio di passo, una tecnica, un dribbling da top player. Avesse continuità per 50 partite all’anno e facesse 40 goal a stagione avrebbe già vinto probabilmente un Pallone d’Oro.
Rafa Silva ha sempre giocato a casa sua, nella terra il cui primo re nel XII secolo fu Alfonso Henriques. Ha giocato nel Braga e nel Benfica, ma oggi, a mio parere, non sfigurerebbe nel Manchester City, nel Barcellona o nel Bayern Monaco.

Un Rafa Silva sarebbe utilissimo alla mia Inter, sarebbe quel giocatore che manca, quel dribblatore, quel fantasista in grado di sbloccare situazioni di staticità, di continui giro palla orizzontali, di continui retro passaggi al portiere.
Chiudo con un pensiero che vuole provare a dare una spiegazione al perché del declino del calcio italiano e all’ascesa di quello portoghese: forse ad Oporto, a Lisbona, e anche a Setubal casa del nostro adorato José Mourinho, si gioca ancora per strada e negli oratori, si lascia che i bambini, anche quelli piccoletti e magri si sbuccino le ginocchia tentando ripetuti dribbling e giocate magiche, cosa che a Milano, Roma, Napoli e Palermo non succede più.

Per gli umani alti, grossi, con i piedi sgraziati c’è il basket e la pallavolo, per quelli con gambe super muscolose c’è l’atletica, per quelli insensibili al dolore c’è la boxe, lasciamo il calcio a quelli che sono in grado di dribblare e farci sognare.
Viva Rafa Silva, viva il calcio portoghese.
P.S. Joao Mario non è così scarso come pensavamo.