Ben tornati al nuovo appuntamento di 'Racconti di storia vera', dopo un mese e mezzo dall'ultimo appuntamento, e molte difficoltà a trovare la disponibilità di chi potrebbe farci compagnia con i suoi racconti, ecco che dopo varie ricerche, e purtroppo alcuni che non se la sono sentita, per paura di dimenticare alcuni particolari, c'è chi invece con mente ancora fresca e precisa, ci racconta il suo passato, da ex campione degli anni 50, parliamo come sempre di un giocatore che avrà la sua privacy, ma non soltanto per tenere a debita distanza persone curiose che potrebbero snervarlo, ma soprattutto perchè, oramai persona di una certa età, si sta godendo appieno la sua seconda parte di vita al di fuori del calcio, anche se poi qualcosa c'entra ancora. Il nome di fantasia è Marioso, che però era il suo primo soprannome, quello dato dagli amici del suo quartiere, quando era bambino, quindi o chiameremo soltanto Marioso:

Ciao Marioso, in primis la mia domanda parte dal soprannome, a cosa si riferisce, e perchè?

Ciao 5 Maggio 2002, prima di tutto vorrei ringraziarti, di riportarmi a parlare di quel calcio che non c'è più, e poi di esserti ricordato di questo povero vecchietto, che oltre 60 anni fa calcava i campi da calcio. Il mio soprannome, anzi il mio primo soprannome risale all'età di 7 anni, non era altro che il connubio di mia mamma Maria e il finale del mio cognome, fù scelto da un mio cugino, che sapendo che ero molto attaccato a mia madre , un giorno mentre eravamo tra amici a giocare, mi presentò, con il nome di Marioso, questo poi me lo portai, e me lo porto tutt'ora tra le persone più strette della mia vecchia zona di nascita. Nasco a Roma nel 1930, in una zona poco distante dalla Stazione Termini, ero il quarto di quattro figli, l'ultimo. Fin da bambino, la mia unica passione era il calcio, si mi piaceva vedere i più grandi giocare in piazza, divertirsi e pensavo che un giorno anche io sarei arrivato a giocare con loro. La mia famiglia, era come per la maggiore, una famiglia normale, che viveva tra la normalità e la povertà, chi era ricco non abitava di certo nella mia zona, ma ben distante. I ricchi c'erano, si, ma facevano finta di non vederci, erano alto locati, quindi guai a vedere il figlio di un benestante in mezzo a tanta povertà. Ricordo che ero appassionato di calcio, ma non solo, mi piaceva leggere molto, ero un assiduo lettore dei libri che mio padre riportava a casa, e potevano parlare di tutto, da racconti per bambini, a politica, storia e quel che poteva contenere, la curiosità era la prima cosa che mi colpiva e mi portava a divorare quei libri, in giornate intere tra famiglia e parenti. Come detto, ero molto tranquillo come bambino, mi piaceva sia stare in compagnia, che solo, non faceva differenza, anzi, molte volte cercavo la solitudine più assoluta, e leggevo. All'età di 7 anni, vidi mio padre che ammucchiava la carta, la bagnava e la stendeva, su del cartone più duro, facendo la forma di un pallina, che pian piano, diventava sempre più tonda. Così dopo alcuni giorni, nel quale tornava da lavoro, muratore di professione, mi disse "Marioso, vieni che ti ho fatto una sorpresa", così corsi fuori di casa e mi disse "Questa è per te", così da dietro la schiena, tirò fuori una palla, anzi quella palla che aveva fatto diventare un pallone, era abbastanza pesante, ma l'aveva talmente costruita bene, che al contatto con il terreno non si sfaldava, anzi sembrava abbastanza resistente. Così, con la felicità nel cuore, presi questa palla e la cominciai a calciare, correvo e calciavo, certo non potevo tirarla addosso al muro, altrimenti si rompeva di sicuro. La gente mi guardava, e un giorno origliai quel che diceva "Povero ragazzo, appassionato di pallone, che corre dietro ad una palla di cartone". Così tornando a casa, con la palla di carta sotto braccio, non dissi nulla alla mia famiglia, che certamente ne avrebbe sofferto a sentir tali parole, ma anzi sorridevo e tenevo stretto quel pallone. Crescevo e la vita cominciò a cambiare, a 13 anni, entrai con mio padre a lavorare, muratore apprendista, mattonatore, mi stavo imparando a lavorare, mi piaceva, ma nella mia testa c'era altro, qul pallone di cuoio, che alla fine comprai con il mio primo guadagno. Così, dopo un anno a lavorare, una sera mi presentai, davanti ad un campo di pallone, e dissi all'entrata del cancello "Mi scusi Sor Padrone, mi piacerebbe giocare al calcio. Potrei venire ad allenarmi", questi voltandosi verso altre persone si fece una grassa risata, e  mi disse "Sei troppo esile, se ti danno un calcio, voli come uno zeppetto. Dai torna a casa che non è cosa". Quelle parole mi portarono nervoso e risposi "Mi dia una possibilità, e vedrà che non perde tempo". Il signore, a tale risposta restò colpito, alla fine mi disse determinate parole "Hai la faccia come il c..o, ti faccio un provino, stai sicuro. Ma non ti mettere nulla in testa, te lo dico subito". Così dopo aver contrallato gli allenamenti in che giorno si sarebbero effettuati, mi disse di tornare il Venerdì, così feci. 

"Iniziamo con la presentazione, lei è...", risposi con il soprannome "Marioso", mi guardarono come a pensare ad una presa in giro "Marioso! Ma che razza di nome è?", non era il mio nome, ma volevo che tutti mi chiamassero così, e così fù. Entrai in questa società in punta di piedi, era di provincia, non certo uno squadrone che giocava nei dintorni del Cupolone. Era una piccola squadra di quartiere, meglio iniziare da lì, visto che mi piaceva giocare a pallone, ma non potevo pretendere di più. Ricordo che, avevo coprato un paio di scarpe nere, un pantalone tagliato da mia madre a mò di pantaloncino bianco, e una maglia a maniche lunghe verde. Era il mese di Novembre, si battevano le brocchette (Era talmente freddo che per la maggiore si battevano i denti e non solo). Così dopo avermi detto "Ma non senti freddo, stai troppo leggero", io risposi "Non si proccupi allenatore, mi scaldo in campo". Devo dire che non mi sentivo proprio così sicuro, gli sguardi erano molto duri nei miei confronti, ma li evitavo, perchè sapevo che qualcuno non era felice di vedermi presente su quel campo. Tutto iniziò con una breve corsa, scatti e riscaldamento con il pallone, poi l'allenatore mi disse "Per la porta non sei adatto, se alto, ma troppo esile, per la difesa...uguale. Potresti giocare a centrocampo? Ma non credo potresti affrontare gli avversari, che ti butterebbero giù come nulla fosse, come terzino, no, come centrocampista esterno, no...Ho deciso, sarai un attaccante!". Così, cominciai a giocare attaccante, andava bene tutto pur di giocare. Ma se per giocare la palla era meglio un ruolo dietro, in quel che mi avevano assegnato, dovevo solo aspettare l'opportunità, di prendere palla e buttarla dentro. I mesi passarono, e inizia a giocare spesso, il mio fisico cominciava a strutturarsi, allenamento dopo allenamento, le spalle si rafforzarono, i piedi trovarono la precisione, e che dire del colpo di testa? Da brocco a campione. Passai ben due anni in quella società, avevo trovato la popolarità, ricordo che l'allenatore prima di ogni gara, mi ripeteva "Resta sempre dentro l'area", e io ad ogni palla che arrivava la trasformavo in rete, più di 50 ne feci, non mi sbaglio di certo, segnavo su un quadernetto, ogni rete che facevo ed eccola (Prese un quaderno al quanto stravecchio, ma ven curato), lo vedi l'ho segnato!". Un giorno dopo una estate passata ad aiutare mio padre al lavoro, quando tornai a casa, mi trovai il presidente che mi disse "Marioso, come ben saprai noi siamo molto grati a te...", io "Ma che mi state mandando via?", egli rispose "No, ti sono venuti a guardare, e ti vogliono comprare". Così, dopo aver parlato a lungo con il presidente mi rivelò che una squadra importante, anzi che dico, importantissima, era arrivata da lontano, con bel gruzzoletto. Era una squadra importantissima, una delle migliori del tempo, posso dire che aveva i colori scuri e chiari, ma vi lascio indovinare quale squadra era, vi lascio con questo dubbio, perchè così mi piace far pensare a chi leggerà questo articolo. Così, nel 1946, partendo da la Stazione Termini, che era nata in Via Gigliotti, da poco meno di 10 anni, salii in carrozza da solo, con mia mamma che mi ripeteva "Stai attento, non ti perdere. Quando arrivi, facci una chiamata". Già il telefono nella mia zona, non era quello di casa, ma quello del Bar, dove poi il cameriere veniva a casa a chiamare per far sapere della chiamata ricevuta. Ricordo che la tratta Roma-Milano era chiamata l'Ambrosiano, quello che copriva proprio quel percorso, sia in andata che al ritorno, poi scesi e combiai treno a Milano e salii su un altra carrozza, fino a destinazione. Una puzza in quei tempo, tutti fumavano e nei miei polmoni c'erà più tabacco che aria buona, poi che dire dei fumatori di pipa? Lasciamo stare. Così, arrivai a destinazione, tutto era nuovo, e ripensando alle parole di mia madre "Non perderti", sembrava tutto così scontato, ma ci mancava poco. Così dopo aver chiesto informazione, mi portarono nella giusta direzione. Ero arrivato, bastava bussare a quella porta e la mia carriera sarebbe volata. Bussai "Buongiorno c'è nessuno?", una voce roca mi rispose "Chi cerca?", io risposi "Sono Marioso, il calciatore". Così un signore minuto, più di me, mi disse "Ah, pensavo fosse qualcuno che aveva sbagliato. Dai venga, affretti il passo, che il presidente, l'attende da più di un'ora"... "Cavolo!", pensai, "Questo mi caccia prima di arrivare". Entrai in uno stanzone, maestoso e pieno di storia, poi una porta grande e..."Mi scusi presidente, è arrivato il ritardatario, posso farlo passare?". Una voce importante e autoriataria rispose "Prego, prego, il ritardo è pur sempre una dote. Erro?", "No, signor presidente, se lo dice lei..." rispose il portiere. Entrai e mi trovai davanti ad un signore, sembrava tranquillo, e mi accolse "Prego signor Marioso, l'attendevo", risposi impaurito "Buongiorno e scusi il ritardo", dopo una risata rispose "Non si preoccupi, ma per farsi perdonare dovrà segnare tanti gol. Facciamo si sdebiterebbe per l'accaduto", con un sorriso e con un dito che scostava il colletto della maglia dalla gola, risposi "Certo, farò del tutto per segnare". Così dopo avermi chiesto, il mio percorso nel calcio, e la mia vita romana, si alzò e mi disse "Ora devo lasciarla che il lavoro chiama, si accomodi n quella stanza, lì firmerà il suo contatto. E contento di giocare con la nostra squadra?", dopo aver sorriso, risposi "Certo Presidente, non vedo l'ora di giocare". Quel giorno l'ho stampato in testa. Beh, che dire? Giocare per una grande squadra, non è una cosa che capita tutti i giorni, e a tutti. Io mi sentivo fiero d'indossarla, era tutto così nuovo, ma non sentivo nessuna pressione, la mia maglia era stata fatta su misura, ero troppo esile al confronto degli altri, era attillata, e sembrava che avevo un fisico spettacolare, anche se poi ero poco più che 76 kg per 1,90, un fisico normale. Beh vedere così tanti campioni darmi del tu era strano, ma con il tempo mi abituai a dare del tu, a chi per la maggiore dovevo dare del lei. Passai quattro anni stupendi in quella società e mantenni la promessa fatta al presidente, dilazionata in più stagioni, ma ne feci tanti, oltre i 50. Poi la mia carriera, ebbe uno stop per un infortunio, che all'inizio sembrava lieve, ma che mi portò a non poter più rendere quanto reso fino a quel momento. Girai l'Italia, a destra e manca, ma non ebbi più picchi alti, ma medi. Quel quadrienni fù davvero uno sogno a cielo aperto e non posso dire altro che grazie al cielo, ho potuto indossare quella maglia che molti non hanno mai smesso di sognare.