Le metamorfosi nel calcio si sono manifestate sempre all'insegna di un'evoluzione che non sempre ha rispecchiato le attese degli amanti appassionati di questo gioco. Un'alternanza di proposizioni che si sono evolute a distanza di tempo come per rispettare fedelmente i corsi e ricorsi storici che il filosofo Gianbattista Vico ha sempre teorizzato come un infallibile paradigma storico a cui sottrarsi diventa tremendamente complicato.

Il calcio, questo magnifico sport che riesce sempre a coinvolgerci con gioia, con dolore, e con le immancabili delusioni, ci ruba il cuore e l'anima aiutandoci a sopportare la sofferenza nel constatare le nostre squadre quando disattendono puntualmente le nostre speranze.
Eppure ci vorrebbe poco per farci sempre felici, ma senza l'alternanza di questi sentimenti però il calcio non sarebbe più il calcio avvincente, che ci piace amare in ogni occasione e sempre!

Eppure il calcio così come vorremmo che fosse sempre, non è tanto simile a quello che in effetti ci offre la realtà. E' solo una questione di mentalità interpretativa, visto che le regole sono sempre le stesse da quando questo gioco esiste, rispettando nel contempo prerogative essenziali e di semplice natura, ma legate troppo al fattore economico, realtà purtroppo ormai imprescindibile.
Il calcio che sempre ci ha fatto innamorare ammirando i suoi interpreti più bravi di sempre come i Pele', Maradona, e oggi Messi e Ronaldo nel contesto di squadre costruite per vincere, soprattutto con l'apporto dei fuoriclasse che ingentiliscono le azioni di gioco, è il calcio che vorremmo sempre.

Col passare del tempo però, nel calcio nostrano sono proliferate diverse forme interpretative di gioco che hanno messo in contrasto le teorie e il modo di pensare dei tecnici e degli appassionati tifosi, tanto da addebitare gli insuccessi dei risultati alle scelte dei moduli interpretativi applicati.

E' importante puntualizzare che poco oltre la metà dell'ottocento, gli inglesi crearono una Federazione calcistica evidenziando regole di buona condotta in campo e di rispetto per gli avversari, inventando giustamente il fuorigioco allo scopo di tenere a distanza oltre una linea immaginaria del pallone i giocatori della squadra avversaria.
Le regole vennero poi mano a mano rifinite e più concretizzate, arrivando alla stesura definitiva dopo circa un ventennio. All'inizio del novecento fu fondata a Parigi la FIFA a cui fecero parte diverse nazioni europee che ne condivisero le regole e i principi costitutivi.

Da allora potremmo dire che il calcio fece presa in modo serio e impegnativo sia in Europa che nel mondo. Nacquero nel giro di pochissimi anni tutte le federazioni europee più importanti che votarono in seguito, concordemente, l'iniziativa del presidente Jules Rimet: l'istituzione del campionato mondiale per nazioni e comunemente detto “coppa Rimet”.

L'iniziativa si prefisse lo scopo di assegnare definitivamente questo trofeo, solamente a seguito della terza conquista del Titolo. Si decise di disputarlo ogni quattro anni e così fu, iniziando con la prima edizione in Uruguay in occasione del centenario dell'indipendenza di quel paese. A Montevideo si disputò dunque la prima edizione che vide vincitori i giocatori Uruguagi di casa.

La seconda edizione del mondiale venne affidata all'Italia che conquistò il titolo con grande merito, ribadito pure nell'edizione successiva del 1938 in Francia.
La seconda guerra mondiale non permise purtroppo la realizzazione del torneo nel 1942 e nel 1946.
Ma dopo il funesto evento bellico, riorganizzando il consiglio federale della Fifa, fu ripresa l'attività agonistica in tutte le nazioni Europee e mondiali. Si ricominciò assegnando al Brasile l'onore e l'onere di organizzare il mondiale nel 1950. L'Italia vi partecipò come nazione detentrice del titolo, ma organizzò il viaggio in nave, rifiutando di affrontare la trasferta in aereo, poichè 12 mesi prima la nostra nazionale fu orfana di quel grande Torino, nella tragedia di Superga, che con ogni probabilità avrebbe vinto il terzo titolo mondiale, e si sarebbe quindi aggiudicato il trofeo Jules Rimet in modo definitivo. Purtroppo però il destino non permise che ciò si potesse realizzare. Gli azzurri persero la partita di esordio contro la Svezia del famoso trio Gre-No-li per 3 – 2 e pertanto furono eliminati dalla competizione. La “Coppa Rimet” fu successivamente assegnata al Brasile del grande Pelè che, dopo aver vinto i mondiali del 1958 e del 1962 vinse pure per la terza volta nel 1970 e guarda caso proprio in finale con l'Italia.

La nostra nazionale di calcio seguì alterne vicende che evidenziarono in passato l'ingrato ruolo di “catenacciari” titolo acquisito in un ventennio di esibizioni, evidenziandone i moduli difensivistici messi in atto dal nostro calcio di allora, ma che comunque fruttò titoli esaltanti alle nostre due squadre milanesi, sia in ambito Europeo che in quello mondiale. Un modulo quello del catenaccio che si preoccupava di focalizzare tutto il nostro gioco prestando particolare attenzione alla fase difensiva, ma creando rapidi contropiedi tesi a superare gran parte del campo impostando il gioco con lanci lunghi e precisi. Infatti per sfruttare questa prerogativa la manovra d'attacco venne sempre affidata a corridori dotati di ottima tecnica di gioco, schierati soprattutto nelle zone delle fasce laterali del campo di gioco.

Tutto sommato, il “catenaccio” pur fortemente criticato, non apparì così deleterio da essere demonizzato esageratamente come invece avvenne all'estero nei nostri confronti. Fu un tipo di gioco la cui scelta richiedeva il suffragio di giocatori dotati di particolare tecnica di gioco adatta per i contropiedi veloci. Fino a quando proliferarono i talenti necessariamente indispensabili per questo tipo di gioco tutto volse a favore di quel modulo, ma poi quando cessarono i talenti, quel tipo di modulo naufragò miseramente nelle più dolorose eliminazioni in campo europeo.

La rivoluzione del vituperato gioco all'italiana avvenne con l'avvento dell'era Sacchiana che esaltò il calcio totale praticato dalla scuola olandese anni prima. Il modulo trovò facile attecchimento in ambito Milan soprattutto perchè facilitato dalla presenza di grandi campioni come il trio Olandese Gullit, Van Basten, Rijkaard e altri campioni come Donadoni, Evani, Baresi, Tassotti, Maldini, Filippo Galli, Costacurta, e altri campioni. Il modulo Sacchi prevedeva una squadra corta fra i reparti di gioco e un baricentro molto alto, tanto da mettere in continuo fuorigioco le iniziative d'attacco della squadra avversaria. Il fatto di tenere la linea di difesa molto alta comportava grossi rischi per gli inserimenti improvvisi degli attaccanti avversari, i quali una volta saltata la linea difensiva si trovavano di conseguenza in assoluta e solitaria condizione di realizzare il goal. Ecco perchè con difensori di gran tecnica, ciò diventava per gli attaccanti della squadra avversaria molto difficile da realizzare, ma senza una copertura adeguata, la tecnica del fuorigioco si trasformava in un autentico suicidio rendendo vano il modulo a zona applicato.

Il nostro calcio di serie A dunque, ha subito varie trasformazioni nel tempo, ricordiamo la difesa con la marcatura stretta a uomo e con il libero schierato dietro ai difensori come ultimo baluardo a difesa del proprio portiere. Il periodo in cui si adottò questo modo di giocare ci fece ammirare tanti liberi di gran classe che ci invidiarono in tutto il mondo. Ricordo il grande e compianto Picchi dell'Inter di Herrera, Salvadore del Milan, Cera del Cagliari, ma su tutti si distinsero in maniera esemplare il compianto Scirea, grande libero della Juventus e della Nazionale mondiale del 1982 e successivamente Baresi grande libero del Milan di Sacchi e della nazionale. Ovviamente per questo ruolo bisognava schierare giocatori dotati di grande acume calcistico e con una tecnica di gioco sopraffina poiché molto spesso questo tipo di giocatore era chiamato a costruire il gioco impostando l'azione dalle retrovie e proseguendola poi nella zona di centrocampo.

Scirea rispetto a Baresi era più portato per costruire il gioco, sganciandosi spesso dalle retrovie e impostando l'azione per i compagni del centrocampo, magari effettuando spesso dei lanci in profondità di grande precisione per i suoi compagni. Il milanista invece, passato dalle giovanili alla squadra maggiore, prima fu schierato inizialmente col numero 8 mezzala di centrocampo, ma pochissimo tempo dopo assunse il ruolo di libero con i risultati che tutti noi conosciamo.

Mi piace in questo frangente ricordare 2 grandi liberi del calcio Europeo del passato che hanno deliziato le platee mondiali esaltando un ruolo che allora fu considerato senza dubbio il più difficile da interpretare nei campi di gioco. Essi sono Beckenbauer grande libero del Bayern di Monaco, un giocatore tra i più ammirati negli anni '70. Vinse tutto, Campionati tedeschi, Coppe dei Campioni, Coppe Intercontinentali e il titolo mondiale con la Germania nel 1974 in finale contro quella straordinaria Olanda del calcio totale in cui allora era schierato nello stesso ruolo di libero il grande giocatore dell'Ajax Ruud Krol. Il giocatore olandese passato poi al Napoli, portò il gioco totale olandese nella compagine partenopea e diffondendolo nel nostro campionato.

Di questi due giocatori, alfieri delle loro nazionali, si potrebbero riempire pagine di elogi, ma per meglio rendere idea di quanto essi hanno dato all'evoluzione del gioco del calcio nel mondo dirò semplicemente che la classe e l'eleganza abbinata alla tecnica di gioco sopraffina non basterebbero a definire i medesimi come dei “grandi maestri del gioco del calcio”.

Una giusta dimensione della loro grande presenza in campo fu definita dai rispettivi appellativi loro assegnati come dei marchi indelebili:

Beckenbauer, fu sempre e per tutti denominato il Kaiser Franz”, l'imperatore del calcio tedesco.

Ruud Krol, fu denominato da Bruno Pizzul “Sua Maestà Krol”, monarca olandese insuperabile della regia difensiva e del centrocampo.

E come “Historia docet”, ricordare questi due campioni che hanno onorato il calcio, assieme ai nostri difensori menzionati prima significa, riflettendoci bene, che il difensivismo può subire la metamorfosi del pensiero e dell'azione, la filosofia del difensivismo che si evolve in “motus” per attaccare e per creare azioni da goal. L'espressione più nobile dell'interpretazione calcistica di intendere il gioco del calcio in un semplice modo: realizzare dei goal per vincere e non invece evitare di farseli fare per non perdere... Questione di mentalità...

Questione di forma mentis...

 

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