Riposti nel libro dei ricordi i fischietti di Firenze, l’autogol di Venuti e una vittoria in trasferta che apre le porte della finale di Coppa Italia, la Juventus torna a concentrarsi sul campionato e sulla corsa al quarto posto. Dopo la sconfitta di sabato dell’Atalanta a Roma, contro la formazione di Mourinho, i bianconeri sono adesso i favoriti per raggiungere l’ultimo piazzamento utile per accedere alla prossima Champions League. Allo Stadium, per una sfida sulla carta alla portata ma che riveste un’importanza cruciale per il prosieguo della stagione, arriva lo Spezia di Thiago Motta. 

Continua, nella rosa di Allegri, lo stato di emergenza causato dai numerosi infortuni che limitano le possibilità di scelta del tecnico. Rientra Rugani ma si ferma di nuovo Bonucci. Torna Bernardeschi ma si blocca De Sciglio. Uno entra, uno esce, mentre resta ancora fuori Dybala. Difficile non ricercare nella preparazione atletica le ragioni dei continui problemi muscolari che colpiscono i giocatori bianconeri. Le scelte di Allegri, obbligate e quindi facilmente prevedibili, vengono svelate con il consueto anticipo sul fischio d’inizio. Presentata dai vari canali di informazione con un 433, la Juventus scende in campo schierando Szczesny tra i pali; Danilo, De Ligt, Rugani e Pellegrini nella linea di difesa; a centrocampo, la regia viene di nuovo affidata ad Arthur, supportato ai lati da Locatelli e Rabiot, mentre in attacco, Cuadrado offrirà supporto alla coppia formata da Morata e Vlahovic.  La risposta di Thiago Motta è affidata al consueto 4231. Provedel; Ferrer, Erlic, Nikolaou, Reca; Maggiore, Bastoni; Gyasi, Agudelo, Verde; Manaj; sono gli uomini scelti dal tecnico dei liguri per cominciare la sfida. Confrontati gli schieramenti che si affronteranno sul terreno di gioco dello Stadium, risulta difficile, nonostante le assenze in casa bianconera, prendere in considerazione un pronostico differente da una comoda vittoria dei padroni di casa.

Fourneau, il cui sciagurato arbitraggio in un Crotone - Juventus della scorsa stagione evoca ancora sinistri ricordi ai tifosi bianconeri, guida le squadre in campo, accolte da una buona cornice di pubblico. Esaurite tutte le formalità del pre partita, il direttore di gara romano può fischiare il calcio d’inizio. La gara parte secondo il copione più atteso. La Juventus gestisce il pallone. Lo Spezia si difende. Bastano pochissimi minuti per comprendere come in campo non ci sia traccia del 433 proposto dalle grafiche. In fase difensiva la Juventus si sistema, come sempre, su due linee da 4. In possesso di palla invece la squadra di Allegri adotta un 352 nel quale i due esterni, Cuadrado e Pellegrini, partono larghissimi nel tentativo di sfruttare l’ampiezza del campo ed allentare le maglie serrate dei giocatori avversari. Torna alla mente il modulo “liquido” su cui Pirlo, nonostante le risposte sempre negative ricevute dal campo, aveva ostinatamente insistito nella scorsa stagione. Anche in questa occasione, i vari meccanismi di scalata nelle due transizioni, risultano un'inutile complicazione di cui non si riescono a comprendere i vantaggi.

Come spesso accade quando il pallone è prevalentemente tra i piedi dei giocatori di Allegri, la partita viaggia a ritmi piuttosto bassi. Con lo Spezia completamente raccolto a protezione della sua area e per niente intenzionato ad esporsi, la Juventus si esibisce in un lunghissimo palleggio che nelle intenzioni avrebbe l'obiettivo di aprire un varco tra le linee avversarie. Il primo quarto d’ora scorre via praticamente invano. I padroni di casa si presentano dalle parti di Provedel soltanto con un tiro di Morata, centrale e  agevolmente parato dal portiere dei liguri, e un’incursione di Cuadrado sulla destra conclusa da un destro di Arthur che non riesce ad abbattere il folto muro eretto da Thiago Motta a protezione della porta.

“Palleggiamo fino a quando non si apre un buco…” Il primo piano di Allegri, proposto dalla regia di Dazn, permette di cogliere in maniera nitida il suggerimento del tecnico alla squadra. Si tratta del classico invito a gestire la partita con calma, senza forzare e senza perdere la necessaria lucidità nelle scelte di passaggio. Il ritmo continua però ad essere troppo basso, l’intensità addirittura inesistente. Lo Spezia si difende con tutti gli effettivi. Erlic e Nikolaou stringono Vlahovic dentro una morsa dalla quale il centravanti fatica a liberarsi. Con Morata che cerca spazi allargandosi sulla sinistra, il serbo si ritrova a combattere una partita difficile, nella quale non riceve nessun pallone giocabile, isolato e costantemente rivolto spalle alla porta per cercare di offrire un punto di riferimento verticale ad un’azione che invece continua a scorrere lenta e in orizzontale. Non ci sono cambi di passo. Arthur si conferma per l’ennesima volta giocatore da passaggio corto. Non verticalizza, non ha spunti o intuizioni che possano cambiare l’inerzia dell’azione. Altro non sembra che un ulteriore e superfluo ingranaggio in un meccanismo già parecchio complesso.

Il buco cercato da Allegri si apre comunque poco dopo il ventesimo minuto. Provedel sbaglia il rinvio lungo. Rugani è bravo ad arrivare per primo sul pallone e a servire immediatamente Vlahovic in verticale. In superiorità numerica i bianconeri non sbagliano. Il serbo premia l’inserimento centrale di Locatelli che attira su di sé i due marcatori avversari e scarica il pallone per Morata, libero nella zona sinistra dell’area di rigore. Lo spagnolo, smarcato davanti alla porta, con l’interno del destro piazza il pallone alla spalle del portiere avversario. La Juventus passa in vantaggio. La parte più complicata della partita sembra sistemata. Lo Stadium esulta mentre Morata corre verso la panchina per celebrare la sua rete insieme con Perin.

Nonostante lo svantaggio lo Spezia non cambia la sua impostazione. La squadra di Thiago Motta rimane compatta a protezione dell’area di rigore. In avanti i liguri non si vedono praticamente mai. Non accennano nemmeno ad un tentativo di pressione sull’avvio della manovra juventina. I tre difensori bianconeri possono così muovere il pallone senza incontrare opposizione alcuna. La partita non sale mai di ritmo e interi spezzoni di gara trascorrono senza che sul prato accada nulla di rilevante. La Juventus non riesce a trovare la continuità di gioco necessaria per presentarsi in maniera insistente davanti a Provedel. Le pochissime occasioni di arrivare al tiro nascono da errori commessi dai nostri avversari oppure da iniziative individuali, come la ripartenza avviata da Cuadrado che porta lo stesso giocatore colombiano, dopo un triangolo veloce con Arthur, a concludere a rete da posizione molto favorevole. Il tiro è però lento, superficiale e arrogante. Privo della necessaria determinazione. Provedel è bravo a distendersi e deviare. Non si tratta purtroppo dell’unico errore commesso da Cuadrado nel corso di una partita caratterizzata da mille passaggi all’indietro e diversi cross e tiri sballati.

Senza recupero, sul punteggio di uno a zero, si conclude un primo tempo nel quale la Juventus ha avuto il pieno controllo del pallone. Un controllo però che è sembrato conseguenza più della scelta adottata dallo Spezia di impostare una partita quasi esclusivamente di contenimento, piuttosto che dalla necessità di imporre, sul campo di casa, una forza superiore. La Juventus si è limitata a gestire la palla, senza cercare con la necessaria convinzione un secondo gol che avrebbe indirizzato la partita in maniera forse definitiva. Considerando la capacità dello Spezia, già esibita in alcune importanti trasferte di questo campionato, di mantenere le partite in equilibrio quasi fino allo scadere per cercare poi il colpo risolutivo, il vantaggio minimo non può essere per nulla tranquillizzante.

Esaurito il quarto d’ora di riposo, senza novità nelle due formazioni, il secondo tempo ha inizio. Gli ospiti cercano fin da subito di cambiare la storia di una partita che fino a quel momento non aveva mai visto la squadra ligure arrivare dalle parti di Szczesny. Alzano il baricentro e cominciano a proporre un’immediata pressione sui portatori di palla bianconeri. La Juventus, probabilmente ancora assopita dopo un primo tempo soporifero, evidenzia subito notevoli difficoltà a gestire un avversario adesso decisamente più propositivo. La squadra di Thiago Motta ha subito l’occasione per pareggiare. Verde, con un colpo di tacco intelligente, libera al cross, sulla destra, Salva Ferrer. Al centro dell’area di rigore, Danilo, attirato da Manaj, perde la marcatura di Gyasi che di testa, da distanza ravvicinata, non riesce ad angolare la conclusione. Szczesny si fa trovare pronto alla parata. E’ l’avvio di una ripresa sconcertante per gli uomini di Allegri. La Juventus non riesce a costruire più nessuna occasione per segnare. Nemmeno sembra provarci. Una conclusione dal limite dell’area, tentata da Morata e ribattuta dalla difesa ligure, rappresenta l’intera produzione offensiva dei bianconeri nella prima mezz’ora del secondo tempo. La Juventus evidenzia grandi difficoltà nel proporre gioco anche contro una squadra modesta, alla quale è bastato semplicemente alzare la carica agonistica della sfida per mandare fuori giri gli avversari. Il centrocampo bianconero entra in sofferenza. Locatelli dopo un discreto primo tempo cala nettamente di rendimento con il passare dei minuti. Come da diverse partite a questa parte, non ha la condizione necessaria per reggere i novanta minuti. Rabiot alterna qualche buon recupero difensivo a giocate poco lucide nelle quali in più occasioni perde il pallone. Arthur continua ad essere un passaggio in più, orizzontale e preferibilmente all’indietro, nella manovra, quasi ininfluente in fase di non possesso palla. Servirebbero forze fresche in mezzo al campo ma in panchina c’è soltanto Miretti. Il tifoso davanti alla tv, pur riponendo grandi aspettative nel giovane prodotto del vivaio, è perfettamente consapevole che Allegri non si assumerà mai il rischio di far entrare un ragazzo inesperto in una partita che viaggia su un binario di pericoloso equilibrio. Si va avanti così.

Il tecnico prova comunque ad intervenire con una sostituzione. Toglie dal campo Pellegrini, protagonista dell’ennesima prestazione in cui ha trasmesso una forte sensazione di incertezza e instabilità. Al suo posto entra Bernardeschi. La Juventus abbandona, speriamo per sempre, il modulo “liquido” e cerca stabilità attraverso un più semplice 442. Cuadrado e Danilo diventano i terzini, Bernardeschi e Rabiot gli esterni di centrocampo. Definirli ali, nella concezione allegriana del gioco del calcio, sarebbe un’esagerazione. Il nuovo entrato impiega meno di cinque minuti per ricordare a tutti perchè, nel periodo in cui è stato indisponibile, quasi nessuno ne aveva avvertito la mancanza.

La Juventus sembra sulle gambe. Lo Spezia corre di più. Perfino una squadra modesta come questa si presenta allo Stadium e riesce a spaventare i tifosi che, ad un certo punto, temono seriamente di veder sfumare una vittoria fondamentale. Non accade il peggio perchè il livello tecnico degli uomini a disposizione di Thiago Motta è mediamente basso, ma per larghi tratti di partita la Juventus quasi non esce dall’area di rigore. Mancano dieci minuti al termine dell’incontro quando Szczesny in uscita bassa salva il risultato con un grande intervento su Agudelo, smarcato davanti al portiere polacco da un passaggio filtrante di Kovalenko, da poco subentrato al modesto Manaj. 

La sedia dove il tifoso segue la partita diventa ogni secondo sempre più scomoda. Il cronometro scorre lentissimo. Costanza, seduta su una più comoda poltrona al suo fianco, si innervosisce. Vorrebbe qualche passaggio in avanti. La Juventus invece torna sempre indietro. Lo Spezia non ha altre vere opportunità per pareggiare ma, tra calci d’angolo e una costante presenza nella trequarti campo bianconera, mantiene viva quella fastidiosa sensazione che potrebbe arrivare da un momento all’altro il gol del pareggio. Allegri, a ridosso del novantesimo, propone il secondo e ultimo cambio della sua partita. Entra Kean. A lasciargli il posto è Vlahovic, al quale, una volta a bordo campo, non basta ricevere i complimenti e il ringraziamento del tecnico per togliersi l’espressione cupa dipinta sul suo volto. Il centravanti a lungo inseguito e fortemente voluto dalla società, che per averlo si è esposta ad uno sforzo economico non indifferente, lascia il campo senza aver mai avuto la possibilità di calciare verso la porta. Zero conclusioni all’attivo per lui. E’ la prima volta che gli accade in questa stagione. Non è contento. La sua espressione sembra tradire la preoccupazione di chi inizia a rendersi conto cosa voglia dire giocare da centravanti in una squadra di Allegri. Corsa, fatica e sacrificio. Per il gol si arrangi come può.

La sfida scivola verso la conclusione. Morata da pochi passi non riesce a deviare nella porta sguarnita un cross teso di Cuadrado, arrivato al culmine di una delle rare buone iniziative proposte dal colombiano. Sul capovolgimento di fronte, Agudelo non inquadra la porta con un tiro scoccato dall’interno dell’area juventina. E’ l’ultima emozione della partita. Morata difende strenuamente l’ultimo pallone nella metà campo dei liguri. Scadono i tre minuti di recupero concessi. L’arbitro Fourneau fischia finalmente la fine. Arriva una vittoria importante per la Juventus, al termine però di una brutta prestazione, quasi sconcertante per la pochezza offensiva esibita dai bianconeri soprattutto nel secondo tempo. Una partita perfetta per il tifoso da cellulare oppure da televideo. Quello che controlla il risultato ogni tanto per poi, dopo il novantesimo, illuminare le varie pagine social con giudizi su un incontro che neppure ha visto. Per chi invece le partite della Juventus è abituato a guardarle tutte, dalla prima amichevole fino all’ultima gara stagionale, il secondo tempo è stato una lunga agonia, vissuta perennemente in bilico su una scomoda sedia nell’ideale tentativo aiutare la difesa a spazzare via ogni pallone che i nostri avversari riuscivano a mettere in area. La vittoria, seppur con il minimo scarto, è almeno una ricompensa per chi ha dovuto sopportare novanta minuti in pericoloso equilibrio anche contro un avversario di basso livello. Gli amici dei vari gruppi di whatsapp sfogano la tensione accumulata scambiando qualche messaggio subito dopo il triplice fischio di Fourneau. “Non si può soffrire in questo modo anche contro lo Spezia”, riassume a grandi linee il pensiero comune. 

Nella conferenza stampa dopo la partita, Allegri spiega le ragioni di una partita vinta ma nella quale la Juventus non ha mostrato quasi nulla che ricordasse, almeno vagamente, il gioco del calcio. Le parole del tecnico riescono a mandare di traverso la cena a chi le ascolta.
“Nel secondo tempo abbiamo subito perchè stanchi.”
La stanchezza sicuramente ha influito, anche se non si ricordano prestazioni ad alta intensità neppure con tutta la rosa a disposizione e inoltre, nella conferenza stampa della vigilia, lo stesso tecnico aveva dichiarato che la squadra stava bene, che i ragazzi sono giovani e forti e possono reggere benissimo partite a distanza di quattro o cinque giorni. Qualche alternativa in panchina comunque era a disposizione, ma per un allenatore come lui, che pretende di tenere sotto controllo ogni singolo frammento di un incontro, i giovani non sono utilizzabili. Troppo inesperti, senza i necessari passaggi nelle varie categorie. Meglio tenere in campo fino all’ultimo un Locatelli con le batterie completamente scariche o un Arthur che non riesce a proporre un passaggio superiore ai cinque metri, piuttosto che lanciare nella mischia i ragazzi. Perchè convocarli allora?

Più della stanchezza, la vera differenza tra i due tempi l’ha fatta però il piano di gara allestito da Thiago Motta, che ha preparato la partita esattamente nella maniera in cui poi si è svolta. Nel primo tempo ha evitato di concedere spazi alla manovra bianconera, preferendo aspettare a ridosso della sua area, ben consapevole che il ritmo da partita di calcetto del giovedì sera con cui la Juventus disegna le sue trame sul terreno di gioco, difficilmente avrebbe mandato la squadra in affanno. Il gol di Morata nasce da uno dei tanti errori in impostazione commessi da una formazione composta da elementi tecnicamente scarsi. L’unica azione da gol costruita dalla Juventus, in quarantacinque minuti di totale possesso del pallone, è quella poi vanificata da Cuadrado con una conclusione superficiale. Nella ripresa, lo Spezia ha iniziato a giocare. Perfino ad una squadra tanto modesta è bastato alzare leggermente il baricentro e la carica agonistica per mandare la Juventus in grande difficoltà. Soltanto il basso livello tecnico dei nostri avversari e la prontezza di Szczesny hanno evitato il disastro.
“La gente dimentica che negli anni passati abbiamo vinto tanto difendendo l’uno a zero”
Non lo dimentica nessuno, caro Mister. Impossibile dimenticare tutte quelle partite trascorse rinchiusi nella nostra area, in costante affanno, a difenderci anche contro avversarie sulla carta più deboli. Partite in cui siamo stati costretti a vedere il capitano della Juventus esultare come un forsennato per aver chiuso in angolo una pericolosa azione del Genoa, del Sassuolo, del Carpi o dell’Empoli di turno. Nessuno pretende di vincere ogni gara dominando. In una stagione capitano, in certi momenti, quelle partite inaspettatamente più complicate, nelle quali la squadra più forte evidenzia difficoltà magari inattese. Accadeva anche alla Juventus più forte che ho avuto la fortuna di vedere, quella del primo ciclo di Marcello Lippi. Anche quella squadra ogni tanto vinceva per uno a zero, magari non giocando bene. Si trattava però di episodi che rimanevano isolati all’interno di stagioni condotte con grande sicurezza e numeri realizzativi importanti. Vincere questo tipo di partite è anche un segno di forza, in determinate circostanze. Quello che non va bene è vedere costantemente prestazioni di questo genere. Una volta per gli infortuni, un’altra per i carichi di lavoro sostenuti per essere in forma a marzo (!), un’altra ancora perchè c’è un ciclo con tante partite ravvicinate da gestire. Non va bene che la Juventus non sia in grado di segnare più di un gol, che addirittura faccia fatica a tirare in porta più di due o tre volte. Non è accettabile che uno dei migliori prospetti europei lasci il campo, con il volto stravolto per il lavoro cui è stato costretto, senza che abbia avuto nemmeno un’occasione per cercare la via del gol. Morata non è un bomber, Kean è scarso, Dybala è sempre rotto. Quale scusa si troverà adesso per giustificare il nostro allenatore per il calo nel rendimento offensivo di Vlahovic dopo il suo passaggio in bianconero?

La Juventus ha vinto tanto nella sua storia. Ha vinto con Allegri, e questo non lo nega nessuno, ma ha vinto anche prima, molto prima che arrivasse Allegri. Non è accettabile che si cerchi di ridurre la storia della Juventus alle vittorie sofferte per uno a zero. Vittorie che una comunicazione vile e nemica, alimentata anche da dichiarazioni non sempre felici di alcuni componenti storici della squadra e del tecnico, vorrebbe raccontare come una costante del dna juventino. Non è così. La storia della Juventus non sono gli uno a zero sofferti, in casa, contro una delle peggiori formazioni mai viste in una Serie A che cola a picco. Il DNA della Juventus non è aver paura che un avversario modesto segni un gol perchè “poi noi prendiamo paura, non siamo il Real Madrid che ne fa sei” (infelicissima dichiarazione di Chiellini dopo uno Juventus - Sassuolo della stagione 2016/2017 e a proposito di Real Madrid, una partita come questo Juventus - Spezia sarebbe stata salutata dal Bernabeu con una “panolada” epocale, nonostante la vittoria). La storia della Juventus è fatta di campioni, di ottimi giocatori, di gregari e bandiere. E’ fatta di tante vittorie e di qualche cocente sconfitta. Ma è una storia secolare che sconfina nella leggenda. Una storia che è più grande di quello che un tecnico privo di idee e di coraggio pretende di raccontare.