Scansiamo gli equivoci: il calcio italiano ha dei problemi. Seri, strutturali, di contenuto. Un Paese che vive di notti magiche ha saltato per due edizioni consecutive la competizione più importante a livello planetario del mondo dello sport. Un Paese che per 12 anni, dall’Inter di Mourinho alla Roma… ancora di Mourinho, non ha portato un titolo internazionale a casa, evento mai accaduto negli oltre sessant’anni di competizioni UEFA. Un Paese che vede ancora pochi stadi di proprietà e che di contro, con cadenza settimanale o giù di lì, dibatte sull’abbattimento o meno dell’unico grande impianto che il mondo riconosce essere di respiro internazionale, il tempio profano dello sport più popolare del globo. Un Paese che non è stato lungimirante quando il suo campionato era leader incontrastato e meta dei più grandi calciatori di sempre, disposti a giocare anche in squadre non di prima fascia pur di appartenere al nostro torneo. Emblematico quanto accadde nella stagione 1992/93, in cui retrocessero Fiorentina e Brescia: nella prima giocava un certo Gabriel Omar Batistuta, nella seconda militava Gheorghe Hagi, che nei due anni precedenti faceva parte della rosa del Real Madrid e dopo la parentesi lombarda andò al Barcellona, il quale scelse, tra le due grandi di Spagna, di confrontarsi col miglior campionato esistente accettando di giocare in una squadra che all’epoca lottava per salvarsi. Insomma, un Paese che non è stato in grado di monetizzare quando doveva, che non riesce ancora oggi a capitalizzare i diritti televisivi e a tutelare e valorizzare adeguatamente i settori giovanili, che non riesce ad attrarre risorse dall’estero, che struttura una Coppa nazionale quanto più lontana dal concetto di attrattività e meritocrazia.

Insomma, che ci siano delle voragini da riparare, è fuori discussione, seppur vada ben compreso che un conto è la situazione Nazionale, un conto è la situazione dei club. E se la mancata qualificazione al torneo iridato è stata solo parzialmente mitigata dalla conquista dell’Europeo (sì, siamo i campioni continentali in carica), ciò che sta accadendo in questa stagione dal punto di vista delle squadre appartenenti alla nostra bistratta Serie A è semplicemente fantastico.

Dal punto di vista prettamente sportivo, l’Italia sta vivendo un’annata strepitosa.

E la cosa incredibile è che stiamo trattando questo avvenimento come fossimo miracolati, come se tutto ciò fosse frutto di chissà quale allineamento astrale degno della miglior notte di San Lorenzo. Invece, molto più semplicemente, potrebbe essere che le squadre italiane non siano così disastrate come qualcuno vuole far credere, considerando il nostro torneo

Negli anni passati, ci si lamentava del fatto che vi fosse una spaccatura enorme tra le grandi e le piccole, con una differenza abissale tra le prime 6-7 della classifica e tutte le altre. Quest’anno, fatta eccezione per il Napoli che merita un capitolo a parte, tutte le altre storiche big sono imbrigliate in una corsa europea affascinante e sicuramente non prevedibile. Questa è quella che tutti i detrattori degli ultimi anni invocavano a gran voce: competitività. È esattamente quello che si verifica in Premier League, sicuramente campionato all’avanguardia del nostro tempo e modello di business unico nella storia di questo fenomeno socio-sportivo, in cui società del calibro di Chelsea e Liverpool rischiano seriamente di restare fuori dall’Europa del prossimo anno. Solo che se accade Oltremanica allora si tratta di spettacolo e di show, mentre se capita alle nostre latitudini si parla di impoverimento e di collettivi che non riescono ad avere costanza e forza per distaccarsi dal resto della compagnia.

E lo dice un amante sfegatato del British Football.

Se parliamo di successi, poi, allora noteremo che quell’irrefrenabile voglia di parlar male del calcio italiano sa più di pretestuoso che di aderenza alla realtà. Dopo 9 anni di dominio della Juventus, nelle ultime tre stagioni si sono alternate Inter, Milan e appunto la compagine azzurra: 4 squadre diverse vincitrici negli ultimi 4 anni. La noia per lo strapotere di una società è sempre stato uno dei grandi capi d’accusa dello scarso appeal della Serie A nostrana, che aveva perso fascino proprio per la mancanza di alternative alla squadra principale di quel periodo, un po' come accaduto in Germania e in Francia. Se, però, in questi ultimi due Paesi il monopolio di Bayern Monaco e PSG è proseguito (a meno che Borussia Dortmund, Lens e Marsiglia non ci regalino un sussulto), da noi abbiamo avuto un’inversione di marcia che ha condotto appunto a vittorie così differenti e tutte pregevoli, in modi diversi. In Spagna, il duopolio storico è stato interrotto negli ultimi 19 anni solo due volte dall’Atletico Madrid. E la stessa osannata Inghilterra, che sicuramente deve essere lodata per il prodotto che offre, sta comunque vivendo un’era particolare, con il Manchester City che ha vinto 4 degli ultimi 5 titoli ed è favoritissima per vincerne un altro.

E veniamo al capitolo coppe europee.

Qualcuno, molto spesso, paragona impropriamente l’attuale campionato inglese alla nostra Serie A degli anni ’90. Accostamento che ha anche un suo fondamento, se osserviamo da una certa angolazione, ma se vogliamo stare strettamente ai numeri, ci accorgiamo che i fasti del campionato italiano sono irraggiungibili per chiunque. Dal 1988/89 al 1998/99, l’Italia ha registrato quanto segue: 4 Coppe dei Campioni/Champions League, 3 Coppe delle Coppe e 8 Coppe Uefa vinte (attenzione, non l’Europa League, ma la Coppa Uefa che fu), a cui vanno aggiunte altre 13 finali disputate e perse (5 in Coppa Campioni/Champions League, 2 in Coppa delle Coppe e 6 in Coppa Uefa). Molto spesso, soprattutto in Coppa Uefa, sono fioccati innumerevoli derby anche negli atti conclusivi della manifestazione, fino ad arrivare all’apoteosi della stagione 2002/03 che ha visto 3 squadre su 4 in semifinale di Champions League. Statistiche irraggiungibili per il campionato inglese, che dal 2010 in poi (che convenzionalmente viene individuata come fine del potere italiano in Europa) ha sicuramente vinto tanto (3 Champions League e 3 Europa League), ma mai quanto nello stesso lasso di tempo ha realizzato quel nostro torneo.

Che senso ha questo raffronto? Ha senso nella misura in cui si snocciolano i successi non supportati da fatti. Inoltre, appare inspiegabile che in caso di vittorie altrui si è pronti all’esaltazione e al riconoscimento del giusto valore, mentre quando il risultato prestigioso è ottenuto tra le mura domestiche vi sia una strana tendenza a sminuire il tutto.

Abbiamo avuto tre squadre ai quarti di finale di Champions League: nessuno come noi quest’anno. E non si venga a dire che è tutto merito del sorteggio: se il Napoli si è trovato lì, è perché ha vinto il suo girone sbaragliando la concorrenza di Liverpool e Ajax, travolgendo e imponendosi come compagine frizzante che in Italia conosciamo bene e che anche fuori hanno imparato ad apprezzare. Se l’Inter è approdata in semifinale, lo ha fatto superando un girone che la vedeva come già retrocessa in Europa League ed estromettendo la squadra che si laureerà campione di Spagna e che ha una delle migliori difese europee, il mitologico Barcellona, e battendo il decantato Benfica, nuova frontiera del bel gioco internazionale. Se il Milan si trova tra le prime quattro, è perché ha vinto il confronto con il Tottenham, squadra proprio appartenente a quel movimento che tutto il mondo ha come riferimento, e perché ha battuto i prossimi campioni d’Italia. Per carità, il sorteggio dei quarti di finale ha disegnato uno scenario sicuramente favorevole, permettendo di avere una squadra sicuramente in semifinale e, grazie al successo interista, di riavere con certezza una finalista tricolore sei anni dopo la Juve di Allegri. E sarà una milanese, la città che più di ogni altro è mancata in questo decennio.

Quando si sveglia Milano, si sveglia il calcio italiano.

Nel frattempo, la squadra tritatutto degli anni ’10, la Signora, dopo un girone di Champions League inaccettabile, si sta proponendo come una delle favorite per la vittoria dell’Europa League, ingiustamente snobbata per troppi anni e che adesso sembra finalmente pare aver scatenato gli stimoli giusti. Ed è questa la strada da percorrere, che ha intrapreso anche la Roma: i capitolini, grazie anche alla mentalità vincente del loro condottiero in panchina, hanno assorbito l’idea che solo vincere aiuta a prendersi spazi sempre più grandi. Ed è proprio da quella Conference League alzata al cielo l’anno scorso che è partito il nuovo corso giallorosso, esattamente lo stesso palcoscenico che sta affrontando la Fiorentina di Italiano, anch’essa impegnata nella costruzione di qualcosa di stuzzicante.

Finalmente, il calcio italiano è tornato a respirare. Ancora non fa paura come negli anni ’90 e di certo, per attrarre i campioni, servirà ben altro che una stagione già così eccezionale, ma per una volta possiamo anche smetterla di parlare male.

Per una volta, siamo orgogliosi.

 

Indaco32