La rincorsa per il calcio di rigore più lungo che si sia mai tirato è iniziata nella tarda serata di mercoledì 20 gennaio e si è conclusa a metà sera del 13 febbraio. Protagonisti, Lorenzo Insigne e la Juventus.Non c’era il Gato Diaz fra i pali, come nel fantastico racconto di Osvaldo Soriano, ma Szczęsny, che non fuma da turco come il personaggio del grande narratore e non va al cinema con la fidanzata la sera prima della partita della vita. Ma il numero uno della Juve è un energumeno che se allarga le braccia,  sembra un pavone tant’è che è grosso e fa paura eccome. Eppure il grande spavento, l’ansia che non ti scrollavi di dosso, Insigne la teneva tutta dentro e gli è salita in gola quando si è assunto la responsabilità di provarci ancora. A poche settimane dal disastro. Ci voleva la grande scossa per il capitano azzurro, e per il Napoli.  Per Lorenzo, un nastro che riavvolgesse al fotofinish l’errore marchiano della finale. Un seconda chance per rimuovere l’episodio traumatico, quel ricordo angosciante, il macigno che portava sulle spalle dal 20 gennaio. Dalla maledetta sfida di Supercoppa a Reggio Emilia, quando a una ventina di minuti dalla fine, Capitan Insigne voleva spaccare porta e mondo. Ed invece ha colpito la peggior palla della sua carriera dal dischetto. Una rasoiata da Paperissima.
Da allora, il ragazzo di Frattamaggiore era scivolato in un prevedibile stato catartico. Ci voleva una svolta karmica per uscirne. Il destino, nel calcio come nella vita, a volte ti dà una seconda chance. Forse Eupalla gli ha permesso di tirare ancora quel maledetto rigore anti-Juve. Il terzo per l’esattezza in meno di un anno. A giugno, nella finale di Coppa Italia, aveva beffato el vecio Buffon, poi poche settimane fa il pestone che poteva rimettere il Napoli in corsa per il titolo. Immaginarsi quanto fosse ingolfata di pensieri la testa del povero Lorenzinho. Tutto è accaduto al minuto 31′ del primo tempo. Quando per un braccio malandrino, che se non ci fosse stato il Var neppure un’astronave marziana l’avrebbe scovato, al Napoli è stato assegnato il calcio di rigore. La massima punizione, come si diceva un tempo. E’ stato il tempo di un flash che ha rubato il dubbio di ogni osservatore in campo e fuori. Ma chi tira. Ci riprova lui. Dai, che stavolta ce la fa. E se sbaglia di nuovo. Ammazza, che se fa cilecca per la seconda volta di fila poi ci vuole davvero lo strizzacervelli, e vallo a trovare il miglior psicoterapeuta del calcio. Essì, tante riflessioni in pochi secondi, per poi fugare il dubbio. Sì, tocca a lui. Lo batte Lorenzo Insigne. Che ha subito afferrato la palla con la voracità di un coccodrillo che banchetta in una palude africana. Quel pallone era suo. Toccava al capitano. Di prendersi la rivincita. Di scacciar via fantasmi e brutti pensieri. Insigne doveva recitare il mantra che mandasse al diavolo il ricordo di quel rasoterra molle, scombiccherato e tutto storto del 20 gennaio. Che sembrava uno schizzo di ketchup, tanto che era fastidioso e stonato. Ma in questa Napoli-Juve, che non valeva alcun trofeo ma un’abbondante dose di di futuro per azzurri e Gattuso, nel tempio dedicato a Diego, Insigne ha avuto, oltreché il coraggio, anche la freddezza e la classe del senor che indossò la 10. Tiro alto, sotto la traversa, alla sinistra di Szczęsny, che aveva battezzato l’angolo opposto. Rigore fotocopia di quello calciato contro la Germania agli Europei del 2016: palla in alto a destra e Neuer dall’altra parte. Insigne ce l’ha fatta. Quel rigore edizione seconda valeva una lotteria, e un San Valentino col cuore nella marmellata. Peccato solo che quello del 20 gennaio, quello della Supercoppa contasse di più, poteva portare un titolo. Ma quanto pesava quel pallone. Quello del Mapei. Non lo sapremo mai. Chissà. Ma si guardi avanti: questo del Diego Maradona, recapitato impeccabilmente in fondo al sacco ha portato benessere al capitano e il rilancio per il Napoli. Di questi tempi è davvero la pillola della felicità che per una sera attenua iella e dolori.