Mamma che caldo. Devo per forza togliermi il giubbino imbottito altrimenti squaglio e dopo neanche 10 minuti il maglione fa la stessa fine; rimango in maniche di camicia e finalmente ricomincio a respirare con regolarità. Il preside Biondi, seduto  vicino a me in tribuna stampa, quasi si denuda e guardarlo non è un “bel vedere”: è già brutto di suo e per giunta la sua camicia è talmente bagnata di sudore che è diventata trasparente e siccome non porta la maglia della salute vedo benissimo il panzone peloso che lo fa somigliare più ad un orango che ad uno stimato ed irreprensibile funzionario del ministero della Pubblica Istruzione . Mi rivolge la parola solo perché, cosa per lui ovvia, pretenderebbe il mio ossequioso consenso: “Siamo quasi in inverno, non è normale un caldo così. Non trova?” Annuisco in maniera quasi impercettibile e chiudo subito una discussione che ritengo superflua e che non ho alcuna voglia di cominciare; e poi è meglio se torno a concentrarmi sulla partita per cui Fabrizio, proprietario di “Radio Nuova Napoli”  (all’epoca facevo parte della redazione sportiva della prima radio libera campana per data di nascita), mi ha chiesto di fare il commento e inoltre di collegarmi nell’intervallo per anticipare le considerazioni tecniche sul gioco fin lì visto. Devo confessare che fare questa trasferta mi fa pure piacere così ho l’occasione di riabbracciare mamma, papà e sorella  che da un paio d’anni hanno lasciato la celeberrima, e per me insopportabile, “ammuina” di Napoli e si sono trasferiti tutti “lì” alla ricerca della tranquillità . E comunque è pure una bella partita, divertente; non il massimo della tattica ma sicuramente spettacolare con continui capovolgimenti di gioco ed un sacco di gol. Vinicio, ‘o Lione, si sbraccia davanti alla panchina e gesticolando indica a Valente come vuole che i centrocampisti inneschino quella scheggia di Juary; gli mima, con la mano aperta che spinge in avanti, il movimento di “accompagnare nello spazio aperto” ed i suoi obbediscono come soldatini attenti; finisce con un trionfale 4 a 2 perché i Lupi costringono all’autorete Scorsa e segnano con Ugolotti (doppietta) e naturalmente…Juary!

Sono passate solo poche ore e stiamo come sempre sul muretto a mangiare patatine e bere una birretta ma soprattutto a sfottere Frank e le sorelle Dente che, per i nostri gusti, studiano troppo: “Guardate che stiamo anche noi all’università; non frequentiamo la “Normale”, come fai tu Frank, o il vostro esclusivo DAMS da cui, avvenenti sorelline Dente, uscirete “novelle Line Wertmuller” ma...la vita è una sola godetevela!!!. Lo sguardo di commiserazione che ci siamo e “mi sono” meritato parla da solo: ma cosa vuoi capire tu, ora è il momento di studiare, abbiamo tutta la vita davanti per divertirci, c’è tempo…c’è tempo…ma quello sguardo di superiorità dura giusto un attimo!

Il rumore, il boato sordo e crescente che arriva dalla terra è terribile e mette la stessa angosciante paura che c’investe quando la strada sotto di noi comincia a sobbalzare, a muoversi, ad aprirsi.
Corri Franco, corri. Ma dove? Ma cosa sta succedendo? Siamo tutti spaventati, tutti terrorizzati! Qualcuno piange e molti urlano e chi sta zitto lo fa perché ha il cuore in gola e quasi non riesce a respirare, figurarsi a gridare la propria paura.
C’è una confusione folle, indescrivibile, e cominciamo a chiamarci l’un l’altro per sapere se siamo ancora vivi.
Si è fatto buio pesto all’improvviso, sono andate via le luci e le persone s’intravedono a malapena. Ida e Carmela, la mamma e la sorella di Frank, mi chiamano e m’implorano di andare a prendere Rosy, la loro  cucciola di pastore tedesco, che è rimasta chiusa nell’appartamento. Come posso dire di no? Joseph, il marito di Ida, che è americano di Filadelfia, non sta lì; è imbarcato su una portaerei e Frank mi ha detto che in quel periodo stanno navigando nell’Oceano Indiano; lo stesso Frank, dal canto suo, è troppo impaurito e mi rendo conto che in quei momenti di terrore quelle donne devono poter contare su una figura maschile; e poi a quell’età, la mia età, non si è razionali, o forse sì, e comunque ci si ritiene quasi immortali e d’altronde conosco bene il possibile pericolo di un crollo, ma salgo lo stesso le scale fino al terzo piano; prendo Rosy ma, rimanendo lucido, pure plaid e coperte ed infilo in una busta un paio di bottiglie d’acqua, del pane e quel che trovo in frigo e anche qualche bottiglia di cognac. Ridiscendo in strada più in fretta che posso e do tutto ad Ida tranne una bottiglia di liquore da cui butto giù due lunghi sorsi per riprendere un minimo di coraggio.
Intanto dall’hotel Mercurio, che è situato affianco al palazzo dove abita Frank e dove presumibilmente erano ospiti, escono i giocatori di una squadra di serie C che nel pomeriggio ha giocato contro la Casertana (ma forse era la Nocerina, la Cavese…che importanza ha?); la maggior parte di loro hanno addosso solo gli slip o addirittura una asciugamano e mi sconvolge vedere sti atleti grandi e grossi tremare di freddo e di paura. Mi avvicino e gli offro un po’ di liquore che tutti ringraziandomi bevono avidamente,  come se quel gesto gli restituisse la vita stessa.

Corri Franco, corri e ricordati che hai una famiglia.

Sono cinque chilometri fino ad Avellino ed io la macchina non ce l’ho e quindi li faccio tutti di corsa, a perdifiato, ed in alcuni momenti mi sembra che i polmoni stiano per esplodere. Vedo la 128 di papà e mi tranquillizzo: stanno bene. Antonella, mia sorella, mi guarda piangendo e mi chiede di andare a cercare il marito che, dopo aver messo al sicuro moglie e figlia  (c’è anche Francesca che non ha nemmeno tre anni), è andato al corso Vittorio Emanuele a cercare i genitori.

Corri Franco, corri.

Per fare quanto prima possibile prendo le traverse dietro al carcere dove una volta c’era il Piazza d’Armi, il vecchio stadio di Avellino, e solo da quel momento in poi mi rendo conto che c’è una puzza strana ed insopportabile e che sto respirando la polvere dei palazzi che son venuti giù; mi brucia la gola e sono stanco, ma continuo a correre e quasi non mi accorgo che oltre alle pietre scavalco pure i cadaveri di chi, sotto quelle pietre, ci è morto. Arrivo davanti a quello che resta del palazzo dove abitano don Nicola e donna Tetta, i genitori di mio cognato che affettuosamente ho soprannominato “i miei quasi suoceri”; e mio cognato è lì, mi vede, mi abbraccia e mi dice che sono salvi anche loro. Sono stati risparmiati grazie alle urla della signorina Castelli, un’anziana professoressa di fisica che sapendo che in un terremoto le prime parti a crollare di un palazzo sono proprio balconi e scale…è riuscita a fermarli sui primi gradini ed a farli tornare dentro casa. I due vecchietti terrorizzati li stanno portando giù i Vigili del Fuoco, impauriti ma vivi.

Si è fatta quasi l’alba e posso finalmente tornare alla 128 di papà ma non riesco a star seduto nemmeno cinque minuti per riposarmi e riprendere un po’ di calore perché sono pure intirizzito: vattene, mi “appuzzi”, urla mia nipote Francesca… ma va bene anche così.
Siamo ancora tutti vivi.

Frankie 
P.S. il cognome del preside, solo il suo, è di fantasia.